Martedì della III settimana di Pasqua
Gv 6,30-35: Non Mosè, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo.
In quel tempo, la folla disse a Gesù: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”».
Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane».
Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».
Commento
Don Franco Mastrolonardo
Pensate il paradosso: noi mangiamo per vivere eppure pur mangiando e bevendo ogni giorno non sfuggiamo alla morte. Questa della fame e del cibo è in realtà un grande inganno. Mangiamo e beviamo ed ecco subito dopo abbiamo di nuovo fame e sete. Nulla pare sfamarci veramente. Ogni tentativo che l’uomo fa per raggiungere una qualche pienezza di vita è destinato ad infrangersi sul crudele e inesorabile muro della morte.
Eppure Gesù insiste: chi mangia di questo pane non avrà più fame. Il pane di Dio, Colui che discende dal cielo, da la vita al mondo. E ancora: chi mangia di questo pane non morirà mai.
Di cosa parla Gesù? E come intendere le sue parole?
Certamente Gesù vuole portarci su un altro piano rispetto ai bisogni quotidiani. Con Lui non possiamo ragionare col “di solo pane vive l’uomo”. Piuttosto col “non di solo pane vive l’uomo“. Il tentativo bulimico puramente umano di sfamare non solo il corpo, ma anche i nostri vuoti interiori fallisce miseramente. Ma dice anche un desiderio di essere riempiti da un qualcosa di più grande, da una realtà che ci corrisponda, da un amore eterno. Ecco allora il pane del cielo: Gesù. E’ solo Lui che ci sfama veramente, è solo Lui che riempie i nostri buchi esistenziali, è solo Lui che vince l’inesorabile muro della morte.
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Luigi Maria Epicoco
Perché cerchiamo Gesù? Delle volte la ricerca di Lui è solo uno dei tanti modi di esprimere il nostro individualismo malato che cerca solo il proprio benessere. Lo cerchiamo per stare bene ma non perché abbiamo capito davvero cosa ci sta indicando.
«In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Cristo certamente vuole portare un “bene” dentro la nostra vita, ma il bene che Egli porta indica anche una direzione da seguire. Credere prendendoci qualcosa di Cristo e poi non imboccare nessuna direzione uscendo dalla Chiesa non serve a molto. Il vero problema non è sentirci bene quando andiamo a pregare, ma che decisione prendiamo quando lo abbiamo fatto davvero e con tutto il cuore. Fanno bene quindi i discepoli a domandare:
«Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Ogni vera soluzione nella vita spirituale non consiste nel verbo “fare”, ma nel verbo “credere”. E credere implica un orientamento di tutta la persona e non solo delle sue azioni. A volte noi “facciamo” ma senza “credere”, e questo diventa il vero problema. Oggi il Vangelo ci invita a far fare pace tra ciò che ci passa nel cuore e le nostre decisioni concrete. Tra quello che crediamo e quello che scegliamo. Tra fede ed etica. Molto spesso è la spaccatura tra questi due aspetti la vera radice della cattiva testimonianza cristiana. Una preghiera che non è unita a un’autentica scelta di bene, è una preghiera sterile. La cosa che il mondo ci rimprovera è la stessa che Gesù riferisce ai “credenti” dell’epoca: “dicono e non fanno”. Noi dovremmo saper passare dal “dire al fare”, o meglio dal credere alla testimonianza concreta. Solo la nostra vita può dire davvero la fede che professiamo.
