Lettura orante del Vangelo di Marco (5)
Claudio Doglio

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«Continua solo ad avere fede» (5,21-43)

Mc 5,21-43L’altro grande racconto che occupa il capitolo 5 è la fusione di due episodi, ma una fusione talmente antica da appartenere a tutti e tre i sinottici. Vuol dire che già gli apostoli, quando hanno cominciato a predicare il vangelo raccontando quello che ha fatto Gesù, hanno messo insieme i due episodi. Forse perché sono successi davvero, in contemporanea, o forse perché sono collegati dal particolare dei 12 anni. Si tratta della rianimazione della figlia di un capo della sinagoga di nome Giaìro e la guarigione di una donna che soffriva di emorragia. La bambina aveva 12 anni e la donna era malata da 12 anni.

La teologia narrativa

C’è quindi un elemento che li accomuna e i due racconti vengono incastrati l’uno nell’altro. Si comincia con il racconto della bambina, poi lo si interrompe, si narra quello della donna, poi si riprende quello della bambina. È un esempio di vivacità narrativa. Vuol dire che l’antica comunità apostolica sta attenta al modo di raccontare, non butta giù i testi in modo piatto, scialbo e monotono, ma ha l’intenzione anche di coinvolgere e di affascinare con la narrazione.

Questo deve diventare un principio di riflessione anche per noi. È importante recuperare il racconto, ritornare a narrare e imparare a narrare sempre meglio. Stiamo riscoprendo la teologia narrativa, l’importanza del racconto. Infatti, se io racconto degli aneddoti, delle storielle, le ricordate negli anni, mentre le riflessioni teologiche le dimenticate subito. Se io raccontassi una storiella che avete sentito qualche anno fa direste subito: “questa l’hai già detta”; se rifacessi un discorso teologico che vi ho già fatto dieci volte vi sembrerebbe quasi nuovo. Succede a tutti. Questo, quindi, significa che per trasmettere la fede e comunicare dei messaggi è importante raccontare e raccontare bene. Qualcuno è dotato di natura, qualcun altro deve imparare e un’arte della catechesi è proprio la narrativa. Allora, chi è impegnato in questi settori, si ricordi che il racconto è importante e deve essere fatto bene.

Il secondo aspetto è quello dello studio sinottico che ho già raccomandato. Ci sono molti strumenti, il più facile e utile, in italiano, è la “Sinossi dei quattro Vangeli” di Angelico Poppi, edito in diverse forme e tipologie dalle Edizioni Messaggero Padova. Riporta una traduzione fedele, fedelissima al testo greco in colonne parallele per cui si può leggere facilmente un testo tenendo d’occhio gli altri due.

Se si fa esercizio per qualche anno, semplicemente leggendo i testi con un unico colpo d’occhio, in parallelo, ci si fa l’orecchio, l’abitudine, il gusto e si riconoscono le caratteristiche dei vari autori. Non è un lavoro da esegeti, un lavoro tecnico e arido, è uno strumento utilissimo per la lectio divina perché per meritare ci vuole qualche cosa da meditare. Ci vogliono delle idee e, per capire che cosa è proprio di un evangelista, il modo più semplice è leggere anche gli altri.

Dal confronto emerge ciò che è specifico; se è specifico vuol dire che all’autore interessa in modo particolare, l’ha curato e allora io lo sottolineo, ci faccio attenzione, cerco di capire il perché e in questo tipo di lavoro il Signore mi parla. Anche questo fa parte del primo momento della lettura come studio, come ricerca sul testo.

La figlia di Giairo…

Dunque, riprendiamo la lettura del capitolo 5 dal versetto 21.

5,21Essendo passato di nuovo Gesù all’altra riva, [ritorna cioè in territorio israelita] gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare.

