Fede e Spiritualità
di Luigi Territo
La Civiltà Cattolica
Quaderno 4020, pag. 602 – 608 Anno 2017, Volume IV
16 Dicembre 2017
Alcuni estratti. Leggi l’intero articolo:
Toccare Gesù: arte e assenza
Il contatto genera sempre una duplice trasformazione: non si può toccare senza essere «toccati». Il tatto è, tra i sensi, il più compromettente: è prossimità, violazione, relazione, confidenza. È il più umano e il più mistico dei sensi.
Per l’antropologia biblica, «toccare» è qualcosa che va oltre la percezione di un contatto fisico: attraverso il tatto la Scrittura parla di purificazione, guarigione, perdono, desiderio.
Nei Vangeli, il verbo aptomai («toccare») ricorre otto volte in Matteo, dodici in Marco, nove in Luca, e una sola volta in Giovanni. Nel quarto Vangelo, l’unica menzione del verbo, in forma imperativa negativa, ricorre nelle parole del Risorto a Maria di Magdala. L’evangelista desidera che la vita dei nuovi discepoli «si fondi non più sul poter vedere o toccare Gesù, mai più disponibile fenomenicamente ai loro sensi, ma sulla fede che nasce dall’ascolto della sua parola testimoniata».
A differenza degli idoli, Gesù vede, ode, odora, tocca e cammina. Il Vangelo ci ricorda numerose esperienze di guarigione in cui egli risana i sensi di persone malate. Gesù non teme il contatto con malattie e impurità: «Accarezza, abbraccia» (Mc 10,13-16), «solleva» (Mc 1,31), «prende per mano» (Mc 5,41), «impone le mani» (Lc 4,40), «tocca» i malati (Mc 1,41; 7,33). Contravvenendo ai precetti della legge mosaica, Gesù tocca e si fa toccare. Fin dalla nascita si consegna alle mani dell’uomo.
Il Messia atteso da Israele è un uomo che desta curiosità; il suo corpo è oggetto di cure e attenzioni, ma non solo: è anche «schiaffeggiato», «schiacciato», «condotto», «catturato», «baciato», ucciso e «deposto»[3].
Da risorto, il suo corpo si concede alla vista e al tatto dei discepoli: «Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho» (Lc 24,39). La sua è una presenza tangibile. Gesù si fa toccare dalla sofferenza della gente. All’immutabilità delle divinità pagane egli contrappone la sua umanità, la sua emotività. La realtà «tocca» Gesù e chiede di essere da lui toccata, guarita, salvata. I sensi di Cristo guariscono la sensibilità atrofizzata dell’uomo, che guarda ma non vede, ode ma non ascolta, tocca ma non sente.
L’arte sacra tenta di raffigurare i diversi «contatti» del Vangelo. Superando il velo della rappresentazione, le opere artistiche ci invitano a una relazione, a una partecipazione. L’arte tenta di raccontare la «carne» del mistero, aprendo spazi di comunione. L’immagine attiva i nostri sensi, li stimola alla conoscenza.
Tra le tante narrazioni «tattili», desideriamo fermarci su due scene raccontate dai Vangeli. Due tentativi dagli esiti opposti: il Noli me tangere e L’incredulità di Tommaso. Due gesti, due intenzioni: un contatto negato, un contatto esaudito.
Il contatto negato: «Noli me tangere»
La risposta di Gesù risorto a Maria Maddalena, tradotta con l’espressione latina Noli me tangere, lascia intuire il desiderio di un contatto rifiutato. Gesù intende indicare a Maria «che il cambiamento che si opera in lui in forza del suo passaggio al Padre comporta un nuovo tipo di relazione».
Emblematico è, in questo senso, il gesto con cui Gesù risorto si sottrae, mentre la mano di Maria Maddalena si protende verso di lui: gesto riprodotto in numerose opere pittoriche.
Il contatto esaudito e l’incredulità di Tommaso
Nei Vangeli troviamo diverse testimonianze in cui Gesù si lascia toccare: «Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti» (Lc 6,19).
L’episodio dell’emorroissa è un brano interamente sviluppato intorno al tema del tatto. Accanto al contatto della folla che si stringe a Gesù, c’è il «toccare» nella fede di una donna anonima.
Un altro contatto, forse il più intimo e scandaloso raccontatoci dai Vangeli, ha ancora per protagonista una donna: è la peccatrice che, in casa di Simone il fariseo, bacia e unge i piedi di Gesù (cfr Lc 7,36-50). Per toccare il suo Maestro, ella infrange tutte le regole sociali e religiose del tempo, affrontando con coraggio il rischio del rifiuto e del disprezzo. Non dice una parola: i suoi gesti, le sue carezze, i suoi baci parlano per lei e parlano di lei.
