Liturgia

Lectio della Domenica
IV DOMENICA DI PASQUA – A
Giovanni 10, 1-10

Gesù Buon Pastore

Il capitolo nono si è chiuso con i farisei e i capi dei Giudei che si ostinano nella loro menzogna, e il loro peccato rimane (Gv 9,41). Avevano dichiarato peccatore Gesù (9,24), mentre sono loro a praticare coscientemente il peccato (8,34). Coloro che espellono dalla sinagoga, credendo di agire in nome di Dio, sono contrari a Dio. Il cieco dalla nascita non aveva peccato (9,3). I farisei, che hanno la possibilità di agire alla luce hanno peccato. Appare la differenza fra oppressi e oppressori. L’oppresso è cieco perché l’hanno privato della possibilità di vedere. L’oppressore, invece, propone la menzogna (8,44), e con essa acceca il popolo.

In quel tempo, Gesù disse: 1 «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante.

Riappare il tema delle pecore, già insinuato in 2,15 (scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi) e in 5,2 (porta delle Pecore), dove esse si identificavano con la moltitudine di infermi sdraiati sotto i portici della piscina (5,3). Rappresentano, pertanto, il popolo dominato dai capi. La dichiarazione di Gesù si dirige agli stessi farisei che lo hanno appena interpellato. Gesù comincia con un paragone allegorico il cui significato, nel contesto, è chiaro. L’atrio/recinto rappresenta il Tempio o, più ampiamente, quel sistema giudaico in cui hanno conquistato posti di potere individui che mancano di ogni diritto e che sono in realtà sfruttatori del popolo (ladri e briganti). Essi tolgono al popolo ciò che è suo. Era questa la denuncia fatta da Gesù nella sua prima visita al Tempio (2,13ss=Pasqua dei Giudei= dei Capi e non del popolo). “Brigante”, che si applica ai capi e a Barabba (18,40), è colui che usa la violenza. Quei capi si riveleranno omicidi (8,44) come dimostreranno con la decisione di uccidere Gesù (cfr. 11,53; 12,10); essi sottomettono il popolo con la violenza del loro sistema (7,13; 9,22= il timore; 9,34= la violenza), riducendolo a uno stato di morte (5,3.21.25). L’accusa di Gesù significa, pertanto, che quanti si arrogano la direzione del popolo sono sfruttatori (ladri) che usano la violenza (briganti) per sottomettere il popolo mantenendolo in uno stato di miseria. Si ricordi che il Nemico, “il diavolo”, padre di quei capi, che ispira la loro condotta, è incarnato nel tesoro del Tempio, è la bramosia di lucro e il potere del denaro.

2 Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3 Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori.

Ai ladri e briganti che saltano il muro si oppone il pastore. Egli si distingue perché entra dalla porta e il custode (il portinaio) gli riconosce il diritto a entrare. Sotto i tratti del pastore, Gesù descrive se stesso come l’unico che ha diritto a entrare nel Tempio/istituzione e l’unico che venga riconosciuto. Il suo diritto si identifica con la sua missione divina . In Ezechiele, il ruolo di pastore spettava in primo luogo a Dio (Ez 34,11.15) e quindi al futuro Davide o re messianico (Ez 34,23). Gesù, implicitamente, si dichiara ancora una volta Messia. Contrapponendosi a quei capi afferma che l’autorità che si arrogano è illegittima.

La voce di Gesù è un messaggio che significa liberazione e non si rivolge a una moltitudine anonima, è una chiamata personale: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome. Per Gesù non esiste la massa, ciascuno ha volto e nome. L’attività del pastore inviato da Dio consiste nel condurre fuori da quel sistema giudaico coloro che rispondono alla sua chiamata. L’istituzione si era trasformata in un luogo di tenebre, dominato dall’interesse economico; il denaro ha preso il posto del Padre (2,16: un mercato!). Egli conduce il popolo fuori, per liberarlo dalla morte; agisce liberamente: entra e chiama; quelli che rispondono al suo invito alla libertà sono i suoi, ed egli li conduce fuori. Gesù non vuole installarsi nell’antica istituzione. È venuto a creare una nuova comunità umana.

