Lunedì della III settimana di Pasqua
At 6,8-15   Sal 118   Gv 6,22-29: Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna.

Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie.
Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

Commento

di L.M. Epicoco
Perché cerchiamo Gesù? Delle volte la ricerca di Lui è solo uno dei tanti modi di esprimere il nostro individualismo malato che cerca solo il proprio benessere. Lo cerchiamo per stare bene ma non perché abbiamo capito davvero cosa ci sta indicando.  
«In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Cristo certamente vuole portare un “bene” dentro la nostra vita, ma il bene che Egli porta indica anche una direzione da seguire. Credere prendendoci qualcosa di Cristo e poi non imboccare nessuna direzione uscendo dalla Chiesa non serve a molto. Il vero problema non è sentirci bene quando andiamo a pregare, ma che decisione prendiamo quando lo abbiamo fatto davvero e con tutto il cuore. Fanno bene quindi i discepoli a domandare:
«Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato»”.
Ogni vera soluzione nella vita spirituale non consiste nel verbo “fare”, ma nel verbo “credere”. E credere implica un orientamento di tutta la persona e non solo delle sue azioni. A volte noi “facciamo” ma senza “credere”, e questo diventa il vero problema. Oggi il Vangelo ci invita a far fare pace tra ciò che ci passa nel cuore e le nostre decisioni concrete. Tra quello che crediamo e quello che scegliamo. Tra fede ed etica. Molto spesso è la spaccatura tra questi due aspetti la vera radice della cattiva testimonianza cristiana. Una preghiera che non è unita a un’autentica scelta di bene, è una preghiera sterile. La cosa che il mondo ci rimprovera è la stessa che Gesù riferisce ai “credenti” dell’epoca: “dicono e non fanno”. Noi dovremmo saper passare dal “dire al fare”, o meglio dal credere alla testimonianza concreta. Solo la nostra vita può dire davvero la fede che professiamo.
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di Paolo Curtaz
Quante volte anche noi cerchiamo Dio solo perché ci riempie la pancia, perché pensiamo che esaurisca i nostri desideri, le nostre ambizioni. Quante volte anche noi, se siamo onesti, dobbiamo ammettere di cercare Dio perché abbiamo paura della vita, perché non capiamo, perché speriamo che egli ci possa aiutare e sostenere nel nostro cammino. Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci si è rivelato un’autentica catastrofe: il messaggio di Gesù era chiaro, davanti alla fame degli uomini il discepolo è chiamato a mettere in gioco tutto quello che ha, anche se poco. La folla ha capito l’esatto contrario: davanti alla fame del mondo ecco che Dio trova le soluzioni. Il peggio accade quando la folla lo cerca per farlo re, chi di noi non voterebbe un governo che invece di chiedere tasse regalasse soldi? Gesù è profondamente amareggiato e alla folla che lo ha raggiunto, spiazzata dall’atteggiamento del Signore, e con verità dice ciò che pensa: lo stanno cercando perché ha riempito loro la pancia. Chiediamoci se la nostra fede, a volte, non assomiglia alla loro e cerchiamo il risorto perché sazia la nostra fame di felicità. Niente di meno.

Meditazione di Papa Francesco
“Tornare sempre al primo incontro”

La gente che aveva ascoltato Gesù durante tutta la giornata, e poi aveva avuto questa grazia della moltiplicazione dei pani e aveva visto il potere di Gesù, voleva farlo re. Andarono prima da Gesù per ascoltare la parola e anche per chiedere la guarigione degli ammalati. Rimasero tutta la giornata ascoltando Gesù senza annoiarsi, senza stancarsi: erano lì, felici. Quando poi hanno visto che Gesù dava loro da mangiare, cosa che loro non aspettavano, hanno pensato: “Ma questo sarebbe un buon governante per noi e sicuramente sarà capace di liberarci dal potere dei Romani e portare il Paese avanti”. E si sono entusiasmati per farlo re. La loro intenzione è cambiata, perché hanno visto e hanno pensato: “Bene… perché una persona che fa questo miracolo, che dà da mangiare al popolo, può essere un buon governante” (cfr Gv 6,1-15). Ma avevano dimenticato in quel momento l’entusiasmo che la parola di Gesù faceva nascere nei loro cuori.

