Lettura orante del Vangelo di Marco (3)
Claudio Doglio

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Jules Bastien Lepage, Les Bles murs, olio su tela, 1880

Il seme cresce da solo (4,21-32)

L’ostilità nei confronti di Gesù segna la fine della prima sezione. Nel racconto di Marco la prima parte è la rivelazione progressiva della messianicità di Gesù, per mostrare come i discepoli sono arrivati a riconoscere che quell’uomo è il Cristo.

«Essere–con»

Marco organizza questo cammino in tre momenti che chiamiamo “sezioni”, ciascuna delle quali inizia con un sommario, è seguito da un episodio di vocazione e termina con una nota di ostilità. Abbiamo già visto la prima sezione con l’annuncio del regno di Dio arrivato nella persona di Gesù nell’episodio del battesimo, la chiamata dei primi quattro discepoli, la giornata tipo a Cafarnao, cinque episodi di controversia e la decisione degli avversari di farlo morire.

Al capitolo 3 versetto 7 riprende il cammino con un ritorno di sommario, poi la vocazione dei dodici. Da questo breve racconto, in cui Marco presenta l’istituzione del gruppo dei dodici, recuperiamo un particolare molto importante. Solo Marco fa notare che Gesù, costituì i dodici perché fossero con lui e anche per mandarli: capitolo 3 versetto 14.

Perché Gesù ha scelto i dodici? Perché stessero con lui. Il primo obiettivo è essere–con il Maestro; da questa vita insieme nasce la missione. È un’idea importantissima. Gli apostoli sono mandati e hanno un lavoro da svolgere perché sono stati con Gesù, sono messaggeri in quanto hanno vissuto con lui.

Questo discorso vale per tutti i discepoli. Noi non abbiamo nulla da dare e nulla da fare se non siamo con Gesù. Nella nostra esperienza religiosa il Signore ci ha chiamati anzitutto perché fossimo con lui; quindi, il primo aspetto della nostra vocazione a cui essere fedeli è “essere con Gesù”. Poi, ma solo successivamente, ha intenzione di mandarli a predicare e a scacciare i demòni.

Mentre questi lo hanno accolto, ci sono altri che lo rifiutano. Addirittura lo accusano di essere collaboratore del diavolo, di essere un luogotenente di Beelzebùl, e addirittura i suoi parenti, sua madre e i suoi fratelli, lo mandano cercare e lo chiamano perché dicono: “è matto, è fuori di testa”.

Questa è la cornice di crisi in cui Marco inserisce il discorso delle parabole del capitolo 4.

In questo capitolo l’evangelista ha raccolto una antologia di detti parabolici soprattutto legati all’immagine del seme. Mentre molti contestano Gesù, non gli credono, non lo accettano, Gesù racconta la parabola del seminatore per confortare i discepoli, per garantire loro che un risultato positivo ci sarà.

Il seminatore uscì a seminare

4,1 Di nuovo si mise a insegnare lungo il mare. E si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli salì su una barca e là restò seduto, stando in mare, mentre la folla era a terra lungo la riva. 2Insegnava loro molte cose in parabole e diceva loro nel suo insegnamento: 3«Ascoltate. Ecco, uscì il seminatore a seminare. 4Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e vennero gli uccelli e la divorarono. 5Un’altra cadde fra i sassi, dove non c’era molta terra, e subito spuntò perché non c’era un terreno profondo; 6ma quando si levò il sole, restò bruciata e, non avendo radice, si seccò. 7Un’altra cadde tra le spine; le spine crebbero, la soffocarono e non diede frutto. 8E un’altra cadde sulla terra buona, diede frutto che venne su e crebbe, e rese ora il trenta, ora il sessanta e ora il cento per uno». 9E diceva: «Chi ha orecchi per intendere intenda!».

10Quando poi fu solo, i suoi insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli disse loro: 11«A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole, 12perché: guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano, perché non si convertano e venga loro perdonato».

