Commento al vangelo della Settimana Santa
Paolo Curtaz

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Lunedì della Settimana Santa
Gv 12,1-11: Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura.

Gli ultimi giorni, le ultime ore. È iniziata la più grande fra le settimane. Ora dopo ora seguiremo i passi del Signore, cercando di scrutare le sue emozioni, in punta di piedi. Si ripete, la grande settimana, ora e per sempre. Anche noi, andando al lavoro, preparandoci ad una lunga giornata da passare in casa, cercheremo di pensare spesso al Signore. Come staremmo se sapessimo di vivere le ultime giornate della nostra vita terrena? Quali emozioni, quali paure, quali delusioni, quali speranze colmerebbero i nostri cuori? Gesù inizia la settimana in casa di amici, un pranzo straordinario che vede Lazzaro fra i commensali. È durante quell’incontro che, secondo Giovanni, avviene l’unzione ad opera di Maria, sorella di Lazzaro. Tutti gli evangelisti raccontano questo episodio, anche se lo situano in momenti diversi. Poco importa: Giovanni lo pone qui per sottolineare il gesto gratuito e semplice della sua discepola. Ha ragione Giuda (ma anche gli altri apostoli pensano la stessa cosa!): il gesto di Maria è uno spreco. Visione utilitaristica e meschina della fede: i poveri li abbiamo con noi, li dobbiamo accogliere nella comunità. Gesù dimostra di gradire quel gesto ingenuo e pieno di speranza. Anche noi, oggi, facciamo qualcosa di bello per Dio!

Martedì della Settimana Santa
Gv 13,21-33.36-38: Uno di voi mi tradirà… Non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte.

Leggiamo in questi ultimi giorni le diverse versioni della cena. Oggi tocca a Giovanni che, come sempre, vola alto. Gesù, nel momento più tragico della sua vita, radicalmente turbato, vuole ancora salvare due suoi discepoli. Deve salvare Giuda dal suo delirio, convinto com’è di forzare la mano per far incontrare Gesù e il sinedrio. E anche se tenta di farlo rinsavire, con la comunione che viene data a Giuda, anche a lui (!) ormai, è abitato dalle tenebre. È perso, certo, ma Gesù non è forse venuto per chi è perduto? Esulta, il Signore: ora è il momento della glorificazione, ora potrà dimostrare inequivocabilmente l’autentico volto di Dio. E deve salvare Pietro dalla sua supponenza, dal suo credersi migliore degli altri. È questo il cuore del vangelo: la volontà invincibile di Gesù di salvare chi gli è affidato. E anche noi. Non esiste tenebra che ci possa definitivamente allontanare da Dio. Non esiste orgoglio che ci impedisca di rinascere. Come arriviamo a questa Pasqua? Il Signore desidera ancora donarsi e ogni eucarestia che celebriamo diventa il luogo in cui ripercorriamo e rendiamo presente la sua intatta volontà di redenzione per ogni uomo.

Mercoledì della Settimana Santa
Mt 26,14-25: Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito!

Abbiamo ridicolizzato Giuda, facendolo diventare una specie di macchietta. La nostra è un’operazione scorretta e sospetta perché lascia intendere che, in fondo, noi siamo migliori di lui. Ci fa comodo dividere il mondo in buoni e cattivi. Noi, pur non essendo santi, siamo certamente migliori di uno come lui… Il vangelo, invece, è molto attento nel suo giudizio: Giuda è e resta un apostolo e ciò deve farci riflettere. Giuda non accetta la predicazione di Gesù: egli, scoraggiato dalla reazione negativa del sinedrio che non vuole nemmeno incontrare il Nazareno, pensa di forzare la mano. Vuole un messianismo politico, vuole obbligare Gesù a manifestarsi davanti al mondo. Il suo ruolo nella congiura contro Gesù, ci dicono gli storici, è molto ridimensionato: la sua opera consiste nell’indicare il luogo e il momento propizio per arrestare Gesù senza troppo clamore. Ma la scelta di Giuda ferisce il Signore che cerca ancora di recuperarlo, di spingerlo alla conversione. Gesù, alla domanda di Giuda, risponde: tu lo dici. Come a dire: scegli tu, Giuda, se continuare, sei tu che dici di essere un traditore. Io non credo che tu lo sia, non crederci nemmeno tu…

GIOVEDI SANTO (MESSA IN CENA DOMINI)
Gv 13,1-15: Li amò sino alla fine.

