IV Domenica di Quaresima (B)
15 marzo 2015.
Giovanni 3, 14-21

IV Domenica di Quaresima (B) 1
14 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

Gesù nel colloquio con Nicodemo (Gv 3,1ss.) si riferisce a un episodio della storia d’Israele, quando nel deserto, di fronte al problema dei serpenti velenosi che uccidevano il popolo, “Mosè fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita” (Nm 21,9). Come il serpente di Mosè era un segno di vita che liberava dalla morte, così l’innalzamento del Figlio dell’Uomo sarà un segno di vita che libererà dalla morte definitiva. Il riferimento di Gesù è alla morte di croce, espressione massima del suo amore, in tutto somigliante al Padre, un amore che renderà manifesta la sua condizione divina.

Il Figlio dell’Uomo è il prototipo della nuova umanità. Ciò che salva gli uomini dalla morte è fissare lo sguardo nel prototipo dell’uomo, cioè aspirare alla pienezza umana che risplende in questa figura, che, innalzata in alto, sarà il polo d’attrazione per l’umanità. Fissare lo sguardo in Lui, renderlo ideale della propria vita, significa aver fede che l’uomo può raggiungere questa altezza e associarsi alla vittoria definitiva di Gesù sulla morte, entrando per sempre nella sfera divina. Chiunque darà adesione al Figlio dell’Uomo innalzato in croce avrà una vita eterna, ovvero di una qualità indistruttibile, perché Gesù è colui che possiede la pienezza della vita e può comunicarla. La funzione che i farisei attribuivano alla Legge, essere fonte di vita, viene assunta dalla persona di Gesù, il Figlio dell’Uomo, innalzato in alto. Non è più l’osservanza di minuziose prescrizioni imposte all’uomo quel che dà vita, ma l’adesione al Figlio dell’Uomo, espressione massima dell’amore del Padre. Fin dalla prima volta in cui appare in questo vangelo il tema della vita eterna, questa non è relegata al futuro (avrà), ma al presente (abbia). I farisei pensavano alla vita eterna come ad un premio futuro per la buona condotta avuta nel presente. Per Gesù la vita eterna è una qualità di vita già nel presente.

16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.

Gesù è il dono di Dio all’umanità. Dio è amore che desidera manifestarsi e comunicarsi. Dio si manifesta nel Figlio Gesù e attraverso Lui comunica il suo amore. L’adesione a Gesù fa sì che l’uomo realizzi pienamente la sua esistenza in una qualità di vita capace di superare la morte. Il Dio di Gesù non risuscita i morti (il Dio dei morti), ma comunica la sua stessa vita ai viventi (il Dio dei viventi) e questi superano la morte. Nel cristianesimo primitivo era radicata la convinzione di essere già nella condizione di risorti (“e ci ha risuscitati con Lui e con Lui ci ha fatti sedere nel cielo in Cristo Gesù” – cfr. Ef 2,6; Col 2,12; 3,1). “Chi dice prima si muore e poi si risorge erra. Se non si risuscita prima, mentre si è ancora in vita, morendo, non si risuscita più” (Vangelo di Filippo).

17 Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.

Gesù prende le distanze dall’attesa farisaica di un Messia che doveva venire a giudicare gli uomini e a dividerli in giusti o peccatori, puri e impuri in base all’obbedienza alla Legge, per costituire un Israele popolo di eletti chiamato a dominare l’umanità. Gesù definisce se stesso il figlio, unendo in questa unica espressione il figlio dell’uomo e il figlio unigenito di Dio. In Gesù si uniscono la radice umana e la provenienza divina, è l’uomo che rende presente la pienezza divina. La condizione divina porta a compimento la condizione umana e questa, portata al suo culmine, include la condizione divina. La realizzazione in Gesù del progetto di Dio sull’umanità non è per un giudizio ma per una azione di salvezza. Dal momento del battesimo, con la discesa dello Spirito, Gesù, il Figlio, l’uomo con la condizione divina è la meta delle aspirazioni degli uomini: tutti possono accedere a Lui e, grazie al battesimo in Spirito Santo, raggiungere la condizione divina che potenzia l’uomo. Questa condizione non si raggiunge attraverso sforzi ascetici, o sacrifici, ma attraverso la costante pratica di un amore che assomiglia a quello di Dio, cioè fedele, gratuito ed incondizionato. La pratica di questo amore fa crescere l’uomo e gli fa raggiungere la pienezza della condizione umano-divina. Per la prima volta nel vangelo il verbo inviare (apostéllō = invio e apésteilen = inviò) è adoperato in maniera teologica: come Dio aveva inviato Mosè agli ebrei per liberarli (“così dirai ai figli di Israele: Io-Sono mi ha inviato [apestalkén me] da voi”, Es 3,14 LXX) così ora Gesù è il nuovo liberatore che deve iniziare il nuovo esodo.