Così cominciava anche il capitolo 4. Gesù lungo la costa, zona non piena di case e di gente, ha la possibilità di radunare la gente e di parlare: una catechesi sulla spiaggia. Mentre è attorniato da questa folla che lo cerca e lo ascolta …

22Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi 23e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva». 24Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

Questa è la prima fase. Avete notato alcune somiglianze con l’episodio precedente? Quest’uomo corre incontro a Gesù mentre era appena passato, anche lui gli si butta ai piedi e anche lui lo supplica ed ha a che fare con la morte. Quell’altro, quel disgraziato fuori di testa, matto da legare, era un pagano, un pazzo furioso, pagano, che viveva nei sepolcri. Questo invece è un ebreo, un ebreo distinto, un capo della sinagoga, un personaggio altolocato quindi uomo di religione, non fuori di testa; una persona rispettabile. Ha un nome, è un individuo ben preciso.

Non serve a niente che ci venga detto come si chiama, è un nome della tradizione ebraica «Yā’îr» poi grecizzato in Giaìro; però il fatto che abbia un nome lo qualifica come persona. Quell’altro, invece, si chiamava “massa”, “legione”, “confusione”. Quest’uomo lo prega con insistenza di aiutarlo.

Ci sono due tipi di umanità che cercano Gesù: quelli che lo sanno e quelli che non lo sanno. Giaìro fa parte di quelli che lo conoscono, che lo conoscono per via di religione e lo cercano perché hanno bisogno di un aiuto. Evidentemente però questo capo della sinagoga ritiene che Gesù abbia il potere di salvare la sua bambina. Ci sono dei termini importanti. In greco per dire che “è agli estremi” si dice che è “in fase escatologica”: «eschàtos échei», “sta alla fine”, quindi c’è una prospettiva di conclusione, di escatologia, di compimento dell’esistenza. Inoltre, in greco il verbo che è tradotto con “guarire” in realtà è il verbo “salvare”.

Quell’uomo chiede che Gesù venga a imporre le mani alla figlioletta in modo tale che sia salvata e viva. Sono termini importanti; è un uomo istruito in ambito religioso, è un capo della sinagoga, quindi uno di quelli che guida le preghiere e fa le prediche agli altri. Chiede che Gesù imponga le mani. Riconosciamo la formula perché la adoperiamo anche noi, ma era una forma già della tradizione giudaica. Quello della imposizione delle mani è un rito importante, lo fa un superiore per trasmettere un potere. In genere l’imposizione delle mani accompagna un incarico, una missione.

Qui c’è un’idea terapeutica; Gesù, imponendo le mani, può trasmettere qualche cosa che lui ha. Il capo della sinagoga ha un’idea fisica della salvezza che Gesù può operare; un contatto con la sua persona può dare salvezza e vita. Vuol dire che quest’uomo considera molto Gesù, lo ritiene capace di salvezza e di vita. Gesù non gli risponde; l’evangelista non riporta nessuna parola di Gesù, né sì, né no, ma andò con lui. Si mise in cammino insieme con lui e la folla e lo accompagna.

… e la donna ammalata

A questo punto si inserisce l’altro racconto, che è importante nel riferimento alla folla, perché Gesù è circondato da una grande folla, da tante persone.

25Ora una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia 26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, 27avendo udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: 28«Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». 29E all’istante le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. 30Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». 31I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». 32Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male».

Il racconto di Marco è particolarmente vivace e per rendervene nel conto cosa dovete fare? Confrontarlo con il racconto di Matteo (9,20-22) o di Luca ( 8,43-48).

Marco 5,25-34

Matteo 9,20-22

Luca 8,43-48

25Ora una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia

26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, 27avendo udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: 28«Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita».

29E all’istante le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male.

30Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». 31I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». 32Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo.

33E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità.

34Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male».

20Ed ecco una donna, che soffriva d’emorragia da dodici anni,

gli si accostò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. 21Pensava infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita».

22Gesù, voltatosi, la vide e disse:

«Coraggio, figliola, la tua fede ti ha guarita». E in quell’istante la donna guarì.

43Una donna che soffriva di emorragia da dodici anni,

e che nessuno era riuscito a guarire,

44gli si avvicinò alle spalle e gli toccò il lembo del mantello

e subito il flusso di sangue si arrestò.

