Liturgia

Vangelo della Settimana

IV settimana di Pasqua
Commento di Paolo Curtaz

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Buon Pastore
Lunedì 1 Maggio >
(Memoria – Bianco)
San Giuseppe Lavoratore
Gen 1,26-2,3   Sal 89   Mt 13,54-58: Non è costui il figlio del falegname?
Martedì 2 Maggio >
(Memoria – Bianco)
Sant’Atanasio
At 11,19-26   Sal 86   Gv 10,22-30: Io e il Padre siamo una cosa sola.
Mercoledì 3 Maggio >
(FESTA – Rosso)
SANTI FILIPPO E GIACOMO
1Cor 15,1-8   Sal 18   Gv 14,6-14: Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?
Giovedì 4 Maggio >
(Feria – Bianco)
Giovedì della IV settimana di Pasqua
At 13,13-25   Sal 88   Gv 13,16-20: Chi accoglie colui che manderò, accoglie me.
Venerdì 5 Maggio >
(Feria – Bianco)
Venerdì della IV settimana di Pasqua
At 13,26-33   Sal 2   Gv 14,1-6: Io sono la via, la verità e la vita.
Sabato 6 Maggio >
(Feria – Bianco)
Sabato della IV settimana di Pasqua
At 13,44-52   Sal 97   Gv 14,7-14: Chi ha visto me, ha visto il Padre.
Domenica 7 Maggio >
(DOMENICA – Bianco)
V DOMENICA DI PASQUA (ANNO A)
At 6,1-7   Sal 32   1Pt 2,4-9   Gv 14,1-12: Io sono la via, la verità e la vita.

Lunedì 1 Maggio – San Giuseppe Lavoratore
Mt 13,54-58: Non è costui il figlio del falegname?

La reazione della gente di Nazaret a proposito della sapienza di Gesù fa pensare al capitolo del Siracide, che contrappone il lavoro manuale e la legge. La gente del popolo (operai, contadini) dice il Siracide, mette tutta la sua attenzione nelle cose materiali; lo scriba invece ha pensieri profondi, cerca le cose importanti e può essere consultato per il buon andamento della città.
La gente di Nazaret si domanda: “Da dove mai viene a costui questa sapienza? Non è il figlio del carpentiere?”, che non ha studiato e non può avere cultura?
È chiaro: la sapienza di Gesù è sapienza divina ed egli ha insistito varie volte sul mistero di Dio che viene rivelato ai piccoli, ai semplici e nascosto ai sapienti ed ha criticato gli scribi “che dicono e non fanno”.
D’altra parte il Vangelo insiste anche sulla parola: è necessario accogliere la parola di Dio E soltanto se ispirato alla parola di Dio il lavoro vale. “Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre”. “Tutto quello che fate”, siano lavori materiali, siano discorsi. Il Vangelo inculca il servizio sincero, umile, la disponibilità nella carità, per essere uniti a Gesù, figlio del carpentiere, che ha dichiarato di essere venuto a servire.
La vera dignità consiste nel servizio dei fratelli, secondo le proprie capacità, in unione con Gesù, Figlio di Dio. Verifichiamo la nostra scala di valori, per renderla sempre più aderente ai pensieri di Dio
.


In questo primo giorno di maggio l’Occidente ricorda il mondo del lavoro e le difficili condizioni dei lavoratori. È una festa cara ai sindacati e alla tradizione di stampo socialista. Anche la Chiesa, storicamente, con un bel po’ di ritardo, ha voluto riflettere su questo tema così sensibile. Oggi, lo sappiamo bene, anche il lavoro ha assunto una nuova dimensione a causa della globalizzazione e della innovazione tecnologica. All’orizzonte, però, resta la diversa interpretazione che diamo al valore del lavoro. Un esasperato capitalismo che mette il profitto, cioè l’accumulo di denaro, al centro di tutto, ha svilito il lavoro e la dignità del lavoratore. I papi hanno riflettuto, attraverso la dottrina sociale della Chiesa, sul corretto rapporto fra lavoro e vita umana, proponendo una via evangelica innovativa e credibile. La memoria di San Giuseppe lavoratore ci ricorda che Dio stesso ha sperimentato le gioie e le fatiche del guadagnarsi il pane col sudore della propria fronte. Nella Bibbia il lavoro compie la creazione del mondo, rendendo l’uomo il giardiniere cui è affidato il cosmo. Come sarebbe bello recuperare questa dignità nel mondo del lavoro!

Lunedì della IV settimana di Pasqua
Gv 10,11-18: Il buon pastore dà la vita per le pecore.

