Vangelo del giorno

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:
«Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni.
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento.
In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché non sarete partiti.
Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi».

di don Franco Mastrolonardo
Siamo fatti per evangelizzare. Se la natura dell’uomo è quella di custodire e fecondare la terra, la natura del cristiano è quella di evangelizzare. Un cristiano che non evangelizza non ha senso. E come si evangelizza? Se proviamo a ripercorrere il Vangelo, potrei azzardare a definire quattro aspetti dell’evangelizzazione: predicare, guarire, consolare e dare testimonianza con una vita sobria, affidata completamente alla Provvidenza. Ci fermiamo sul primo quadro: il predicare. Così leggiamo nelle prime righe del Vangelo: “Strada facendo dite che il Regno dei cieli è vicino“. Dire che il Regno è vicino significa guardare con speranza alla nostra vita e dare speranza a tutti coloro che incontriamo appunto strada facendo. Questa espressione mi ricorda volentieri una vecchia canzone di Claudio Baglioni, che proverei a riprendere. Diceva: “Strada facendo vedrai che non sei più da solo… Strada facendo troverai anche tu un gancio in mezzo al cielo… E sentirai la strada far battere il tuo cuore e vedrai più amore… vedrai…” . E poi così continuava: “Ma che cos’è che mi fa andare avanti e dire che non è finita… cos’è che mi spezza il cuore tra canzoni e amore che mi fa cantare e amare sempre più perché domani sia migliore… perché domani tu…”.
Bellissima! A quel TU finale del domani potremmo tranquillamente dare il volto di Gesù! E’ Gesù che dobbiamo annunciare, è Lui che dobbiamo testimoniare, è nel Suo nome che dobbiamo guarire e consolare. E’ Lui il senso del nostro vivere, la speranza contro ogni disperazione.
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In cammino verso Dio e verso gli altri, nel servizio e nella povertà. Così si potrebbe sintetizzare la meditazione di Papa Francesco nel corso della messa celebrata a Santa Marta giovedì 11 giugno. Nel commentare il brano di Matteo (10, 7-13) nel quale «Gesù invia i suoi discepoli ad annunciare il vangelo, la nuova notizia, il vangelo di salvezza», il Pontefice ha infatti sottolineato come si possano estrapolare «tre parole chiave per capire bene quello che Gesù vuole dai suoi discepoli» e «da tutti noi che seguiamo lui». Le tre parole sono: «cammino, servizio e gratuità».

Innanzitutto Gesù invia «a un cammino». Un cammino che, beninteso, non è una semplice «passeggiata». Quello di Gesù «è un invio con un messaggio: annunciare il vangelo, uscire per portare la salvezza, il vangelo della salvezza». E questo è «il compito che Gesù dà ai suoi discepoli». Perciò chi «rimane fermo e non esce, non dà quello che ha ricevuto nel battesimo agli altri, non è un vero discepolo di Gesù». Infatti «gli manca la missionarietà», gli manca «l’uscire da se stesso per portare qualcosa di bene agli altri».

C’è poi anche un altro «percorso del discepolo di Gesù», ovvero «il percorso interiore», quello del «discepolo che cerca il Signore tutti i giorni, nella preghiera, nella meditazione». E non è secondario: «Anche quel percorso il discepolo deve farlo perché se non cerca sempre Dio, il vangelo che porta agli altri sarà un vangelo debole, annacquato, senza forza».

Quindi c’è un «doppio cammino che Gesù vuole dai suoi discepoli». Questo racchiude la «prima parola» messa in evidenza dal Vangelo di oggi: «camminare, cammino».

C’è poi la seconda: «servizio». Ed è strettamente legata alla prima. Occorre infatti «camminare per servire gli altri». Si legge nel vangelo: «Strada facendo predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demoni». Qui si ritrova il «dovere del discepolo: servire». «Un discepolo che non serve agli altri non è cristiano».

Punto di riferimento di ogni discepolo deve essere ciò che «Gesù ha predicato in quelle due colonne del cristianesimo: le beatitudini e poi il “protocollo” sul quale noi saremo giudicati», cioè quello indicato da Matteo al capitolo 25. Questa deve essere la «cornice» del «servizio evangelico». Non ci sono scappatoie: «Se un discepolo non cammina per servire, non serve per camminare. Se la sua vita non è per il servizio, non serve per vivere, come cristiano».

Proprio su questo aspetto si trova, in molti, la «tentazione dell’egoismo». C’è infatti chi dice: «Sì, io sono cristiano, per me sono in pace, mi confesso, vado a messa, compio i comandamenti». Ma il servizio agli altri dov’è? Dov’è «il servizio a Gesù nell’ammalato, nel carcerato, nell’affamato, nel nudo»? Eppure proprio questo è ciò «che Gesù ci ha detto che dobbiamo fare perché lui è lì». Ecco quindi la seconda parola chiave: il «servizio a Cristo negli altri».

C’è conseguenzialità anche nella «terza parola di questo brano», che è «gratuità». Camminare, nel servizio, nella gratuità. Si legge infatti: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date». Un particolare fondamentale, tanto da spingere il Signore a chiarirlo bene, nel caso «i discepoli non avessero capito». Egli spiega loro: «Non procuratevi oro, né argento, né denaro nelle vostre cinture, né sacca di viaggio, né due tuniche». Vale a dire, che «il cammino del servizio è gratuito perché noi abbiamo ricevuto la salvezza gratuitamente», Nessuno di noi «ha comprato la salvezza, nessuno di noi l’ha meritata»: l’abbiamo per «pura grazia del Padre in Gesù Cristo, nel sacrificio di Gesù Cristo».

Perciò, «è triste quando si trovano cristiani che dimenticano questa parola di Gesù: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”». Ed è triste quando a dimenticarsi della gratuità sono «comunità cristiane», «parrocchie», «congregazioni religiose» o «diocesi». Quando ciò accade è perché dietro «c’è l’inganno» di presumere «che la salvezza viene dalle ricchezze, dal potere umano».

«Tre parole. Cammino, ma cammino come un invio per annunciare. Servizio: la vita del cristiano non è per se stesso, è per gli altri, come è stata la vita di Gesù». E in terzo luogo, «gratuità». Così potremo riporre la nostra speranza in Gesù, il quale «ci invia così una speranza che non delude mai». Invece, «quando la speranza è nella propria comodità nel cammino o la speranza è nell’egoismo di cercare le cose per sé» e non per servire gli altri, oppure «quando la speranza è nelle ricchezze o nelle piccole sicurezze mondane, tutto questo crolla. Il Signore stesso lo fa crollare».

«Facciamo questo cammino verso Dio con Gesù sull’altare, per poi camminare verso gli altri nel servizio e nella povertà, soltanto con la ricchezza dello Spirito Santo che lo stesso Gesù ci ha dato».
Santa Marta, 11 giugno 2015