45Gesù disse:

«Chi mi ha toccato?». Mentre tutti negavano, Pietro disse: «Maestro, la folla ti stringe da ogni parte e ti schiaccia». 46Ma Gesù disse: «Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza è uscita da me».

47Allora la donna, vedendo che non poteva rimanere nascosta, si fece avanti tremando e, gettatasi ai suoi piedi, dichiarò davanti a tutto il popolo il motivo per cui l’aveva toccato, e come era stata subito guarita.

48Egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata, và in pace!».

Freschezza, efficacia e i dettagli di Marco

Ad esempio, avete notato l’insistenza con cui Marco dice che quella donna non è riuscita ad essere guarita? Marco allunga i particolari: aveva molto sofferto per opera di molti medici. In genere i medici dovrebbero curare, invece questi l’hanno fatta soffrire e, essendo molti, vuol dire che ha cambiato spesso medico.

Tra l’altro la sua è una malattia delicata che comporta anche una situazione di pudore per cui questa donna ha sofferto anche delle umiliazioni; ha speso tutti i suoi soldi, non ha avuto nessun vantaggio, anzi, è peggiorata.

Leggete un po’ la versione di Luca che era medico. Naturalmente questa insistenza non c’è, ci dice semplicemente che nessuno era stato in grado di curarla. Marco invece è pittoresco e aggiunge dei particolari proprio per rendere brillante racconto; non si risparmia nemmeno la frecciatina ai medici che l’hanno fatta soffrire, le hanno mangiato tutti soldi e l’hanno fatta peggiorare. Tutto questo perché? Per dire che la situazione era irrecuperabile. Si era tentato di tutto e nessuno era riuscito a fare niente.

Un’altra differenza notevole che dovete notare, soprattutto con Matteo, è che Marco racconta il furto di un miracolo. Questa donna ruba un miracolo a Gesù; a Gesù scappa il miracolo senza che se ne accorga o, meglio, si accorge che è successo qualcosa e chiede chi è stato. Il Gesù di Marco fa delle domande; pensate mica di trovare in Matteo un Gesù che chiede “chi mi ha toccato?”. Inimmaginabile!

Se leggete il testo di Matteo vi accorgerete che l’iniziativa è di Gesù. Quella donna pensava, ma Gesù, appena la vede, le dice che la guarisce. È tutto sotto controllo. L’iniziativa è di Gesù, egli sa tutto, vuole e opera il miracolo. Così racconta Matteo. Facendo il confronto noi ci accorgiamo di come racconta Marco e, dato che ci occupiamo di Marco, mettiamo in evidenza le sue caratteristiche.

Un altro elemento importante della narrazione di Marco è l’immedesimazione nel personaggio. Cerchiamo di ragionare anche da un punto di vista narrativo (bisognerebbe dire narratologico), ma è un’espressione più strana e difficile e quindi la evitiamo.

Marco, che ci racconta l’episodio, ci informa di tante cose di quella donna che nessuno dei presenti sapeva. Un paralitico è vistosamente paralitico, quell’indemoniato era conosciuto da tutti, questa donna, invece, ha una malattia che conosce solo lei. Non si vede niente dall’esterno, è un problema suo, nascosto sotto i vestiti. Noi lettori, invece, sappiamo tutto di questa donna: sappiamo da quanti anni si trascina la sua sofferenza, la trafila di medici che ha consultato e subito, sappiamo che cosa ha pensato, sappiamo che si è sentita guarita. Sappiamo tante di quelle cose che quella donna siamo noi.

Nella scena narrata nessuno sa quelle cose, se non la donna in persona, e noi, mentre leggiamo il racconto, siamo nei panni di quella donna, viviamo dall’interno la situazione della poveretta. Non ce ne siamo nemmeno resi conto, ma nel racconto del testo noi abbiamo vissuto l’episodio dalla parte della donna, addirittura con un atteggiamento di interiorità, di esperienza fisica.