Gesù parla per immagini e oggi riprendiamo la figura del pastore delle pecore che ieri, dolorosamente, ci ha spinto a riflettere sul sacerdozio nella Chiesa e a pregare perché il Signore doni alla sua Chiesa pastori secondo il suo cuore. Leggendo l’inizio del brano di Giovanni mi piace sottolineare un particolare che chi vive in campagna conosce bene: fra gli animali e chi li accudisce si crea un rapporto di affetto e di complicità, di intesa. Le pecore (ma anche i cani, le mucche, i cavalli…) riconoscono bene il proprio padrone, ne seguono la voce, si avvicinano quando compare all’orizzonte. E Gesù conferma: è la voce che aiuta le pecore a riconoscere il padrone del gregge, a distinguerlo dai mercenari, dagli stipendiati che non si assumono certo dei rischi per le pecore! Come riusciamo a riconoscere la presenza del Signore nella nostra vita? Proprio dalla sua voce, dalla Parola che meditiamo quotidianamente e che è diventata il faro della nostra vita, la bussola per le nostre scelte. Meditare e conoscere la Parola ci permette di riconoscere il Signore nelle cose che facciamo, nelle scelte da compiere, senza farci deviare dalle seduzioni dei mercenari.

Martedì 2 Maggio – Sant’Atanasio

Il Vangelo presenta in modo molto realistico le difficoltà dei testimoni della fede: per questo lo si legge nella festa di sant’Atanasio, quattro volte esiliato, costretto a fuggire e a nascondersi proprio per la sua fede nella divinità di Gesù. Gesù Figlio di Dio non è al nostro livello, ci è infinitamente superiore, in un modo che possiamo appena intravedere nel racconto della trasfigurazione, e accettare nella fede. Ma nella storia della Chiesa sorgono ogni tanto uomini che vogliono ridurre Gesù alla misura umana, alla nostra statura di creature. Così è accaduto ai tempi di sant’Atanasio, con l’eresia di Ario, affermante che Gesù era semplicemente un uomo, grande, santo, adottato da Dio, ma non Figlio di Dio. E molti, anche vescovi, anche imperatori, accettavano questa teoria, perché è più facile, non esige l’adesione ad un mistero ineffabile, incomprensibile.
Atanasio difese questa verità di fede: è un mistero da cui dipende la nostra salvezza, perché se Gesù non è Figlio di Dio, noi non siamo né redenti né salvati, essendo la salvezza opera di Dio. Certo è una esistenza travagliata, una condizione penosa quella del fedele, e in più senza nessuna evidenza di vittoria. E’ difficile credere che Gesù abbia vinto il mondo quando si subiscono persecuzioni. Ma la vittoria non ci può essere senza lotta, senza essere passati attraverso la passione del Signore. Crediamo nel mistero “totale” di Gesù: il mistero di una morte sfociata nella risurrezione. Un cristiano non può meravigliarsi troppo di essere, come Gesù, perseguitato, perché solo a queste condizioni si giunge alla vittoria della fede.
Che cosa significa “vittoria della fede”? Significa continuare a credere, nelle tribolazioni, che Dio ci ama e ci prova per un maggiore bene.

Martedì della IV settimana di Pasqua
Gv 10,22-30: Io e il Padre siamo una cosa sola.

Perché i Giudei non riescono ad accogliere il fatto che Gesù è il Cristo di Dio? È Gesù stesso a specificarlo: non vogliono far parte delle pecore, non ascoltano la sua voce. La fede non è una scelta fatta davanti a due contendenti, analizzate tutte le possibilità, ma la scelta fiduciosa di seguire il Maestro. La fede ha a che fare con la fiducia, col fidarsi, non con il calcolo delle probabilità. Alcuni Giudei non credono perché cercano delle prove, perché vogliono essere certi della loro scelta. Ma una scelta, per quanto ragionevole, porta sempre in sé un margine di rischio, altrimenti non sarebbe una scelta! In questo anno della fede siamo invitati a riprendere in mano le nostre convinzioni che ci derivano dall’avere seguito il Signore: affascinati dalle sue parole, dalla sua visione del mondo e di Dio, ci siamo messi alla sua sequela, ascoltando la sua voce. E, facendolo, abbiamo sperimentato qualcosa di straordinario: siamo nelle mani di Dio e nulla ci può strappare dalla sua mano. Dio ama ogni uomo, certo, ma accogliere questo amore, farlo nostro, ci permette di sperimentare l’infinita tenerezza di Dio.

