Venerdì della V settimana del Tempo Ordinario
Mc 7,31-37: Fa udire i sordi e fa parlare i muti.
Testo del Vangelo
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano.
Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
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Dopo la guarigione della figlia della donna siro-fenicia, Gesù si tuffa in territori off limits. Uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. La Decapoli era un raggruppamento di dieci città ad oriente del Giordano, del fiume Giordano, organizzata dai Romani già sessanta anni prima della nascita di Gesù con una formazione culturale greco romana in piena opposizione alle tradizioni semitiche di Israele. Ebbene Gesù va proprio lì ad annunciare il Regno. Probabilmente vuole darci qualche anticipazione circa il lavoro di evangelizzazione che poi così bene porterà avanti San Paolo, uscendo dai confini giudaici. A Gesù è sempre più chiara la sua missione: l’universalità della salvezza. Il Regno va annunciato a tutti gli uomini, perché tutti hanno bisogno di essere salvati e non solo il popolo d’Israele. Tutti gli uomini vivono la fragilità della colpa e del peccato, ciascuno porta il peso di un dolore e cerca chi possa sostenerlo.
Così oggi in terra della Decapoli ecco presentarsi un sordo muto.
Un sordo muto porta un dolore enorme, perchè il suo è un dolore muto, inespresso. Non può parlare di sè, non può raccontarsi; vive come un pesce che guarda il mondo da un acquario. Un dolore non comunicato è assurdo, un dolore vissuto nella solitudine è straziante. Come avere sempre un nodo in gola e non tirar fuori mai nulla, se non pianti continui ma anch’essi muti. Il sordo muto è simbolo di una umanità che grida silenziosamente ad un salvatore. E il salvatore Gesù capisce che anche in terra “nemica” i figli sono i figli dello stesso Padre che è nei cieli. Siamo tutti da salvare, dal primo uomo fino all’ultimo di questa drammatica e meravigliosa storia dell’umanità.
Don Franco Mastrolonardo
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La descrizione del miracolo del sordomuto del Vangelo di oggi segue una dinamica che può insegnarci molto. La prima di esse consiste nel fatto che ci sono alcuni che si offrono come mezzo per far incontrare Gesù con quest’uomo:
“E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano”.
La traduzione concreta di questo versetto consiste in una cosa molto semplice: intercessione. Pregare per qualcuno significa condurlo da Gesù. Il secondo dettaglio è l’infinita delicatezza con cui Gesù interviene su quest’uomo:
“E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: «Effatà» cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente”.
Gesù non spettacolarizza il dolore di quest’uomo. Non usa la sua sofferenza per farsi pubblicità, anzi primariamente costruisce con lui una relazione di intimità e poi opera la cosa più potente che l’amore può operare, cioè aprire le chiusure. Effata! Apriti! Infatti non sta a significare solo l’apertura delle orecchie e della bocca, ma la capacità di riaprire la vita, di far entrare in essa aria pulita, di riconsegnarla alla sua giusta gioia. Se qualcuno ci domandasse il vero motivo per cui crediamo in Gesù noi potremmo rispondere dicendo che Egli è l’unico che amandoci spalanca di nuovo la nostra vita, la apre di nuovo all’inedito, e rende possibile nuovamente ogni forma di vera comunicazione e quindi relazione. E tutti sappiamo che proprio dalle relazioni passa ciò che può renderci felici.
L.M. Epicoco
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Marco 7,31-37 – Fa bene ogni cosa, il Signore Gesù, allora come oggi. Fa parlare i muti e udire i sordi. Noi, sordi ai richiami di Dio, storditi dalle troppe informazioni che abbiamo, travolti dagli impegni, dalle chiacchiere televisive, dai comizi, dagli opinionisti. E resi muti in un mondo che non sa ascoltare e che ci fa diventare delle fotocopie, che ci obbliga a schierarci da una parte o da un’altra, sempre in conflitto, sempre in affanno. Ci libera le orecchie, il Signore Gesù, ci permette di ascoltare la Parola come mai l’abbiamo ascoltata, senza cantilene, senza insopportabili prediche, senza paroloni incomprensibili. E ci permette di parlare, di dire, di raccontare le grandi opere che egli compie in ciascuno di noi. Incontrarlo ci apre ad una dimensione nuova, conoscerlo ci spalanca la mente e gli orizzonti. Sì: fa bene ogni cosa il Signore, ci cambia prospettiva. Senza clamore, senza sbandierare ai quattro venti la nostra fede, senza fare gli ossessi. Fa bene ogni cosa, il Signore: ci spalanca ad una visione di fede, tutto acquista senso, tutto assume una coloritura diversa. Fa bene ogni cosa, il Signore, ancora oggi, se lo lasciamo fare.