Un problema nel problema

È un’abilità con cui Marco ci aiuta a fare la meditazione, cioè ci invita a metterci nei panni della donna che ha una malattia immonda. Siamo daccapo. C’è un altro elemento immondo. La perdita di sangue rende la donna immonda e questo tipo di malattia la mette in uno stato continuo di impurità. È come una lebbrosa, non potrebbe stare neanche nell’ambiente comune, non potrebbe andare al mercato, non potrebbe toccare nessuno.

Ecco dove sta il problema; perché alle spalle e toccare il mantello? Perché è il minimo/massimo (minimo per quanto riguarda il contatto con Gesù e il massimo per la sua condizione di emarginata) che possa fare. Non vuole farsi vedere perché lei non dovrebbe essere lì in mezzo alla folla e permettersi di toccare un maestro, un uomo, lei, donna impura. È una violazione della legge molto grave per cui nella sua mente studia il modo di violare la legge senza farsene accorgere. Non si presenta davanti, ma da dietro, e ragiona che può essere sufficiente toccare il mantello.

Quando Gesù reagisce dicendo: «chi mi ha toccato?», lei, povera donna, si sente in colpa. Le prende un tuffo al cuore; aveva fatto tutti i suoi piani per rubare il miracolo senza farsene accorgere e invece il maestro se ne accorge.

Per far notare la stranezza Marco mette in scena la reazione dei discepoli i quali dicono a Gesù: ma come sarebbe a dire “chi mi ha toccato?”. Sei circondato dalla folla, li hai tutti addosso, ti toccano tutti e tu chiedi “chi mi ha toccato?”. Eh no! La domanda di Gesù serve proprio per identificare un tocco di fede. È stato diverso. Molti mettevano le mani sulla testa, sulle mani, sulle spalle di Gesù; questa donna tocca solo il mantello, da dietro, quindi uno non si accorge proprio di niente. Difatti Gesù non si accorge che il mantello è stato toccato, ma si accorge che una potenza, una energia, una forza dinamica è uscita da lui.

Lo sguardo di Gesù

È tipico di Marco il così detto tutto un sguardo circolare di Gesù. In greco c’è un verbo: «periblépo» che a Marco piace moltissimo e lo usa molte volte. Fatteci caso, in Marco Gesù guarda spesso in giro, attorno. È uno sguardo che passa in rassegna le persone. Nel momento in cui il maestro chiede chi lo ha toccato si è creato un vuoto intorno a Gesù. Lui, in quell’attimo di silenzio, scruta una per una quelle persone cercando chi lo aveva toccato con fede. La donna, però, non aspetta di essere identificata. Sebbene fosse impaurita e tremante, sapendo quello che le è accaduto perché ha sentito nel suo corpo che era stata guarita da quel male, si fa avanti, gli si getta ai piedi e gli dice tutta la verità. Confessa il proprio intento.

La fede supera la paura

Perché ha paura? Perché ha violato la legge. Nonostante si sia sentita guarita, e quindi dovrebbe essere contenta perché finalmente ha trovato il medico che, senza farle niente, l’ha guarita, in realtà ha paura perché ha violato la legge della purità. Adesso potrebbe essere punita, rimproverata e castigata severamente. Trova invece il coraggio di dire tutta la verità e Gesù non la rimprovera affatto, anzi, le fa i complimenti, la chiama “figlia”.

Anche Giairo aveva parlato di sua figlia e aveva chiesto al maestro che intervenisse a salvargli la figlia e Gesù, lungo la strada, salva una figlia. Giairo, capo della sinagoga, si interessa della sua bambina di 12 anni; Gesù si interessa di un’altra sua figlia che da 12 anni soffre ed è emarginata.