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Meditazione di Papa Francesco
At 7,51-8,1 Sal 30 Gv 6,30-35
“Il piccolo linciaggio quotidiano del chiacchiericcio”
Nella prima Lettura di questi giorni abbiamo ascoltato il martirio di Stefano: una cosa semplice, come è successo. I dottori della Legge non tolleravano la chiarezza della [sua] dottrina, e, appena proclamata, sono andati a chiedere a qualcuno che dicesse di aver sentito dire che Stefano bestemmiava contro Dio, contro la Legge (cfr At 6,11-14). E dopo questo, gli piombarono addosso e lo lapidarono: così, semplicemente (cfr At 7,57-58). È una struttura di azione che non è la prima: anche con Gesù hanno fatto lo stesso (cfr Mt 26,60-62). Il popolo, che era lì [incerto], han cercato di convincerlo che era un bestemmiatore e loro hanno gridato: «Crocifiggilo!» (Mc 15,13). È una bestialità. Una bestialità, partire dalle false testimonianze per arrivare a “fare giustizia”. Questo è lo schema. Anche nella Bibbia ci sono casi del genere: a Susanna hanno fatto lo stesso (cfr Dn 13,1-64), a Nabot hanno fatto lo stesso (cfr 1Re 21,1-16), poi Aman ha cercato di fare lo stesso con il popolo di Dio (cfr Est 3,1-14). Notizie false, calunnie che riscaldano il popolo e chiedono la giustizia. È un linciaggio, un vero linciaggio.
E così, lo portano al giudice, perché il giudice dia forma legale a questo: ma già è stato giudicato; il giudice deve essere molto, molto coraggioso per andare contro un giudizio “così popolare”, fatto apposta, preparato. È il caso di Pilato: Pilato vide chiaramente che Gesù era innocente, ma vide il popolo, se ne lavò le mani (cfr Mt 27,24-26). È un modo di fare giurisprudenza. Anche oggi lo vediamo, questo: anche oggi è in atto, in alcuni Paesi, quando si vuole fare un colpo di Stato o “far fuori” qualche politico perché non vada alle elezioni, si fa questo: notizie false, calunnie, poi si affida ad un giudice di quelli ai quali piace creare giurisprudenza con questo positivismo “situazionalista” che è alla moda, e poi condanna. È un linciaggio sociale. E così è stato fatto a Stefano, così è stato fatto il giudizio di Stefano: portano a giudicare uno già giudicato dal popolo ingannato.
Questo succede anche con i martiri di oggi: i giudici non hanno possibilità di fare giustizia perché sono già stati giudicati. Pensiamo ad Asia Bibi, per esempio, che abbiamo visto: dieci anni in carcere perché è stata giudicata da una calunnia e un popolo che ne vuole la morte. Davanti a questa valanga di notizie false che creano opinione, tante volte non si può fare nulla, non si può fare nulla.
Io penso tanto, in questo, alla Shoah. La Shoah è un caso del genere. È stata creata l’opinione contro un popolo e poi era normale dire: “Sì, sì, vanno uccisi, vanno uccisi”. Un modo di procedere per “far fuori” la gente che è molesta, che disturba.
Tutti sappiamo che questo non è buono, ma quello che non sappiamo è che c’è un piccolo linciaggio quotidiano che cerca di condannare la gente, di creare una cattiva fama sulla gente, di scartarla, di condannarla. Il piccolo linciaggio quotidiano del chiacchiericcio che crea un’opinione. Tante volte uno sente sparlare di qualcuno e dice: “Ma no, questa persona è una persona giusta!” – “No, no, si dice che…”, e con quel “si dice che” si crea un’opinione per farla finita con una persona. La verità è un’altra: la verità è la testimonianza del vero, delle cose che una persona crede; la verità è chiara, è trasparente. La verità non tollera le pressioni. Guardiamo Stefano, martire: primo martire dopo Gesù. Primo martire. Pensiamo agli apostoli: tutti hanno dato testimonianza. E pensiamo a tanti martiri, anche a quello che festeggiamo oggi, San Pietro Chanel: è stato il chiacchiericcio a creare [l’opinione] che era contro il re… Si crea una fama, e va ucciso. E pensiamo a noi, alla nostra lingua: tante volte noi, con i nostri commenti, iniziamo un linciaggio del genere. E nelle nostre istituzioni cristiane, abbiamo visto tanti linciaggi quotidiani che sono nati dal chiacchiericcio.
Il Signore ci aiuti a essere giusti nei nostri giudizi, a non incominciare o seguire questa condanna massiccia che il chiacchiericcio provoca.
Martedì 28 aprile 2020