Lectio della Domenica

V DOMENICA DI PASQUA – Anno A

18 maggio 2014 – Giovanni 14, 1-12

duccio_luglioGesù ha appena fondato la sua comunità (cfr. cap. 13) dandole come statuto il comandamento dell’amore. Le spiegherà poi qual è la relazione della comunità con il Padre e con lui, relazione che sarà stabilita dalla sua andata al Padre. In primo luogo, i suoi saranno membri della famiglia del Padre che li accoglierà nella sua dimora. Gesù va a preparare loro il posto. Inoltre, indica loro il cammino che devono seguire, cammino che si identifica con lui stesso (vv. 4-6). La meta è conosciuta perché la sua persona rende presente il Padre, e il cammino è possibile perché le sue parole realizzano le opere del Padre (vv. 7.11). Nel cammino non mancherà loro il suo aiuto costante (vv. 12-14).

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 1 «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me.

Gesù fissa la sua attenzione sui discepoli e li tranquillizza. Esiste fra loro un turbamento dovuto, senza dubbio, al fatto che egli ha annunciato la sua partenza. Li esorta all’adesione ferma a Dio nella sua stessa persona, perché Lui e il Padre sono una sola cosa (10,30.38; 14,11.20; 17,21-23). Per tranquillizzarli spiegherà loro i frutti della sua partenza. L’opzione per Dio si identifica con l’opzione per lui.

2 Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”?

L’espressione la casa (ôikos) del Padre mio era stata applicata da Gesù al Tempio (2,16), che aveva cessato d’essere tale per trasformarsi in un mercato. Qui troviamo termini differenti: Nella casa (oikìa=casa e monài=dimore) del Padre mio vi sono molte dimore; con questi termini viene indicato un luogo ricco di molte dimore per una comunione di vita. Lì (2,16) doveva essere un’abitazione come si confaceva a un tempio; qui (v.2: dimore) è intimità, come caratteristico di una famiglia (4,53; 12,3). Come indicato dal nome di Padre, Dio appartiene all’ambito familiare. Il timore e il mistero del sacro passano ad essere fiducia e vicinanza. Dio sta e vive con l’uomo. In 1,38 riscontriamo la domanda dei primi discepoli: Maestro, dove dimori? Ora dalle parole di Gesù possono capire che vivranno dove vive Gesù.

3 Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi.

Gesù, il Figlio ed erede universale del Padre (1,14; 3,35; 13,3), accoglierà nella sua dimora i suoi. Egli darà la libertà agli schiavi (8,35s): con questo linguaggio figurato Giovanni l’evangelista, descrive il nuovo rapporto di ogni discepolo e della comunità con Dio. Questi non è più il Signore tremendo, la cui presenza coglie alla sprovvista e dinanzi al quale gli uomini sono servi (cfr., per es. il caso di Mosè: Gs 14,7; 2Re 18,12; di Giosuè: Gs 24,29; di Davide: 1Re 11,32.34; Sal 89,21; di Israele in generale: Sal 135,14): è il Padre; gli uomini potranno essere suoi figli, fratelli di Gesù (20,17), e vivere nella sua intimità.

4 E del luogo dove io vado, conoscete la via».

Gesù si fa cammino/via verso il Padre. Egli cammina con Dio (13,3) per l’amore, fino alla morte, come ha mostrato nelle scene precedenti. Dove io vado denota l’ingresso in uno stato definitivo, nella sfera divina, da dove egli continuerà a operare. Lì si completa il cammino. I discepoli, preparati dal dono dello Spirito, devono apprendere ad amare fino alla fine; questo sarà il loro cammino. Anche loro devono manifestare fin dove giunge l’amore di Dio per l’uomo. Il totale dono di sé li realizzerà pienamente e farà splendere in loro la presenza di Dio.

5 Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?».

Tommaso era apparso per la prima volta nell’episodio di Lazzaro (11,16). In quella occasione era disposto a morire con Gesù e credeva che il suo viaggio in Giudea si sarebbe concluso con la morte. Ora è chiaro che Gesù morirà, ma Tommaso non vede come la morte possa esprimersi in termini di passaggio che permetta di raggiungere una meta; per lui la morte stessa è la meta e la fine del viaggio. Perciò non sa dove Gesù vada. Anche dopo la risurrezione gli sarà difficile vederlo (20,24ss). È sconcertato e non trova la sua strada.

6 Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.

Gesù espone in primo luogo qual è il cammino; poi manifesta chi è la meta (il Padre). Egli stesso si definisce la via/ il cammino, e unisce tale sua qualità ad altre due: la verità e la vita.