Mercoledì 3 Maggio – SANTI FILIPPO E GIACOMO
Gv 14,6-14: Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?

L’annuncio della partenza di Gesù dato durante l’ultima cena (Gv 13,33) provoca la domanda di Pietro: “Signore dove vai?” (Gv 13,36). Dopo aver annunciato il rinnegamento di Pietro, Gesù consola gli apostoli dicendo loro che va a preparare un posto per loro e aggiunge: “Per andare dove vado io, voi conoscete la strada” (Gv 14,4). Queste parole di Gesù hanno un duplice scopo nella mente dell’evangelista. Riportano in primo luogo all’insegnamento di Gesù, e in particolare al comandamento nuovo (Gv 13,34-35) indicando quale sia il cammino da seguire. Ma servono anche a motivare le domande di Tommaso, che provocherà una delle più belle dichiarazioni del Vangelo. In effetti Tommaso chiede: “Signore, noi non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?”. Gesù gli risponde: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,5-6). La risposta di Gesù ci rivela ancora una volta e con profondità il mistero della sua persona. Gesù Cristo, il Verbo incarnato, è la via verso il Padre. Una via unica ed esclusiva (“Nessuno va verso il Padre se non per mezzo di me”). Una via personale. Una via che si identifica con lo scopo perché egli è la verità e la vita (san Tommaso d’Aquino).
La dichiarazione di Gesù prosegue: “Se conoscete me, conoscerete anche il Padre” (Gv 14,7). Conoscere Gesù significa conoscere il Padre, Dio amore. Gli apostoli conoscono già il Padre e in qualche modo lo hanno visto nel Figlio, nel suo dono di amore. La domanda di Filippo e la riposta di Gesù (Gv 14,8-10) indicano unità tra il Padre e il Figlio, così stretta che sono parole e opere di salvezza, di amore, di dono di vita. L’opera di Gesù rappresenta la prova migliore di questa unità.
Nei tre versetti seguenti, Gesù fa due magnifiche promesse. In primo luogo promette al credente che compirà opere più grandi ancora delle sue (Gv 14,12) e poi promette di ascoltare sempre la preghiera di colui che la rivolgerà al Padre nel suo nome (Gv 14,13-14).


Oggi la Chiesa celebra la memoria di due apostoli, Filippo e Giacomo. È l’occasione, per noi, di attingere alle radici della nostra fede.
Due apostoli che ci richiamano alla saldezza della nostra fede, alla verità delle nostre certezze. Dobbiamo imparare a riconoscerli come fratelli, persone realmente esistite, uomini che hanno faticato, lottato, creduto. Così possiamo imparare da loro, imitare il loro ardore, compatire i loro (e nostri) limiti ed errori. Filippo è di Betsaida, la città di Pietro. Discepolo del Battista, lo troviamo entusiasta discepolo di Gesù, lo abbiamo incontrato ieri nell’episodio della moltiplicazione dei pani. Uomo di mezzo, del confronto, del meticciato, pontiere per vocazione, pur essendo di ascendenze greche (così lascia supporre il nome), ha fra i suoi amici Natanaele il conservatore, ma a lui si rivolgono i pagani per incontrare Gesù. Ben diverso da Giacomo cugino di Gesù e vescovo di Gerusalemme, autore delle lettere apostoliche che portano il suo nome, conosciuto nella comunità per la sua continuità con la tradizione ebraica (eccessiva, secondo san Paolo). Persone molto diverse per carattere ed esperienza e che, pure, hanno saputo superare le differenze mettendo al centro il Signore Gesù

Mercoledì della IV settimana di Pasqua
Gv 12,44-50: Io sono venuto nel mondo come luce.

È luce, il Signore. Le sue parole illuminano le nostre scelte, rischiarano le nostre tenebre. La fede, come più volte abbiamo detto, è la luce che illumina la nostra stanza interiore. è come se vivessimo in un luogo oscuro: impariamo a muoverci, col passare degli anni, a riconoscere gli oggetti che ci stanno attorno, ad avere una vita “normale”. Poi, d’improvviso, qualcuno apre gli scuri e la luce del sole entra nella nostra stanza. Gli oggetti sono gli stessi, la nostra vita è la stessa, ma ora tutto ha un aspetto diverso: ciò che in precedenza non riuscivamo a capire è chiaro, e nulla più ci fa paura. La fede diventa misura dell’essere e dell’agire. Accogliere le parole del Signore, fidarsi di lui, significa fare questa bruciante esperienza di novità che cambia il nostro modo di vedere le cose. La stessa Parola, però, discrimina e giudica. Chi si ostina a non lasciare entrare la luce si condanna a vivere nell’oscurità. La tenebra, quindi, non è “punizione” divina ma conseguenza della nostra libera scelta. Lasciamo che la Parola, oggi e sempre, illumini e riscaldi la nostra vita, motivi e orienti le nostre scelte quotidiane.