4 E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce.

Gesù spinge fuori tutti i suoi. La frase è in parallelo con quella del tempio, quando cacciò fuori tutte le pecore e i buoi (Gv 2,15b), gesto che annunciava il suo programma. Il Tempio era diventato il luogo della morte per il popolo, rappresentato dal bestiame che vi si vendeva. Gesù, che spinge i suoi fuori dal recinto dell’istituzione, si oppone a quei capi che cacciano fuori dalla sinagoga colui che era stato cieco (cfr. 9,34), ma questi, ottenendo la vita , era già fuori del loro dominio. La voce di Gesù è la sicurezza del cammino che non è finalizzato ad introdurre le pecore in un altro recinto. Gesù intende dare libertà. I suoi vivranno con lui (1,39), uniti a lui (15,1ss). Le pecore non potevano uscire da sole, perché non c’era alternativa, Gesù le trae fuori offrendo loro la vita. A queste egli comunica vita definitiva; in esse compie il disegno del Padre (6,39).

5 Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».

Come il timbro di voce del pastore invita alla libertà, la voce dell’estraneo annuncia furto e violenza (10,1), e le pecore fuggono da lui. Gesù oppone il suo messaggio di vita alla menzogna di morte che quei capi propongono (8,44). Dà un avviso: sono loro gli estranei, e non potranno recuperare coloro che egli ha fatto uscire dal loro dominio.

6 Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

I capi non comprendono la comparazione; non vedono perché sono ciechi; non conoscono la sua voce, perché non sono sue pecore (10,26), e non capiscono il suo linguaggio perché non sono capaci di ascoltare il messaggio di vita, che li priverebbe della loro sistemazione e sicurezza (8,43).

7 Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8 Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati.

Gesù utilizza nuovamente il simbolo della porta, ma applicato ora a se stesso. Ha parlato della porta antica, quella del recinto di Israele che serve soltanto per lasciar entrare Gesù e condurre fuori le pecore. È una porta il cui ruolo sarà finito una volta effettuato l’esodo del Messia. Dichiara adesso di essere lui la nuova porta, in primo luogo in relazione a quei capi, in secondo luogo in relazione a coloro che lo seguono. I capi avevano finito col concepire la loro relazione con il popolo in termini di potere e dominio che conducevano allo sfruttamento e causavano la morte (ladri e briganti). Bisogna cambiare concezione e prassi. Solo assumendo l’atteggiamento del Messia, la disposizione a dare la vita, si può avere accesso alle pecore. Entrare attraverso Gesù significa porre il bene dell’uomo come valore supremo e, pertanto, dedicarsi senza limiti a procurarlo; chi non adotta questo principio è inevitabilmente un oppressore. L’espressione “Iosono la porta” riferisce il detto di Gesù alla sua epoca contemporanea, come ad ogni epoca.

9 Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.

Rispetto a coloro che entrano attraverso di lui, Gesù è l’alternativa che permette di sfuggire alla morte: sarà salvato, perché egli dà vita definitiva (3,15; 5,21.24.40; 6,27.40.51.54;). Questa porta si apre sulla terra della vita, quella dell’amore leale. L’uomo sarà ormai libero dallo sfruttamento cui era stato sottomesso. L’uomo eserciterà la sua attività attraverso questa porta, come esprime la frase: entrerà e uscirà. [L’espressione: entrare e uscire, entrate e uscite, è un ebraismo che significa la vita e l’attività dell’uomo cfr. Nm 27,17; 2Cr 1,10; At 1,2]. L’espressione troverà pascolo equivale a non soffrirà mai la famenon soffrirà mai la sete (6,35). Il pascolo di cui parla Gesù si identifica con il pane della vita che è lui stesso.

Vi è un gioco di parole fra pascolo=nomēn (anche nomós) e Legge=nómos. L’antica Legge è sostituita da questo pascolo che il discepolo trova e che, contenendo lo Spirito, si trasforma nella nuova Legge, quella dell’amore leale (1,17; 13,34). L’alternativa di Gesù è quindi la sua comunità, il luogo della vita (sarà salvato), dell’attività e libertà (entrerà e uscirà), e dell’amore e solidarietà vicendevoli (troverà pascolo).