13Continuò dicendo loro: «Se non comprendete questa parabola, come potrete capire tutte le altre parabole? 14Il seminatore semina la parola. 15Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la parola; ma quando l’ascoltano, subito viene satana, e porta via la parola seminata in loro. 16Similmente quelli che ricevono il seme sulle pietre sono coloro che, quando ascoltano la parola, subito l’accolgono con gioia, 17ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della parola, subito si abbattono. 18Altri sono quelli che ricevono il seme tra le spine: sono coloro che hanno ascoltato la parola, 19ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e l’inganno della ricchezza e tutte le altre bramosie, soffocano la parola e questa rimane senza frutto.20Quelli poi che ricevono il seme su un terreno buono, sono coloro che ascoltano la parola, l’accolgono e portano frutto nella misura chi del trenta, chi del sessanta, chi del cento per uno».

Quel giorno Gesù uscì di casa, si sedette su una barca lungo la riva e raccontò la parabola del seminatore. Il contesto in cui viene raccontata è polemico. Ci sono molte persone, compresi quelli più vicini a lui, che non lo capiscono, non lo ascoltano sul serio, pretendono che faccia quello che vogliono loro, non sono disponibili ad andargli dietro, vorrebbero che lui ascoltasse loro. È sicuro che in questo contesto gli apostoli rimasero delusi.

Le parole e le azioni di Gesù non suscitano facilmente entusiasmo, la gente lo segue perché vuole i miracoli, lo segue perché ha interesse, ma la disponibilità autentica ad ascoltare lui è rara e gli apostoli vivono un atteggiamento di delusione, un po’ di scoraggiamento. Questa parabola del seminatore è anzitutto una parabola di incoraggiamento, cioè vuole superare una fase di stanchezza, di abbattimento, pensando che seguire Gesù sia tempo perso e fatica sprecata.

In ogni realtà umana, in ogni impegno, in ogni attività, bisogna mettere in conto una perdita; questo intende dire il racconto. Il seminatore, seminando, parte già sapendo che non tutto il grano gettato produrrà, una parte andrà perduta. Ma non è la parte principale.

Dobbiamo metterci nei panni di un contesto palestinese dove il terreno è abbastanza sassoso e non arato prima della semina. Avevano questa abitudine, molto diversa dalla nostra prassi. I contadini, da noi, arano il terreno e poi seminano; invece in quel tempo e in quell’ambiente seminavano e poi aravano e quindi è inevitabile che il seme finisca anche in mezzo alle pietre o che finisca sul sentiero o che finisca in mezzo ai cespugli. Però, rispetto a un campo, il sentiero era piccolo.

Non lasciamoci ingannare dalle quatto immagini. Non significa che un quarto va sul sentiero, un quarto va sulle pietre ecc.. Il sentiero è molto più stretto del campo, quindi una parte cade sul sentiero e, quando il contadino fa il gesto largo del braccio per spandere il seme è possibile, molto probabile, che una parte cada sul terreno battuto, dove passano le persone, dove non può penetrare. La parte, però, che cade sul terreno buono è molto maggiore. Che ci siano delle pietre e degli angoli sassosi è estremamente probabile e comune, ma non è la caratteristica, non si semina su una roccia e, se al margine del campo c’è qualche cespuglio di spine, non tutto il campo è pieno di spine.

È una osservazione elementare, ma credo necessaria, perché in genere, invece, l’immaginario comune divide la scena in quattro parti e sembra che solo un quarto cada sul terreno buono, mentre i tre quarti vadano sprecati. È da notare, tra l’altro, che il testo usa, per il protagonista del racconto parabolico, l’articolo determinativo, indicando con ciò non un qualsiasi contadino, ma “il seminatore” per definizione. Marco – come anche Matteo (13,3) e Luca (8,5) – si riferisce quindi all’unico, vero seminatore, e questi… non può essere che Dio.