Giovedì della IV settimana di Pasqua
Gv 13,16-20: Chi accoglie colui che manderò, accoglie me.

Gesù è il rivelatore del Padre, perché lui e il Padre sono una cosa sola. Dopo la lavanda dei piedi, che nel vangelo di Giovanni sostituisce l’ultima cena, Gesù cerca ancora, inutilmente, di preparare i suoi a ciò che sta per accadere e che essi neppure lontanamente immaginano. Gesù è “Io sono”, e per dimostrarlo non propone più grandi segni, non chiama a testimone la Scrittura o la profezia del Battista, non più. Ora Gesù pone come segni della rivelazione della sua identità due fatti: il servizio umile che ha appena reso ai propri discepoli, lavando loro i piedi, e il tradimento di Giuda che sta per avvenire. Due segni sconcertanti, imbarazzanti, che quasi negano la grandezza di Dio e che, invece, se letti bene, ne svelano l’inaudita profondità. Il nostro Dio è il Dio che serve gli uomini, che si umilia, che si consegna, che dona la propria vita per amore a persone che non capiscono il valore di questo dono infinito. Quanto è distante questo volto di Dio da quello piccino che portiamo nel cuore! Paolo, avvinto dallo Spirito, inizia il suo viaggio missionario ad Antiochia, la sua prima comunità, dove, rileggendo la sua esperienza, giunge a confessare la fede nel Gesù crocefisso e risorto.

Venerdì della IV settimana di Pasqua
Gv 14,1-6: Io sono la via, la verità e la vita.

Gesù rasserena i suoi discepoli e noi. Non siamo lasciati soli, abbandonati al nostro destino, siamo nel cuore di Dio che vuole che dimoriamo con lui anche dopo la nostra morte. L’eternità è già cominciata per ognuno, ma è solo dopo il nostro percorso che potremo fiorire. Gesù, allora, ci chiede di dimorare nella pace, di avere fiducia, di seguire la via. Quale via? È Tommaso che lo chiede, proprio quel Tommaso che abbiamo raffigurato come incredulo e che nei vangeli, invece, dimostra molte volte di essere un grande credente. Gesù afferma di essere lui la via, la verità, la vita. La via, la strada che conduce a Dio e a noi stessi. Imitando il Signore, ascoltando le sue parole, mettendoci alla luce della sua presenza facciamo esperienza di Dio ma, anche, alla sua luce scopriamo la nostra identità profonda. La verità: in questi tempi in cui tutto è opinione e nulla è certo (eccetto il fatto che nulla è certo!), i discepoli continuano ad affermare che esiste una verità oggettiva e questa verità non è un insieme di dottrine da imparare ma un volto, quello del Signore Gesù. La vita: la fede ci permette di scoprire la vita vera che non è solo l’esistere ma l’amare…

Sabato della IV settimana di Pasqua
Gv 14,7-14: Chi ha visto me, ha visto il Padre.

Come biasimare il povero Filippo? A volte Gesù supera davvero il limite, spinge davvero troppo l’acceleratore! Per un ebreo era già una rivoluzione quasi impossibile cambiare la propria idea su Dio. Ma i Dodici l’avevano fatto, avevano lentamente convertito il proprio cuore al volto di Dio così come Gesù, durante i tre anni di predicazione, l’aveva raccontato. Ora, alla fine della storia di Gesù, il desiderio di vedere il Padre, il Dio di Gesù, è forte e crescente. Ma Gesù compie un ulteriore salto in avanti: chi ha visto lui ha visto il Padre. Quindi, afferma il Maestro, non solo egli è venuto a parlare in maniera innovativa di Dio, non è solo un grande profeta, un uomo spirituale con una grande intimità con Dio. Non è solo col Padre ma del Padre, perché lui e il Padre sono una cosa sola. Ci vorrà ancora del tempo e molto Spirito Santo per capire l’enormità di questa affermazione, per definire l’identità di Gesù, ma la direzione è tracciata. Solo dopo la resurrezione i discepoli capiranno che Gesù è la presenza stessa di Dio, che è più del Messia, è il figlio stesso di Dio. Guardando Gesù noi già intravediamo il volto del Padre.

da http://www.lachiesa.it