Cammino/via è un concetto relativo, subordinato a un termine cui conduce. Verità, un concetto che suppone un contenuto cui si riferisce. Nel prologo è emerso chiaramente l’identità tra vita/verità/luce: (1,4: in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini). Ma dei tre termini l’unico assoluto è la vita (cfr. 11,25); gli altri due devono essere in relazione con essa. Ciò che in Gesù si trova, definitivamente al culmine, nel discepolo è acquisizione graduale, per la sua dedizione all’imitazione di Gesù. Il totale dono di sé corrisponde alla pienezza di vita e di verità, la fine del cammino, dove la pienezza dell’uomo incontra la pienezza di Dio. Gesù è così il cammino/via di coloro che possiedono la vita, e con essa la verità, egli li conduce al loro pieno sviluppo. Il cammino/via è stato espresso nel suo comandamento (13,34s); la verità era nel fango di vita, che egli pose sugli occhi del cieco (9,6); la vita è lo Spirito che egli comunica (7,37-39). Per il discepolo il Padre non è lontano (Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me), la sua presenza è immediata una volta che egli è nato dallo Spirito (1,13; 3,6). L’avvicinamento che deve effettuare è quello della somiglianza, la realizzazione del suo essere figlio (1,12), che va producendo una crescente intimità. Perciò non vi è altro cammino che Gesù, il Figlio unico. L’identificazione con Gesù, sviluppando con un amore simile al suo la vita ricevuta da lui, lo rende simile al Padre.

7 Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».

Il termine del cammino e della somiglianza è il Padre, ma questi è presente in Gesù. Se i discepoli possiedono una vera conoscenza di Gesù vedono presente in lui il Padre. Questa conoscenza tuttavia non è qualcosa di dato una volta per tutte. È progressiva e va rivelando con maggiore pienezza il Padre. Progredire nella conoscenza di Gesù, cioè approfondire la comunione con lui attraverso la pratica dell’amore, rende l’uomo sempre più figlio di Dio e gli fa conoscere progressivamente il Padre (17,3).

8 Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».

La richiesta di Filippo denota la sua mancanza di comprensione. Gesù lo ha invitato a seguirlo ma il discepolo lo ha identificato con la figura del Messia che aveva dedotto dalla Legge di Mosè e dai Profeti (1,43-45). 5

Filippo non ha compreso pertanto che Gesù non è la realizzazione della Legge ma dell’amore e della lealtà di Dio (amore fedele di Dio 1,14.17). Nella scena dei pani (6,5-7) mostrò di non aver compreso la novità del regno messianico; non comprende ancora neppure la qualità di Gesù Messia. Resta bloccato nella mentalità dell’antica alleanza. Vede in Gesù il rappresentante di Dio (cfr. 12,13: …Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re di Israele!), in cui si compiono le antiche promesse. Non si è reso conto che Gesù oltrepassa ogni promessa, che è la presenza stessa di Dio nel mondo.

9 Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre?”

Gesù gli risponde con un interrogativo. La prolungata convivenza con lui non ha ampliato il suo orizzonte. Ancorato all’idea tradizionale, non può comprendere che il Padre è presente in Gesù. Gesù spiega qui il contenuto della promessa fatta ai discepoli nell’episodio di Filippo e Natanaele: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo (1,51). Come si è rilevato in quell’occasione (cfr. Gen 28,12), la comparazione con Giacobbe si fondava sulla presenza della gloria di Dio in Gesù; la presenza della gloria-amore è quella del Padre. Ma Filippo separa ancora Dio dall’uomo. Non conosce la portata del suo amore né del suo progetto. Non concepisce ancora che nell’Uomo sia presente e si manifesti Dio. Come Giovanni ha notato, soltanto dopo la risurrezione di Gesù i discepoli compresero che era lui il nuovo santuario dove abita la gloria (2,22). Dio, pertanto, è visibile in Gesù.

10 Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere.

La presenza del Padre in Gesù è dinamica; attraverso di lui esercita la propria attività. Gesù, essendo la localizzazione della presenza del Padre (2,21), lo è anche della sua azione creatrice (5,17). Le parole come proponimenti di vita che Gesù presenta riflettono in molteplici aspetti l’attività dell’amore: formulano l’azione del Padre in lui, la sua azione a favore dell’uomo. Il Padre ha realizzato la sua opera in Gesù e, per mezzo dei proponimenti che questi espone, attraverso la sua esperienza, realizza la sua opera nell’umanità. Le parole di Gesù concretizzano e accrescono l’amore, che è lo Spirito: per questo comunicano Spirito e vita (3,34; 6,63) e rendono presente Dio stesso, che è Spirito (4,24). Questa crescente presenza del Padre nell’uomo, come principio di vita e attività, realizza in lui la sua opera, il suo disegno creatore. Così Dio salva l’uomo.