18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

Dio, amore che desidera solo comunicarsi, non giudica. Il Figlio, manifestazione visibile di questo amore, nemmeno. È l’uomo che si giudica da solo, rifiutando questo amore. Dio non si comporta come un giudice, ma come datore di vita. Il rifiuto di questa pienezza di vita è il giudizio che l’uomo da se stesso emette. Chi sceglie la vita, che Dio offre in Gesù, avrà pienezza di vita. Chi rifiuta la vita ha fatto la propria scelta di morte. Pertanto per Gesù, chi crede, chi già gli ha dato adesione, non va incontro a nessun tipo di giudizio, ma è già nella vita definitiva. Dare adesione a Gesù, come figlio unico di Dio, equivale a credere nelle possibilità dell’uomo, vedendo l’orizzonte che l’amore di Dio apre al genere umano. Significa aspirare alla pienezza che appare in Gesù e che si è resa possibile attraverso lui, modello dei figli di Dio.

19 E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie.

Oltre che fonte di vita per gli uomini, la Legge era considerata la luce degli uomini, norma di condotta. Con Gesù la condotta dell’uomo non è guidata da un codice esterno, ma da Gesù medesimo, splendore dell’amore all’uomo. L’evangelista prima ha affermato che colui che rifiuta di dare adesione al Figlio dell’Uomo pronunzia la propria sentenza, ora spiega: colui che agisce contro la vita-amore sceglie la morte. La risposta degli uomini al Dio che ha tanto amato il mondo è stata negativa, perché amano le tenebre. Di fronte all’offerta di pienezza di vita hanno preferito continuare nella morte: è il peccato del mondo e questa è la sentenza che essi stessi si sono dati. Come è possibile rifiutare l’offerta di luce-vita? L’evangelista vede la radice del rifiuto nelle opere malvagie. Mentre le opere compiute da Gesù sono tutte tese a comunicare e a restituire vita agli uomini, quelle degli uomini tolgono questa vita. Gli oppressori dell’uomo, coloro che intendono dominarlo, non possono accettare un messaggio che li porta a servire.

20 Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate.

L’odio per la luce nasce dalla paura di venire smascherati. Non è la dottrina che separa da Dio ma la condotta di vita, per questo Gesù non offre dottrine ma pienezza di vita. Gesù si sta rivolgendo a Nicodemo, capo dei Giudei e fariseo, cioè appartenente a quel sistema di potere e di oppressione che nel vangelo di Giovanni viene raffigurato come “tenebre”.

21 Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”.

La verità, nel vangelo di Giovanni, non va creduta ma fatta, praticata, vissuta. Nel prologo Gesù veniva definito pieno di grazia e di verità (Gv 1,14), espressione con la quale l’evangelista intendeva indicare un amore vero, un amore fedele, che è la caratteristica dell’amore di Dio. Un amore che non si lascia condizionare dalle risposte dell’uomo. L’amore si può chiamare tale nella misura in cui, comunicando vita, realizza il bene dell’uomo. Colui che con la sua condotta ha collaborato all’azione creatrice di Dio si avvicina alla luce, e sarà manifesto che le sue opere corrispondono al disegno di Dio. Chiunque comunica vita agli uomini partecipa all’azione creatrice del Padre.

Riflessioni…

  • Fu innalzato, si levò, fu assunto… Una storia cruciale, un avvenimento esplosivo, un evento di libertà…
  • Tutte historiae accettate, volute per la vita: per quella del Figlio dell’uomo, per i figli degli uomini. E per una vita abbondante, ricca, piena di sensi e di valori.
  • In questa vita vale la pena credere: prototipo di ogni vita, e per questo sacra, in tutte le sue pieghe e in ogni sviluppo. Neanche una briciola di essa vada perduta… Qui si è giocata tutta la passione di Dio, fino a dare il meglio di sé, il Figlio.
  • Ogni processo divino si è rivelato in: “alzati e cammina; dico a te, alzati dal declino di morte; si levò e andò…” Sin dalla creazione, lo sforzo di Dio è stato di e-levare l’uomo alla sua altezza/dimensione, per guardarlo negli occhi, parlargli a viso a viso, e dirgli: “non ti condanno, sei il mio destino di salvezza”
  • È un processo d’amore: intrecciato prima ad una croce con braccia glorificate ed accoglienti, libero poi da vincoli mummificati di morte, Egli si appropria delle energie sparse di vita, riporta al cielo tutti i frammenti di vita salvati. E ricongiunge il tempo che fu con il futuro eterno, l’alfa e l’omega, il creato e l’ increato.
  • Ha ridonato speranze. Adamo si era alzato per un tocco divino ed aveva cominciato a vivere una vita diversa. Gesù si leva e con lui emerge alla luce ogni vita: e la Verità è fatta, immessa come linfa nella storia, riesplode nella luce totale divina, che fascia di sé ogni vivente. Ora è cominciata la Vita eterna.
  • All’uomo il compito di costruire, in un perenne cammino, la Verità donde trasudano luce e vita, al di là di certezze e sicurezze (sine-cura), relative, appaganti e devianti: un pellegrinaggio incerto sui sentieri della Verità, anche ricco di interrogativi, può ben condurre a risposte valide, durature, definitive, eterne: “Io sono la Via, la Verità, la Vita”.
  • Ad opere di tenebre, eseguite nell’ombra fitta, che sono morte, odio, malvagità, insensibilità, rifiuto anche del Figlio, possono corrispondere azioni lucenti e colorate di vita, ottimismo, voglia di vivere e di ricominciare a parlare e riprogettare, a riprendere le fila interrotte o spezzate. Da qui può riprendere la Vita eterna.

Associazione “il filo – gruppo laico di ispirazione cristiana” – Napoli

http://www.ilfilo.org