La tua fede ti ha salvata. La tua fede, la tua fiducia in me, ha reso possibile la salvezza. Implicitamente c’è il superamento della legge; non è la legge che salva, ma la potenza che esce dalla persona di Gesù. Guardate che questo discorso è tipo tipico di Marco: c’è una potenza che esce dalla persona di Gesù. Anche solo l’orlo del mantello comunica questa potenza

Il cardinale Martini aveva scritto una lettera pastorale, tanti anni fa, proprio prendendo spunto da questo orlo del mantello. È un aspetto marginale della persona di Gesù, eppure basta toccare quella frangia del mantello per recuperare una dynamis, una potenza. Allora leggere la sua parola e stare sul vangelo è ben di più che toccare il lembo del mantello. È un percepire la sua persona, è il contatto che comunica a noi una potenza salvifica, guaritrice della nostra persona. Senza arrivare a idee magiche o miracolistiche, dobbiamo essere convinti che la meditazione della parola fa bene, toccare il Signore nella sua parola produce in noi una potenza di vita, di guarigione, ci fa guarire dai nostri problemi, dalle nostre paure, dalle nostre emorragie, dalle nostre perdite di sangue, di vita, dalle nostre immondizie, dai nostri peccati. Toccare Gesù guarisce, pulisce.

Dicevamo che Gesù è come luce che fa vedere lo sporco; ma Gesù è anche colui che pulisce. Il raggio di sole mi fa solo vedere lo sporco e mi lascia la polvere; invece Gesù lavora lui, vuole che io gli dica tutta la verità, solo così non mi nascondo. La potenza salvifica ce la mette lui: «Va’ in pace». Lui crea quella pace, quella pienezza di vita e «sii guarita dal tuo male». È già guarita, eppure adesso c’è la proclamazione sacramentale della guarigione.

Un atto sacramentale

Avete notato quante volte, parlando di questo episodio, faccio riferimento ai sacramenti? La teologia dei sacramenti si radica proprio in questi racconti. Noi celebrando i sacramenti viviamo queste esperienze di contatto con Gesù, di segni, di mani, di parola che realizza ciò che dice. Quando uno va confessarsi, ed è pentito, è già stato perdonato, nel senso che se non fosse pentito non andrebbe a confessarsi e anche perché il perdono di Dio ha provocato in lui il pentimento. Ma è necessario che il ministro della Chiesa gli dica: “ti assolvo”. Quella donna ha sentito che è guarita, dopo di che Gesù le dice “sii guarita”. Comanda espressamente quello che è già avvenuto, perché lei è stata disponibile nella fede.

35Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». 36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!».

Solo credi

Nel frattempo è successo l’irreparabile, quella bambina era agli estremi ed è arrivata la fine. I parenti comunicano la tremenda notizia a quell’uomo e aggiungono che ormai è inutile chiamare Maestro, non serve più. Finché c’è vita c’è speranza, ma quando non c’è più vita non c’è più speranza. Questa volta Gesù parla e dice a quell’uomo di non avere paura e di credere.

In greco si adopera l’imperativo presente e, dato che il greco ha delle possibilità notevoli di sfumature dei verbi, se avesse voluto indicare un atto di fede puntuale, momentaneo, avrebbe usato un imperativo aoristo. Invece adopera un imperativo presente e quindi l’italiano è costretto a rendere con “continua ad avere è fede”. Il tempo greco corrisponde infatti a un imperativo continuativo, dice cioè una cosa che bisogna continuare a fare; non un atto istantaneo, ma un atteggiamento prolungato e abituale. «mònon pìsteue», “solo credi”: l’unica cosa che devi fare è continuare a credere.

Ecco l’altra affermazione di grande importanza: la tua fede ti ha salvata e tu continua a credere. Ma la bambina è morta, non c’è più possibilità. Non lasciarti spaventare, l’unica cosa che devi fare è continuare a credere. Non significa che, se ti ostini, la bambina risuscita. Non continuare a credere convinto che le cose vadano come vuoi tu, ma in ogni caso, l’unica cosa che tu devi fare è continuare a credere. Non lasciarti dominare dalla paura, ma continua a credere…

37E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.

Sceglie i tre che lo accompagneranno anche sul monte della Trasfigurazione e nel Getsemani quando lo vedranno angosciato davanti alla morte. I tre che saranno testimoni della gloria e della agonia adesso sono anche testimoni di questa potenza.

38Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava.

Secondo l’atteggiamento consueto in oriente; c’è un gruppo di persone nella casa che fa il lamento funebre, urla e si dispera.

39Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. 41Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!». 42Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.

Ancora particolari vivaci di Marco: quella gente accorsa ai funerali deride Gesù e Gesù li butta fuori tutti, con decisione. Non nel senso che gli dice: “per cortesia uscite fuori”; evidentemente ha alzato la voce ed entra nella camera solo con la madre, il padre e i tre suoi discepoli.

Prende la mano della bambina: ecco il tocco, il gesto fisico concreto. La parola riportata da Marco è una parola detta in aramaico perché l’evangelista vuole conservare proprio le parole stesse pronunciate da Gesù. L’autorità di Gesù Talità = bambina, kum = alzati. «Io ti dico» non c’è. Perché Marco le traduce? Le parole sono solo due: talità = bambina kum = alzati. Quel “io ti dico” è introdotto da Marco per rendere il tono della voce di Gesù.

Se confrontate questo episodio con due narrazioni dell’Antico Testamento, in cui si narra un fatto analogo compiuto da Elia e un altro da Eliseo, riuscite a notare le differenze. I due profeti pregano, compiono dei gesti, dei rituali, invocano Dio; Gesù no. Gesù ha l’autorità. I profeti chiedono a Dio che faccia il miracolo, Gesù invece lo fa a nome suo.

Quel “io ti dico” è importantissimo e Marco lo ha introdotto per dare la sottolineatura del tono divino con cui Gesù ha parlato: «fanciulla te lo dico io, alzati». Parlare così alla bambina morta è un segno portentoso, è una rivelazione nascosta, una rivelazione che vuole rimanere nascosta. Gesù, infatti, si raccomanda che nessuno venga a saperlo; è il ritornello del segreto messianico.

Gesù non fa questi gesti per crearsi dei clienti, per avere un seguito di persone che lo cerchino per avere dei piaceri; compie dei gesti significativi per aiutare la fede. Non li fa per suscitare la fede, ma li fa dove trova una disponibilità di fede.

Quando gli altri restano imbambolati di fronte all’evento Gesù sdrammatizza e l’ultima battuta è: “… e datele da mangiare, povera bambina”. Forse questo Gesù lo ha detto anche per dimostrare ai presenti – che increduli lo avevano deriso – l’efficacia del suo intervento. È un po’ quello che accadrà quando il Risorto, per dimostrare la sua corporeità nell’apparizione al cenacolo, chiede da mangiare. Probabilmente la fanciulla – considerando che era malata – non mangiava da tempo; adesso però che sta bene e può mangiare: “datele da mangiare!”

Il racconto è pieno di battute, fatto con un linguaggio sorridente, simpatico, ma è al centro della questione della vita. Queste due donne, incastrate l’una nell’altra, con delle vicende di 12 anni di morte sociale, di morte fisica, sono rianimate dalla fede.

Meditazione

Toccare Gesù, incontrare Gesù fa vivere. Quanta bella meditazione possiamo fare su questo. Quante attualizzazioni, quante applicazioni, quanta preghiera ne deriva. Riflettete solo su qualche espressione, studiate ancora un po’ il testo, mettetevi con calma di fronte al testo, rileggetelo, confrontatelo con quelli di Matteo e Luca e con la matita sottolineate qualcosa.

Poi fissatevi su qualche espressione, su qualche particolare e applicatelo a voi e andate in profondità. Non stancatevi presto. Non si tratta di sapere come va a finire la storia, questa la sapete già. Si tratta di ascoltare che cosa il Signore dice a noi attraverso questo testo, sentirci toccare dalla sua mano e sentire dentro di noi che siamo guariti, che è cambiato qualcosa.

Poi possiamo metterci in ginocchio davanti a lui e dirgli tutta la verità; dirgli la nostra paura, la nostra gratitudine, la nostra fede, la nostra incredulità, il nostro desiderio e l’orazione risponda alla meditazione.

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