Le parabole hanno innanzitutto il compito di comunicare un messaggio molto semplice, di vita vissuta, di esperienza comune, e il messaggio di questa parabola è quello che vi ho accennato prima: in ogni attività bisogna far conto che ci siano delle perdite, degli sprechi e tuttavia sicuramente ci sarà un grande risultato, ci saranno degli effetti prodigiosi. È questo il punto focale e determinante della parabola: la rendita finale.

A noi i dati della parabola non fanno nessun effetto per il semplice motivo che non abbiamo una esperienza da contadini, mentre la gente che ascoltava Gesù se ne intendeva di più. Quanto produce un quintale di grano seminato? Avete idea della resa che possa avere il grano seminato? L’ho chiesto a dei contadini perché non lo sapevo neanche io, è difficile trovarlo sui libri e in genere i professori di Scrittura non le sanno queste cose; bisogna chiederle ai competenti e in questo caso i competenti sono i contadini. Una resa normale, nelle nostre regioni, potrebbe essere del 6-7, massimo 10 quintali, ed è un po’ la rendita bancaria… se rendesse il 10 %… .

Il contadino che semina un quintale di grano se ne raccoglie 10 ha raccolto tanto, da un quintale ne ha fatti 10, ha decuplicato il patrimonio in un anno e poi non semina solo un quintale, ne semina 50, quindi diventano 500. Ma il 10 lo rende un terreno estremamente fertile, ben lavorato, in condizioni ottimali, come potrebbero essere quelle attuali, grazie alla moderna tecnologia. Un terreno del nostro Appennino, lavorato 50 anni fa, con i metodi semplici dei nostri contadini, arrivava a rendere il 5 – 6%. Probabilmente ai tempi di Gesù in Palestina se rendeva il 3 o il 4% poteva essere già una buona resa.

La battuta di Gesù sta nel finale perché dice che quel seme renderà cento volte, eventualmente anche sessanta o trenta. Quando rende poco, rende il trenta… è parecchio, è una cifra esorbitante; quando rende poco arriva a rendere il trenta! Altrimenti la prospettiva è quella che renda anche il cento per uno. Pensate a fare una proporzione bancaria, che rendita darebbe un investimento simile! Sta lì la forza della parabola: “chi ha orecchi intenda” perché la gente che aveva davanti faceva segni di negazione con la testa e magari accompagnava il gesto del capo anche con una disapprovazione verbale… non no è possibile, figurati, non è possibile che renda così tanto!

Cercate di capire che cosa ho voluto dire: “chi ha orecchi intenda”; è una parabola. Qual è il messaggio che voglio lanciarvi con questa parabola? Nonostante le inevitabili perdite il risultato ci sarà e sarà un risultato grande, enorme, infinitamente superiore a ogni attesa. È una parabola di speranza, di grande consolazione; è una parabola che mira ad entusiasmare, a consolare gli apostoli che si accorgono che molti non capiscono Gesù e quindi sembra che quel lavoro sia tempo perso, che quell’impegno sia sprecato.

Ma voi non avete mai avuto l’impressione, in quello che fate, di avere sprecato tempo e di avere avuto delle perdite nell’impegno, anche nella vita cristiana? È possibile, è molto probabile che ognuno di noi, facendo un esame di coscienza, riprendendo un po’ la propria vita, si accorga di avere sprecato e di non avere avuto i risultati che si aspettava. Eppure questa parabola vuole consolaci e confortarci garantendoci che là, dove c’è la sua parola, il risultato arriva; l’effetto c’è perché il suo intervento è una potenza che trasforma.

Questo concetto lo troviamo espresso chiaramente già nell’Antico Testamento, nel libro di Isaia:

Is 55,10Come infatti la pioggia e la neve / scendono dal cielo e non vi ritornano / senza avere irrigato la terra, / senza averla fecondata e fatta germogliare, / perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, / 11così sarà della parola / uscita dalla mia bocca: / non ritornerà a me senza effetto, / senza aver operato ciò che desidero / e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata.

