Di lui se ne può solo sussurrare, negli avamposti del vento, dando alla parola nitore di serpe, lingua che sibila, finché non ci avvelena. Ogni interpretazione sobilla il maligno, che s’insinua tra gli interstizi del possibile, nel labiale del dubbio, nella malia accademica. Chi, con tassonomica intelligenza, crede di districare l’opera di Satana dalla figura di Lucifero, dando a quest’ultimo attributi magari prometeici, da “stella del mattino” – …et lucifer oriatur in cordibus vestris, 2 Pt 1, 19 –, capace di dischiudere i poteri della terra, finge di non capire, rivolta la lotta in obbedienza, si fa recluta, destro a esegesi binarie, sul bivio, pericolose. Di Satana si sussurri, per ritrarsi nell’antro di parole munifiche, o nell’ardore del silenzio, certi di essere sotto attacco, nel grande libro delle prede. “Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, va in giro come un leone ruggente cercando qualcuno da divorare” (1 Pt 5, 8): questa carne non è che il pasto delle forze celesti o ctonie, insaziabili; tra nodi, legacci, museruole, le forze ci sono addosso come un Niagara di iene – Dio non è meno famelico.
Cinquant’anni fa, durante l’udienza generale del 15 novembre 1972, papa Paolo VI attacca con bianca potenza: “Quali sono oggi i bisogni maggiori della Chiesa? Non vi stupisca come semplicista, o addirittura come superstiziosa e irreale la nostra risposta: uno dei bisogni maggiori è la difesa da quel male, che chiamiamo il Demonio”. L’era di un dio liofilizzato in ‘affare sociale’, in criterio etico ‘socialmente utile’, semmai parlamentare, legante per potenti e frustrati, crede di raffinare Satana in un pupazzo, non gli crede, incanto di un medioevo vessatorio, pare dire Paolo VI. E rilancia: “Il male non è più soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa. Esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerla esistente; ovvero chi ne fa un principio a sé stante, non avente essa pure, come ogni creatura, origine da Dio; oppure la spiega come una pseudo-realtà, una personificazione concettuale e fantastica delle cause ignote dei nostri malanni. Il problema del male, visto nella sua complessità, e nella sua assurdità rispetto alla nostra unilaterale razionalità, diventa ossessionante. Esso costituisce la più forte difficoltà per la nostra intelligenza religiosa del cosmo”.
Che Satana si muova nell’alcova cardinalizia – “Da qualche fessura pare sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio” – è ovvio: il diavolo sovverte di cardini, converte ai contrari. “Vai dietro a me, Satana! Inciampo [skàndalon] per me sei, perché non pensi le cose di Dio ma quelle degli uomini” (Mt 16, 23), così Gesù urla contro Pietro, che vuole distoglierlo dalla sua missione, con la stessa formula con cui si rivolge al demonio, “Vattene, Satana!” (Mt 4, 10), che lo ghermisce nel deserto. Che tra il primato e il demoniaco sia sancito un evangelico gemellaggio è segno tanto evidente da retrocedere i nostri smaliziati virtuosismi. I Vangeli sono terreno di scontro incontestabile, terribile: il Nazareno irrita le forze malvagie, che da allora ronzano con forza moltiplicata. Nel Libro la lotta è tra l’uomo e Dio, cerca disfatta, fatta di estasi e di tradimenti, rovi ardenti, nascondigli; è guerra aperta tra Israele e i popoli avversi. Il male si è infiltrato nell’uomo, stretto tra esodo e tempio, a preferire Babele o il Tabor; quando Dio sfida Satana a piegare Giobbe, il piagato, l’Ostacolatore denuncia la propria origine: “Dalla terra, vengo, che ho percorso ovunque” (Gb 1, 7).
Il mondo è immondo dominio di Satana, la terra è il suo trogolo, l’uomo il pisciatoio. Per questo, tra “i segni che accompagneranno i credenti” il Messia ricorda che “nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti, se berranno bevanda mortifera non nuocerà loro, imporranno le mani sui malati e questi avranno del bene” (Mc 16, 16-18). È come se con Gesù fossimo entrati in una Apocalisse permanente, in una battaglia epocale: il sepolcro vuoto è Logos, va creduto, mai interpretato. (…)
Nel Primo Testamento, Satana presiede il censimento – “Satana… incitò Davide a censire Israele” 1 Cr 21, 1 – perché è padrone del numero e delle illusioni, paladino della statistica. Che cambi forma nell’arco delle fatue rappresentazioni umane è appropriato alla sua natura, prevaricante e sfuggente: Satana è mostruoso e bellissimo, seduce e intimorisce, è drago e re, è sottile e prepotente, eroico e vile, è uno ed è legione (“Il mio nome è Legione… perché siamo in molti”, Mc 5, 9), cioè la moltiplicazione dell’uno nei molti, la replica, la copia della copia, la clonazione dell’ambiguo. (…)
In un articolo raccolto in La carta è stanca (Adelphi, 2000), dedicato a Il diavolo, Guido Ceronetti ragionava sull’ultima diavoleria: non credere nel diavolo, ritenere che sia qualcosa di dominato, il predatore al guinzaglio. Satanica idiozia. (…) Satana non c’è perché è dappertutto: a noi non resta che la bava di qualche preghiera, tendere le mani come pane, distillare un salmo a fior di dita, blaterare, accontentarci del pettirosso che s’installa tra le trame scheletriche di un albero. Tra poco si sprigioneranno i boccioli e il verde sarà un principio. Col mondo non si contratta: se tutto ci tocca, si ringrazia.
(…)
Alessandro Dehò
21/02/2022
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