11 Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.

Gesù insiste sulla sua totale sintonia con il Padre, e come ultimo criterio, come fece con i capi giudei, si appella alle sue opere (10,37-38). L’ultimo argomento per provare l’autenticità della sua missione e identificazione con il Padre è oggettivo: Dio creatore deve essere necessariamente a favore dell’uomo, sua creatura. Se le opere di Gesù sono realizzate soltanto e totalmente a favore dell’uomo, è evidente che egli è una cosa sola con il Padre. La morte di Gesù, il suo consegnarsi per dare vita all’uomo, dimostrerà la sua totale identificazione con il Padre, datore di vita.

12 In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».

Gesù non propone se stesso come modello irraggiungibile, l’unico capace di compiere tali opere. Il discepolo potrà fare lo stesso e ancora di più. Questo conferma che i segni compiuti da Gesù non sono irripetibili perché straordinari, ma che il loro carattere principale è essere simboli dell’attività che sempre libera l’uomo offrendogli vita.

Con questa frase Gesù incoraggia i suoi per il futuro lavoro. Le sue opere non sono state un lampo momentaneo ed abbagliante, ma il principio di una nuova attività a favore dell’uomo, che deve essere realizzata da quanti aderiscono a lui, vivono della sua vita e compiono i suoi comandamenti. La liberazione deve andare avanti. La sua presenza e attività nel mondo significano una svolta nella storia; Gesù è venuto a cambiarne l’indirizzo; spetta ai discepoli continuare nella direzione data da lui. Con l’espressione perché io vado al Padre Gesù motiva la sua precedente affermazione: i discepoli compiranno opere come le sue, e anche maggiori, perché dalla sua nuova condizione, nella stabilità della sfera divina, egli continuerà a operare con loro.

Riflessioni…

  • Dove dimori? Interrogativo di ricerca, di chi si incammina ad intrecciare relazioni, con Dio e col Figlio suo, il Maestro. È l’ansia di intimità d’amore, che spinge l’uomo a saper dell’altro, cominciando dal dove. Per iniziare insieme un cammino.
  • Nasce da qui l’invito, l’accoglienza in una Casa comune, quella del Padre, ove c’è spazio e dimora, per tutti. E la sua Casa non è come quella degli uomini, non è un Centro transitorio, è una fissa dimora, per convivere nell’amore, come in una famiglia.
  • Da essa aveva iniziato il percorso, il Figlio, e, con in cuore il peso della nostalgia, ha segnato e traccia le vie per ritornare, non più da solo. È l’esperienza divina/umana, la sua; è la proposta che dona ad ogni uomo, garantendo di farsi indicazione, segno e via per ognuno, per il desiderio di comporre compagnie di vita.
  • E si fa Via luminosa di vita: Egli stesso percorso, certezza e dono da condividere insieme con tutti e con il Padre comune, che attende alla meta dopo aver lustrato le dimore della sua Casa per accogliere tutti, i figli della Storia. E in quella casa, essi perderanno il marchio della schiavitù, riacquisteranno la gioia della speranza, la sicurezza della vita, riscattata dal Figlio. E nessuno che calpesta questa via, ne sarà escluso.
  • Nasce così la possibilità, la realizzazione del desiderio del Padre, di sentirsi tale tra Figli. Mentre per il vigore dello Spirito, dono nei tempi e negli spazi, si potrà camminare su questa via, per riconoscere l’approdo finale, per ricalcare orme di chi incede e s’accompagna per guidare e sostenere, fino alla meta. Così per il Figlio, immagine trasparente del Padre, così per la Comunità che si fa luce e colora i grigiori di vite incerte, per alimentare speranze, per condividere spazi vitali, per anticipare nei segni eventi futuri.
  • E per tanto, l’incedere si fa sicuro, progressivo e vitale, fino a sperimentare preludi di vita, prima del dono finale e totale di vita divina. Questo il destino, questa la via, questa la proposta che dona il Figlio, che la Comunità sperimenta nella storia, ed anticipa, nella sua Umanità fedele al pensiero e alle attese di Dio.
  • Grazie alla Risurrezione, alla pienezza dinamica dello Spirito, all’impegno della Chiesa Sposa e Amante della vita, nata dalla paternità divina, salvata dal Figlio e curata dallo Spirito. Nell’armonica sintonia con la Trinità divina, la Chiesa s’impegna alla stima dei valori incarnati in ogni persona, offre il suo apporto per il rispetto suo costante ed universale, compiendo straordinarie opere e miracoli, nella trasparenza piena del suo volto, annunciando, testimone, insieme al suo Sposo: Chi vede me, vede il Padre.

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