Un altro importantissimo insegnamento della parabola è quello che Dio semina sempre, continuamente, incessantemente. Il fatto che Dio semini anche dove il terreno assolutamente non può produrre alcunché è il segno della sua abbondanza inaspettata, eccessiva, una semina fatta – diremmo noi – con grande spreco. Ma Dio è un grande “sprecone” nei suoi doni, è un seminatore con “le mani bucate”, la sua è sempre una esagerazione di bontà e di ottimismo; la sua fede nell’uomo è incrollabile. Abbondanza e continuità sono infatti le sue caratteristiche, da sempre e di sempre.

Questa parabola è stata poi interpretata nella tradizione cristiana come una presentazione di vari modi di accoglienza della parola. Così la spiegazione che troviamo è una interpretazione apostolica, è una spiegazione comunemente diffusa nell’antica comunità cristiana per interpretare la parabola. Quindi abbiamo quasi due parabole:

  • una nella situazione storica in cui Gesù l’ha raccontata,

  • l’altra nella comunità cristiana in cui è stata spiegata e applicata.

Vanno bene tutte e due, sono da prendere in considerazione entrambe.

Dorma o vegli, di notte o di giorno…

È un’altra parabola che ha come protagonista un seme ma non è raccontata da nessun altro evangelista. Sapete che Marco ha pochissimo materiale proprio. Egli cioè ha trasmesso la comune tradizione a livello essenziale e quello che racconta Marco lo raccontano anche Matteo e Luca i quali hanno molto più materiale di lui e molto materiale proprio. Marco invece si accontenta di piccoli ritocchi qua e là; vi ho fatto già notare alcuni di elementi importanti. Se avrete la pazienza di fare un lavoro sinottico, confrontando Matteo, Marco e Luca, vi accorgerete delle somiglianze, delle differenze e di tutti i piccoli particolari che caratterizzano Marco.

Uno dei particolari più vistosi che lo caratterizza è la parabola del seme che cresce da solo; è al capitolo 4, versetti 26-29.

Per fare la nostra lectio partiamo però da qualche versetto prima. Subito dopo la parabola della semenza e la sua spiegazione, al versetto 21 troviamo altri detti. Notate come quella espressione: “diceva loro” al versetto 21, poi al versetto 24 “diceva loro” poi ancora al versetto 26 “diceva” sono come un filo di imbastitura, sono pezzi separati.

È un po’ come quando si fanno delle coperte con degli scampoli di lana: si fanno tanti pezzetti come dei quadrati e poi si uniscono. Vi è mai capitato di domandarvi come si mettono insieme? Se sono tutti dello stesso colore non c’è problema, ma se sono di lane diverse (capita il più delle volte) si cerca di dare un certo ordine, di creare una specie di disegno che nell’insieme sia gradevole.

Quello è un lavoro redazionale, si tratta di mettere insieme degli elementi diversi e per fare questo ci vuole un criterio. Il capitolo 4 di Marco è nato così, con delle unità minori che sono state cucite insieme a delle altre ed è venuto fuori il testo parabolico. Il filo si vede ed è in quella ripetizione non narrativa e abbastanza banale.

“Diceva”, “diceva” e “diceva ancora” non significa che quel giorno Gesù ha detto tutte quelle cose una di fila all’altra. Attenzione! Non cadete in questi errori grossolani. Quando Marco scrive non fa la cronistoria, il diario della giornata di Gesù. Ha da anni sentito la ripresa di quel che diceva il maestro e adesso, con calma, riorganizza questo insegnamento. Quindi non riproduce la cronaca di una giornata, ma raccoglie con un criterio tematico e teologico l’insegnamento di Gesù.

4,21Diceva loro: «Si porta forse la lampada per metterla sotto il moggio o sotto il letto? O non piuttosto per metterla sul lucerniere?

In greco c’è un altro verbo, strano; non “si porta” ma “viene”. Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio? Il moggio è una specie di catino che serve per la misura, immaginate un secchio. Se voi avete una lampada di coccio con l’olio dentro non la mettete sotto un secchio e neanche sotto il letto; è certamente una battuta. Dove si mette la lampada? Sul lucerniere cioè su un oggetto che la alza in modo tale che quella lampada possa diffondere di più la luce.