È finita. Lo sa bene, il Maestro. Ha fatto di tutto per convertire il cuore degli uomini, il cuore del suo popolo. cosa gli resta da fare? È finita. Gesù, come accade anche a noi, sperimenta il limite, misura la fragilità, pesa il rifiuto dell’uomo. Che ce ne facciamo di un Dio che dialoga? Che ci lascia liberi di scegliere? Che ce ne facciamo di un Dio che rifiuta le regole per chiedere di amare, e amare non può restringersi nell’alveo ristretto di un codice? Che ce ne facciamo di un Dio che ci chiama “amici”, costringendoci a schierarci? È finita. Lo sa bene Giuda, l’unico fra i dodici che ha davvero capito cosa stia succedendo, l’unico che cerca un’ultima, disperata soluzione. È finita. Gesù si ritrova, solo, a decidere sul da farsi. Andarsene? Mollare tutto? Arrendersi all’evidenza? No. In quella cena che diventa pasquale Gesù va oltre, si dona, si consegna alla nostra assordante indifferenza. Quella cena che rifacciamo, in obbedienza. Quella cena che è la prima, quella da cui tutto nasce. Quella cena che oggi rifaremo, con fede, silenzio, adoranti. Siamo qui a misurare l’amore di Dio e ne siamo travolti. Ecco, Dio si dona in un pezzo di pane.


Inizia con la cena l’ultima notte di Gesù. Una cena pasquale celebrata secondo il calendario antico, contrapposto a quello del rinato tempio, quasi a segnare una presa di distanza. E stasera, in tutte le nostre chiese, ripeteremo quella cena in obbedienza all’ordine del Maestro di rifare quel gesto in sua memoria. E noi lo rifacciamo, giorno per giorno, a volte senza pensarci, distrattamente, ma consapevoli dell’immenso dono che ci è stato donato. Sì, Signore, ripetiamo quella cena ogni domenica e quell’incontro ci rende discepoli. In questa notte quel gesto assume un significato particolare: è espressione del grande amore che Dio ha per noi, ed è anche l’inizio del sacerdozio. Riviviamo con intensità e verità quella cena, lasciamo che sia ancora il Signore il protagonista, non rendiamo vano quel gesto. Nel cuore della notte, poi, seguiamo Gesù al Getsemani, sediamoci poco lontano e osserviamo il Maestro che decide di andare fino in fondo. Facciamo compagnia al Signore, questa notte, raccogliamoci in preghiera per un quarto d’ora, per dirgli che quel sacrificio non è stato inutile. Davanti a quella croce, noi ancora professiamo la nostra fede nel vero volto di Dio.

VENERDI SANTO (PASSIONE DEL SIGNORE) 
Gv 18,1- 19,42: Passione del Signore.

Il Venerdì santo è il giorno in cui la Chiesa sosta ai piedi della croce per meditare ancora sull’immenso valore dell’amore di Cristo definitivamente manifestato dalla sua morte.
Tace, la Chiesa. Tacciono, i discepoli. Le nostre chiese sono spoglie, disadorne, silenziose. Durante la giornata ci ritroveremo per ascoltare la passione. Non si celebra l’eucarestia, da nessuna parte: l’unico sacrificio resta quello di Cristo appeso sulla croce per siglare il legame definitivo fra il cielo e la terra. Tace anche il nostro cuore e le nostre (troppo spesso inutili) preghiere. Ecco Dio: osteso, mostrato, appeso ad una croce da cui pende esanime. Fino a questo punto Gesù ha voluto arrivare per manifestare la misura senza misura del suo amore. Tutto è compiuto, tutto è stato detto, tutto è stato dato. A noi, ora, di piegare le ginocchia e di professare, come solo sa fare il pagano centurione, che davvero Gesù è il Cristo di Dio. Lo è. E quella croce, per noi discepoli, diventa luminosa, segno di salvezza, esplicita e definitiva testimonianza d’amore. Quella croce che dovrebbe pendere sulle nostre scelte, che dovrebbe orientare tutte le nostre scelte. Croce diventata unità di misura dell’amore che Dio ha per noi. Fermiamoci ai piedi della croce nel silenzio dell’anima: fino a questo punto siamo amati.