10 Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

Gesù rinfaccia nuovamente a quei capi la loro condotta omicida; descrive l’attività perversa del ladro (cfr. 10,8) in termini che rimandano alla scena del Tempio (2,15). Il ladro non soltanto ruba, cioè spoglia il popolo di ciò che è suo, ma è inoltre assassino (brigante), sacrifica le pecore: allude chiaramente al bestiame preparato nel tempio per il sacrificio e da lui espulso.

Le vere vittime del culto non sono gli animali ma è diventato il popolo stesso; mentre il Tempio si è trasformato in una casa di commercio (2,16) e accumula i suoi beni nel tesoro (8,20), il popolo è ridotto alla miseria e sull’orlo della morte (5,3). Con questa immagine Gesù denuncia la violenza e la durezza di quei capi che sfruttano il popolo senza misurare le stragi che causano e senza alcun rispetto per la vita. A tutto ciò Gesù oppone la sua figura. Se quei capi cercano morte, egli, al contrario, ha come missione e disegno che gli uomini godano di vita piena (6,40); questa è la sua testimonianza a favore della verità (cfr. 18,37). Tanto all’invalido (5,6) che al cieco (9,6), egli ha dato speranza e ha comunicato vita, senza porre altra condizione che il desiderio di essa.

Riflessioni…

  • Una porta sorvegliata garantisce da assalti ed inganni, per un gruppo di pecore che convivono insieme, in attesa di ascoltare segnali amicali, inviti liberanti, in attesa di riconoscere…, di esplorare altro.
  • Stanno, nel recinto, spiando rumori sospetti o richiami di amore; ma restano ancora inconsapevoli. Vengono chiamate, invocate, per nome, e riscoprono identità e diversità, voglia di essere e di vivere. E da oggi sanno distinguere i falsi dal vero Pastore.
  • E tutto avviene, come solo un Dio sa fare, quando richiama alla vita da recinti di morte, come l’amico Lazzaro; quando invita ed invia, come Pietro, Giacomo, Giovanni…, ad andare lungo i territori degli uomini, a sperimentare ed annunciare libertà.
  • Ed avviene, ed è possibile, grazie ad una porta per la quale si entra per uscire. Per quella porta si raggiunge salvezza, per essa si parte per donare salvezza. Ed oltre la soglia Egli chiama risvegliando coscienze e sensi di umanità, donando onore e dignità. Chiama, conducendo, portando anche sulle braccia, sollecitando ad ogni modo, ad uscire per abbandonare sicurezze troppo umane ed assaporare liberazioni, nutrimenti di vita, anche rischiando imprevisti di radure senza perimetri.
  • Affretta il passo, Lui, per porsi avanti, per intravedere per primo orizzonti, e, nuovo liberatore, fa sentire la sua voce che si intreccia con passi che ricalcano orme e s’affrettano anch’essi consapevoli. E lo riconoscono come amico antico, condividendo progetti, ritrovando significati, donando a comuni viandanti sentieri di risurrezione.
  • Egli, la Porta, diventa anche Pastore, che dona se stesso, senza inganni ed ambiguità: è riconoscibile come Dio che sorprende, che promette e dona speranze, oltre confini poveri ed angusti di egoismi narcisistici, oltre doppiezze, fariseismi, perbenismi e legalismi soffocanti ed ogni interesse e ritualismo di casta.
  • Ad attentati di furti di dignità, di coerenze interiori, e persino di vita, Egli offre sostegno per saper ascoltare e distinguere voci autentiche e sincere, quelle di dentro, che non annunciano facili proclami, suadenti futuri, e non mirano a tenere in serbo cuori e pensieri con le loro aspirazioni di libertà, e pertanto a dominarli addomesticati. Egli spinge, per pascolare insieme, per rischiare, sperimentare insieme possibili risurrezioni, possibili avventure miranti a rinnovare la Terra.

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