Paolo Curtaz
Lectio di Silvano Fausti
“Effathà, cioè.- Apriti,, dice Gesù al sordomuto. E l’orecchio chiuso si apre all’ascolto della sua voce, la lingua legata si scioglie per dire la parola che salva.
Dio è invisibile. Ogni immagine che di lui ci facciamo è un idolo. L’unico suo vero volto è quello del Figlio che lo ascolta.
La parola distingue l’uomo dagli animali. Egli non appartiene a una specie determinata, ma determina la sua specie secondo ciò che ascolta. Infatti di sua natura, non è ciò che è, ma ciò che diviene; e diviene la parola a cui presta orecchio e dà risposta.
Dio è parola, comunicazione e dono di sé. L’uomo è innanzitutto orecchio, e poi lingua. Ascoltandolo è in grado di rispondergli: entra in dialogo con lui e diventa suo partner, unito a lui e simile a lui. La religione ebraico cristiana, anche se ama il Libro, non è un feticismo della lettera. È religione della parola e dell’ascolto, cioè della comunione con chi parla. Per questo essere sordomuti è il massimo male.
Nel brano precedente la donna ha “ascoltato” su Gesù, e ha “detto” la parola che salva. I discepoli invece hanno orecchi e ancora non intendono (vv. 16-18; 8,18). Hanno il cuore duro incapace di capire il pane e di professare: “È il Signore”.
È il penultimo miracolo della prima parte del vangelo e il terz’ultimo in assoluto. Seguono solo due guarigioni della cecità. Prima c’è l’ascolto della parola, poi l’illuminazione della fede. Chi rimane sordo, non può vedere. Solo il cuore può udire la verità di ciò che si vede.
Come tutti i miracoli, anche questo, ancor più esplicitamente degli altri, significa quanto il Signore vuole operare in ogni ascoltatore. Noi tutti siamo sordi selettivi alla sua parola. Essendo creature, come diamo solo ciò che riceviamo, così diciamo solo ciò che abbiamo udito. Gesù è il medico, venuto a ridarci capacità di ascolto e di dialogo con lui.
Questo miracolo ha la struttura dell’esorcismo battesimale in uso dalla Chiesa antica fino ai nostri giorni.
La guarigione, come quella successiva (8,22 ss), è in due rate. Corrispondono alle due parti del vangelo di Marco e ai due misteri di Gesù, che è insieme il Cristo e il Figlio di Dio – l’atteso che realizza la nostra attesa in modo inatteso.
Il segreto messianico si va sciogliendo, perché il suo pane ci mette ormai, in modo inequivocabile, di fronte alla sua verità. Ma nessuno più la intende né vede. A lui non resta che guarire la nostra sordità e cecità riconosciute.
In questo racconto vediamo anche le tappe del nostro itinerario di fede. Ciascuno è chiamato a ripercorrere personalmente con Gesù lo stesso cammino del popolo di Israele, raffigurato in questo sordo farfugliante.
Gesù è proclamato come colui che “ha fatto belle tutte le cose: fa udire i sordi e parlare i muti”. La seconda affermazione lo riconosce palesemente come il messia salvatore (Is 35,4 s), mentre la prima lo riconosce velatamente come il Dio creatore, che fece tutto e vide che era bello (Gn 1,3.12.18.21.25.31). Ci si avvia alla conclusione della prima parte del vangelo, che sfocerà nella confessione di Pietro (8,29), e si prelude anche il tema della seconda, che culminerà nell’affermazione del centurione (15,39).
Il discepolo, come tutti, è divoratore di tante chiacchiere, ma sordo e inespressivo davanti alla Parola che lo fa uomo. Gesù lo guarisce perché possa far parte di quel popolo che sente e risponde a colui che glidice: “Ascolta Israele, amerai il Signore ecc. “ (12,29 = Dt 6,4 s).