Gesù si allontanò e andò a pregare (cfr v. 15). Quella gente è rimasta lì e il giorno dopo cercava Gesù, “perché deve essere qui” dicevano, perché avevano visto che non era salito sulla barca con gli altri. E c’era una barca lì, è rimasta lì… (cfr Gv 6, 22-24). Ma non sapevano che Gesù aveva raggiunto gli altri camminando sulle acque (cfr vv. 16-21). Così si sono decisi ad andare dall’altra parte del mare di Tiberiade a cercare Gesù e, quando lo hanno visto, la prima parola che gli dicono a lui è: «Rabbì, quando sei venuto qua?» (v. 25), come dicendo: “Non capiamo, questo sembra una cosa strana”.

E Gesù fa tornare loro al primo sentimento, a quello che avevano prima della moltiplicazione dei pani, quando ascoltavano la parola di Dio: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni – come all’inizio, i segni della parola, che li entusiasmavano, i segni della guarigione – non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (v. 26). Gesù svela la loro intenzione e dice: “Ma è così, avete cambiato atteggiamento”. E loro, invece di giustificarsi: “No, Signore, no…”, sono stati umili. Gesù continua: «Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo» (v. 27). E loro, buoni, dissero: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?» (v. 28). “Che crediate nel Figlio di Dio” (cfr v. 29). Questo è un caso nel quale Gesù corregge l’atteggiamento delle persone, della folla, perché a metà cammino si era un po’ allontanata dal primo momento, dalla prima consolazione spirituale e aveva preso una strada che non era giusta, una strada più mondana che evangelica.

Questo ci fa pensare che tante volte noi nella vita incominciamo una strada alla sequela di Gesù, dietro Gesù, con i valori del Vangelo, e a metà strada ci viene un’altra idea, vediamo qualche segnale e ci allontaniamo e ci conformiamo con una cosa più temporale, più materiale, più mondana – può darsi – e perdiamo la memoria di quel primo entusiasmo che abbiamo avuto quando sentivamo parlare Gesù. Il Signore fa tornare sempre al primo incontro, al primo momento nel quale Lui ci ha guardato, ci ha parlato e ha fatto nascere dentro di noi la voglia di seguirlo. Questa è una grazia da chiedere al Signore, perché noi nella vita sempre avremo questa tentazione di allontanarci perché vediamo un’altra cosa: “Ma quello andrà bene, ma quell’idea è buona…”. Ci allontaniamo. La grazia di tornare sempre alla prima chiamata, al primo momento: non dimenticare, non dimenticare la mia storia, quando Gesù mi ha guardato con amore e mi ha detto: “Questa è la tua strada”; quando Gesù tramite tanta gente mi ha fatto capire qual era la strada del Vangelo e non altre strade un po’ mondane, con altri valori. Tornare al primo incontro.

A me sempre ha colpito che – tra le cose che Gesù dice nella mattina della Risurrezione – afferma : “Andate dai miei discepoli e ditegli che vadano in Galilea, lì mi troveranno” (cfr Mt 28,10), Galilea era il posto del primo incontro. Lì avevano incontrato Gesù. Ognuno di noi ha la propria “Galilea” dentro, il proprio momento nel quale Gesù si è avvicinato e ci ha detto: “Seguimi”. Nella vita succede questo che è successo a questa gente – buona, perché poi gli dice: “Ma cosa dobbiamo fare?”, subito loro hanno obbedito – succede che ci allontaniamo e cerchiamo altri valori, altre ermeneutiche, altre cose, e perdiamo la freschezza della prima chiamata. L’autore della lettera agli Ebrei ci rimanda anche a questo: “Ricordatevi i primi giorni” (cfr Eb 10,32). La memoria, la memoria del primo incontro, la memoria della “mia Galilea”, quando il Signore mi guardò con amore e mi ha detto: “Seguimi”.

Lunedì, 27 aprile 2020