La stranezza del verbo introduttivo è che sembra che la lampada venga da sola: “viene forse la lampada?”. Traducendo “si porta” perdiamo il riferimento che Gesù ha voluto dare perché, chi è la lampada? È egli stesso, è lui che è venuto come una lampada, ed è venuto per essere messo sotto il letto? No! Una lampada non si mette in un posto nascosto, si mette in alto perché possa fare luce. Gesù sta parlando di sé, egli è venuto nella nostra vita come una lampada e non vuole essere messo in un luogo nascosto, vuole che noi lo mettiamo sul lucerniere perché lui possa fare luce.

22Non c’è nulla infatti di nascosto che non debba essere manifestato e nulla di segreto che non debba essere messo in luce.

Significa che Gesù è il rivelatore; non è un discorso banale per dire: quel che vi dite sottovoce verrà detto pubblicamente, quindi attenti a come parlate perché anche i muri hanno orecchie. No!, non vuol dire questo. Gesù è venuto per far conoscere ciò che è segreto, ciò che è nascosto; Gesù è la rivelazione della vita stessa di Dio. Egli ha fatto conoscere chi è Dio, quindi ha il compito della luce.

La funzione della luce

Che cosa fa la luce nella nostra vita? Permette di vedere le cose. Le cose ci sono anche senza la luce. In una stanza buia gli oggetti ci sono tutti, gli occhi sono anche buoni eppure non si vede niente perché manca la luce. Elementare! Basta solo una piccola fiammella e si intravedono gli oggetti, perlomeno uno non si inciampa. Basta una piccola luce di posizione in una camera buia e ci si può alzare di notte senza problemi. La luce ha quella funzione.

Se però si vuole vedere bene bisogna aumentare la luce. Dunque la luce permette di vedere quello che c’è e di vedere bene. Più c’è luce e più si può vedere e il Cristo è entrato nella nostra vita per permetterci di vedere la nostra vita, di vedere quello che c’è, non di vedere dell’altro. Lo sporco c’è anche al buio, solo che si vede meno o non si vede proprio, per cui: occhio non vede, cuore non duole. A volte capita di aprire le finestre in una giornata di primavera e di notare che il sole mostra quanto sporco c’è in quella stanza in cui da tempo non si andava. La luce forte fa vedere che c’è lo sporco. Così si dice che un vetro, attraversato dal sole, non è mai pulito. È come la mia anima che, attraversata dalla luce – che è Cristo – non riesce mai a essere pulita; in penombra invece sembra bella.

Quando uno apre le finestre e lascia entrare la luce del sole e vede lo sporco che c’è in quella stanza sostanzialmente ha due soluzioni, una facile e una difficile. La prima è quella di chiudere le finestre, tirare le tende, ricreare quella penombra per cui tutto sembra pulito. Mi dicono che non sia la soluzione giusta. Le donne soprattutto sostengono che non sia la soluzione giusta; gli uomini, invece, sembra che la scelgano spesso nel caso pratico di una stanza sporca. Le donne ritengono giustamente che se c’è lo sporco bisogna fare pulizia; la luce allora a che cosa è servita? A far vedere che c’era sporco!

Era meglio che non ci fosse la luce, era meglio tenere buio. “Sei venuto a rovinarci”: questo dice il diavolo a Gesù. Io lo so chi sei, sei venuto a far vedere che ci sono delle cose sporche e sbagliate. Se tu non fossi venuto ci saremmo illusi che era tutto a posto e pulito, invece, se tu riveli… noi vediamo e in fondo può darci fastidio vedere.

Un messaggio di grande incoraggiamento

Matteo e Luca scrivono infatti per comunità già mature e un po’ stanche che rispondono poco alla grazia e quindi i due evangelisti insistono piuttosto sulla responsabilità di ciascuno. Marco, invece, scrivendo per dei principianti, per una comunità giovane, per persone che stanno appena cominciando il cammino di vita cristiana, ritiene che sia utilissimo presentare questa parabola di incoraggiamento e di fiducia estrema.