Ecco la grande notte che vede Gesù in preghiera andare incontro al suo destino. Tutto è pronto, ora, e il Signore sa che solo così potrà dimostrare che le parole che ha detto non sono solo i discorsi di un esaltato, ma la definitiva manifestazione del volto di Dio. Altro è parlare, altro pendere da una croce. Eppure quella notte è la madre di tutte le lotte, di tutte le tentazioni. Perché mai Gesù dovrebbe andare a farsi uccidere? Per gli apostoli che non hanno capito la gravità della situazione? Per la folla di Gerusalemme che sembra già averlo dimenticato? Per i capi religiosi del popolo e i farisei che lo vivono con esplicita insofferenza? Per quale misteriosa ragione il suo sacrificio dovrebbe cambiare qualcosa? La grande tentazione di Gesù. L’ultima tentazione di Cristo, è la consapevolezza che la croce può essere un sacrifico inutile, eccessivo… Tutti siamo disposti a sacrificarci per qualcuno, a patto che il nostro sacrificio serva! Gesù accoglie il rischio di essere il per sempre dimenticato. Si dona, si offre, si consegna. La Chiesa, oggi, smette le solenni vesti liturgiche e si fa silenziosa e penitente, partecipando allo spettacolo di un Dio che muore per amore.

VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA (ANNO C)  
Matteo 28,1-10: È risorto e vi precede in Galilea.

Durante il sabato santo la Chiesa ferma ogni sua attività, aspettando la veglia pasquale, la madre di tutte le veglie, il cuore della nostra fede. Durante questa notte faremo memoria della resurrezione.

Un’altra notte ci attende. La più lunga fra le notti. Dopo quella in cui abbiamo assistito, scossi e impotenti, alla lotta interiore di Gesù e alla sua terribile scelta di donarsi per la salvezza dell’umanità, stiamo per celebrare la madre di tutte le veglie, la notte in cui la morte non è riuscita a fermare la potenza di Dio. Questo sabato in cui la Chiesa aspetta per poter correre sul fare del mattino al sepolcro per annunciare “non è qui, è risorto!”, si consuma nel silenzio di un’attesa fremente di gioia. Davanti alla tomba vuota la comunità dei discepoli ripensa alle parole e ai gesti del Maestro, parole e gesti che ora interpreta nella maniera corretta. Non solo: lo sguardo si allarga oltre l’orizzonte e ripensa a tutta la storia fra Dio e Israele, cogliendo nelle vicende narrate dalla Scrittura un crescendo che porta alla venuta di Cristo e alla sua morte e resurrezione. Abbiamo di che gioire, fratelli nella fede! Oggi il Signore Gesù risorge dalla morte manifestando a tutti chi egli veramente è! Lasciamo che sia il travolgente torrente in piena dell’annuncio pasquale ad abbattere gli argini di diffidenza e di dolore che a volte caratterizzano la nostra piccola vita…


Durante il sabato santo la Chiesa ferma ogni sua attività, aspettando la veglia pasquale, la madre di tutte le veglie, il cuore della nostra fede. Durante questa notte faremo memoria della resurrezione.
Per arrivare fino a qui ci siamo lungamente preparati. Abbiamo camminato nel deserto con autenticità per riscoprire noi stessi, per riconoscere la nostra sete interiore, il nostro immenso desiderio di luce e di vita. Fino a qui siamo arrivati, per questa notte in cui, in tutta la Chiesa, dalla foresta amazzonica alle grandi metropoli dell’Asia, alle vecchie comunità europee, risuona lo stesso annuncio: non cerchiamo fra i morti uno che è vivo, non è qui, è risorto! Gesù è vivo, amici. Non rianimato, non vivo nei nostri pensieri, no. È per sempre il vivente è per sempre il presente. La morte, ogni morte, quella fisica e quella spirituale, quella dell’anima e quella della gioia, è sconfitta. Gesù risorto è la sorgente inesauribile della nostra gioia! Se Gesù è vivo allora tutto ciò che ha detto e fatto acquista una luce diversa, una prospettiva inattesa. Ora sappiamo tutto, conosciamo i segreti della storia e della vita. Dio ci ha creati per amare e per gioire e il peccato che ci impedisce di amare e di gioire è definitivamente sconfitto. Leggeremo, durante la veglia, il racconto della storia della salvezza, dalle origine al sepolcro, dalla creazione alla redenzione. Gioiamo, amici, Cristo è risorto!