Gesù si lascia accarezzare con naturalezza, con quella stessa semplicità con cui un giorno si offrirà alla vista e alle mani dei discepoli increduli: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate» (Lc 24,38-39). Il tatto confermerà la vista: Gesù risorto non è un fantasma, è un corpo vivo che può mostrare i segni delle sue ferite. Un corpo che può essere osservato, toccato. Un tema non facile da rappresentare. Come tradurre in immagine un corpo glorioso?
Forse ancora oggi una delle raffigurazioni più conosciute dei Vangeli post-pasquali è L’ incredulità di Tommaso, del Caravaggio, dipinta tra il 1601 e il 1602 per il marchese Vincenzo Giustiniani. Il Merisi opta per un corpo energico, statuario. Un incarnato chiaro e luminoso, cromaticamente contrapposto ai toni bruni e ombrosi degli apostoli.
Caravaggio sceglie una scena essenziale, tutta centrata sul gesto dell’apostolo incredulo. Lo sfondo è totalmente spoglio, la luce circoscrive gesti ed emozioni. I personaggi sono dipinti a grandezza naturale. Posti in primo piano, davanti all’osservatore, essi diventano compagni di un evento che si attualizza nel tempo e nello spazio di colui che guarda. Anche lo spettatore è così invitato ad abbassare lo sguardo sul costato di Gesù.
Ma non è solo il gesto dell’apostolo a lasciare sgomenti: è Cristo ad accompagnare il braccio di Tommaso. È ancora Lui ad accompagnare l’esperienza di fede del discepolo. Tommaso forse non avrebbe avuto il coraggio di arrivare a tanto. Ma è il Signore stesso a guidarlo dal dubbio alla professione di fede.
Caravaggio dipinge il nostro turbamento, la nostra incredulità, il nostro bisogno umano di vedere e di toccare. Modi diversi di entrare in relazione con il mistero del Dio incarnato.
Accanto al contatto tangibile dei contemporanei di Gesù, c’è un contatto nella fede che si realizza attraverso la «carne» delle Scritture. Considerando la Scrittura come una seconda incarnazione del Verbo, Origene ci suggerisce un accesso al mistero di Dio che si svela nel rapporto dialogico tra lettera e Spirito, dispiegando un itinerario spirituale che conduce il credente dalla carne di Cristo alla sua divinità, dall’interpretazione letterale della Parola al suo senso spirituale.
Anche noi, come Tommaso, possiamo così «rifugiarci nel Vangelo come nella carne di Cristo», toccando una Parola che chiede ancora di essere incarnata nella vita dei credenti.
Trattenere l’assenza
L’imperativo tradotto con l’espressione latina Noli me tangere contiene al suo interno uno dei temi che caratterizzano il «sacro». In tutte le religioni, ciò che è sacro è al tempo stesso distinto, separato, totalmente altro. Gesù, nel Vangelo, opta per un rovesciamento del concetto: con I’Incarnazione, la sua alterità diventa tangibile. Egli non solo si fa toccare, ma si donerà come cibo, come carne e sangue, per tutti i credenti.
«Il cristianesimo ha inventato la religione del contatto, del sensibile, della presenza immediata al corpo e al cuore», scrive Jean-Luc Nancy. Da questo punto di vista, la scena del Noli me tangere è un’eccezione che fa riflettere. Nel differimento del contatto e nella sua negazione si attua un rilancio del desiderio e una nuova relazione con una «presenza» assente. Anche le nostre raffigurazioni, in fondo, non sono altro che il tentativo di trattenere un’assenza. La pittura nasce da una volontà di supplenza. L’immagine, nella sua originaria semplicità, è il desiderio di rievocare un assente.
Il Vangelo di Giovanni ci racconta una presenza che, sottraendosi, rimane per sempre. Noli me tangere resterà per sempre un invito a toccare senza possedere: «Toccami con un tocco vero, ritratto, non appropriante e non identificante […]. Non puoi tenere né trattenere niente, ecco ciò che devi amare e sapere. Ecco che cosa ne è di un sapere d’amore. Ama ciò che ti sfugge, ama colui che se ne va. Ama che se ne vada».
– Il Vangelo di Giovanni ci racconta una presenza che, sottraendosi, rimane per sempre. Noli me tangere resterà per sempre un invito a toccare senza possedere: «Toccami con un tocco vero, ritratto, non appropriante e non identificante […]. Non puoi tenere né trattenere niente, ecco ciò che devi amare e sapere. Ecco che cosa ne è di un sapere d’amore. Ama ciò che ti sfugge, ama colui che se ne va. Ama che se ne vada». –
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