4,26Diceva: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; 27dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. 28Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. 29Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura».

È una piccola storia della salvezza dove si dice che la grazia produce da sola; quella parola di Dio che è stata seminata nei nostri cuori produce una messe abbondante di frutti, senza che noi sappiamo come.

Marco, volutamente, inserisce questa parabola nel contesto della responsabilità. È un altro modo per bilanciare l’affermazione fatta in precedenza dove all’accoglimento della parola doveva seguire l’impegno personale alla sua diffusione. È vero che bisogna accogliere e rispondere, che ci vuole il terreno buono, che bisogna togliere le spine, le pietre, zappare il terreno battuto, eppure la parola ha una potenza “automatica”.

Il termine greco dice proprio: «automàte», la terra produce automaticamente, di proprio impulso, indipendentemente da ogni cura dell’uomo. Allora il compito della persona è quello della terra fertile; è l’accoglienza umile, dell’humus, che dà possibilità alla parola di mettere radice.

Dobbiamo imparare veramente a credere che la parola di Dio produca una efficacia nella nostra vita. Ascoltando la parola, meditandola, gustandola, frequentandola, assimilandola avviene qualche cosa nella nostra vita. C’è una potenza di grazia legata questa parola. Ne abbiamo fatto l’esperienza, ci crediamo proprio perché ne abbiamo fatto l’esperienza e vogliamo farne di più e crediamo che la nostra vita spirituale aumenti, cresca e produca se aumenteremo la frequente meditazione della parola di Dio.

Gesù annuncia la parola, Gesù semina la parola e questa parola produce. Dorma o vegli, di notte o di giorno, questa crescita spirituale non è frutto della nostra capacità, del nostro lavoro, del nostro impegno. Si tratta allora di superare la spiritualità dello sforzo. Sforzati di fare qualcosa. Non ce la fai? Sforzati, impegnati, metticela tutta, stringi denti e avanti e alla fine rischia di essere una vita faticosa, in salita, piena di oppressione. È la fatica e il caldo della giornata per cui uno invidia quelli che hanno iniziato a lavorare alle cinque del pomeriggio. Con tutti gli sforzi che ho dovuto fare io…

In una realtà Gesù propone un gioco leggero, una vita di grazia, non di sforzo. Noi proponiamo una bella notizia, non la notizia dello sforzo. Guardate che è molto importante entrare nell’ottica di una vita cristiana che è fatta per piacere, non per dovere. È rivoluzionaria come idea, è la rivoluzione di Cristo. Quello che ci propone è per la nostra felicità, perché noi possiamo essere delle persone contente che trasmettono contentezza. Quella grazia seminata produce senza che noi sappiamo come, di notte o di giorno, che dorma o che vegli.

Sal 127,2 Invano vi alzate di buon mattino, tardi andate a riposare e mangiate pane di sudore:

Perché? il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno. Quando? Quando dormono. L’idea è subito quella della pigrizia. Il Libro della sapienza dice, riguardo alla Sapienza stessa:

6,14 Chi si leva per essa di buon mattino non faticherà, la troverà seduta alla sua porta.

Chi si alza di buon mattino per cercare la sapienza non dovrà faticare, la troverà seduta alla porta. Allora – potremmo pensare – possiamo alzarci anche un po’ più tardi… No!, perché la trova facilmente solo chi si alza di buon mattino. Chi è pigro, invece, non la trova più e deve faticare per trovarla. Chi è pigro deve faticare? Sembra un assurdo, ma la verità è che chi è sollecito e impegnato non deve faticare. Ecco allora che questo non è un invito a dormire e a non far nulla, ma è un invito alla fiducia, alla sicurezza nell’opera del Signore.

La parabola evidenzia anche le varie fasi: prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno, poi la mietitura; nella nostra vita la parola segue il cammino di questa maturazione.

Come un granellino di senapa…

Subito dopo viene raccontata la parabola della senape. Piccolo come seme, piccolissimo, ma una volta che è cresciuto è grande. Anche il seme della senape cresce da solo. Il contadino fa il suo lavoro all’inizio e alla fine, nel frattempo il seme fa la sua strada; non è il contadino che deve insegnare al seme come fare a germogliare. A lui è dato il compito di buttarlo via, di sotterrarlo e di tornare quando è maturo. Anche la senape parte piccolissima, ma arriva a diventare un albero, grandissimo rispetto a un seme così minuscolo.

Non è semplicemente il piccolo che gli interessa, a Gesù interessa il cambiamento. Un granellino di polvere è piccolo come un granellino di senape, ma resta sempre quello, piccolissimo, e non cambia mai. A Gesù interessa la sproporzione tra il punto di partenza e il pungo di arrivo. Il regno di Dio è una dinamica, è una forza in evoluzione; a te sembrano piccolezze, ma attento perché proprio quelle cose così piccole si trasformano e diventano grandissime.

4,33Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere.

Notate come Marco adopera questa formula assoluta: “annunziare la parola”.

34Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa.

Meditazione

Provate adesso a fare delle applicazioni; la meditazione su queste due parabole è un invito ad approfondirne il testo.

Per quanto riguarda la parabola le seme che cresce da solo provate a prendere una parola che viene seminata in voi, provate a pensare alla vostra esperienza: una parola seminata in voi che ha portato frutto; senza che voi ve ne accorgeste c’è stato in voi un cambiamento. Se uno ci pensa seriamente si accorge che rispetto qualche anno prima è cambiato; certe volte è cambiato in peggio, speriamo però che altre volte sia cambiato in meglio. Ci sono certamente, in tutti noi, delle situazioni, degli atteggiamenti per cui oggi viviamo diversamente; c’è quella parola che in me ha portato frutto, ha lavorato in silenzio, proprio come il seme immerso nella terra.

Talvolta le parole sono anche fatti, sono eventi che segnano; noi ci abbiamo dormito sopra, abbiamo continuato a fare le cose normalmente; non sapremo dire come, ma oggi siamo diversi da ieri. Questo perché quella parola ha segnato la nostra vita, ed è successo perché noi l’abbiamo accolta come terreno fertile, come humus; quella parola, accolta, ha così portato frutto.

La seconda parabola, quella del granellino di senapa, ci porta a un’altra meditazione.

In privato, quando tu sei nella tua camera, nel chiuso del tuo cuore, lì tuo maestro ti spiega ogni cosa. Quel maestro interiore ti spiega e ti fa capire che quella parola vale per te, che quella parola che è detta in parabole e sembra non chiara, in privato – se sai fare silenzio, chiudere la porta, se sai scoperchiare il tetto ed entrare dentro dove c’è Gesù – lì il maestro ti spiega ogni cosa.

Più paura che fede

35In quel medesimo giorno, verso sera, disse loro: «Passiamo all’altra riva». 36E lasciata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. 37Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. 38Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva.

Guardate che non è mica casuale questo episodio che culmina il racconto delle parabole. Il verbo dormire lo abbiamo già trovato proprio nella parabola del seme: “dorma o vegli” il seme cresce. Gesù dorme tranquillo nella tempesta.

Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che moriamo?». 39Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. 40Poi disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?». 41E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?».

È una domanda molto importante. Nella sinagoga si erano domandati che cosa è questo? Adesso la domanda è personale: chi è costui? Certamente i discepoli non hanno ancora fede, per questo hanno paura. Gesù dorme, ma è tranquillo. Loro hanno l’impressione che a lui non importi nulla di loro, ma è solo una loro impressione; hanno paura perché non hanno fede.

Ritorniamo su questa immagine del seme e della tempesta, della notte e del giorno, del dormire e del vegliare e in privato chiediamo al Signore che ci spieghi ogni cosa, quello che vale per noi perché possiamo portare frutto nella quiete della nostra fede.

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