(SOLENNITA’ – Bianco) DOMENICA DI PASQUA – RISURREZIONE DEL SIGNORE (ANNO A)
At 10,34a.37-43 Sal 117 Col 3,1-4 Gv 20,1-9: Egli doveva risuscitare dai morti.

È la festa delle pietre rotolanti.
Dei macigni che ingombrano il cuore, che intossicano la vita, che impediscono la luce.
Dei massi che pensiamo possano fermare Dio, tombarlo, annientarlo, sopprimerlo, zittirlo, svilirlo.
E che, così, per ridere, di colpo, precipitano e si sbriciolano.
Così pensavano di fare i nemici del Nazareno. Quelli che lo ritenevano eccessivo.
Poco religioso e zelante, poco osservante delle norme, poco rispettoso delle autorità.
E allora, da vigliacchi, in fretta, di nascosto, lo hanno fatto fuori.
Disperdendo i suoi pavidi e attoniti discepoli.
Chiusa la vicenda Gesù falso profeta.
Alla vigilia di una grande festa, così da passare inosservata.
E, eccesso di prudenza, per evitare le mosse inattese dei soliti fanatici, fanno vegliare la tomba da soldati annoiati e armati.
Vegliare un cadavere per evitare che un manipolo di pecorai e pescatori lo rubi, sai che pericolo.
E invece.

Non è qui
Stanotte, a chi ha avuto la gioia di partecipare alla più importanti delle veglie di preghiera cristiane, nel vangelo di Matteo un angelo impudente ha detto alle donne affrante di smettere di cercare il crocefisso.
Loro erano tutte pronte, dopo la lunga notte insonne, e volevano, ultimo gesto di femminile e squisita attenzione, ripulire quel corpo squarciato, sepolto frettolosamente.
Come facciamo noi che pensiamo di rendere onore a Dio imbalsamandolo.
Che crediamo di renderlo felice costruendogli monumenti, non diventando testimoni.
Pronti a versare chili di profumo e di unguenti mielosi.
Ma non a convertirci.
Noi che abbiamo indossato la maschera del penitente e dell’affranto ai piedi della croce.
E invece, Dio non c’è.
Nessun crocefisso.
Nessun cadavere su cui piangere.
Sparito, svanito, partito, andato.

Se Dio, per noi, è una buonanima da venerare, ammonisce l’angelo, abbiamo clamorosamente sbagliato indirizzo. Non è qui.
Sarà questa la ragione per cui stentiamo a incontrare Dio? Perché continuiamo a bussare alla porta di un sepolcro?

Rolling stones
Le donne salendo al sepolcro sono preoccupate.
Una grande pietra le separa dal corpo del Maestro.
Chi sposterà la pietra?
Preoccupazione legittima. Ma inutile.

Quale pietra ha sepolto la nostra fede? Quale tiene lontano Dio dalla nostra vita? Quale ci impedisce di essere veramente felici?
Viviamo accampando scuse, ponendo condizioni alla nostra felicità
Se fossi, se avessi, se potessi…
Non è vero. Se non sono felice qui e ora non potrò mai essere felice.
E le ferite, i dubbi, gli squarci del passato, la pietra tombale che non riusciamo a togliere Dio la scaraventa per aria.
Gettando a gambe all’aria anche i poveri soldati che pensavano di ingabbiare Dio.

Anch’io
Voglio esserci, ancora e ancora Signore.
Nel cuore vibra l’attesa per questo giorno, per quella Pasqua ultima che attende la Storia e la mia storia.
La mia pietra è stata ribaltata, finalmente. E tu ancora mi dici di non toccarti, di non bloccarti.
Altre pietre sono da scardinare. Una per ogni cuore.
La tua missione di ribaltatore di pietre non finirà mai.

A me chiedi di correre al sepolcro, come Pietro e Giovanni.
Di vedere le bende, di vedere i tanti segni.
E di trarne le conseguenze.
A me chiedi di vivere da risorto, perché risorto con Cristo.
Di cercare le cose lassù, cioè quelle dell’anima, quelle dentro, quelle vere, quelle assolute.

Quest’anno, dopo secoli, il mausoleo che custodisce quel che resta della tua tomba, nei millenni meta di pellegrinaggi ma anche vituperata da chi ti odiava, è stato finalmente restaurato, dopo secoli di incuria e di mancato accordo fra i cristiani.
Non è un bel monumento. Anzi, è piuttosto bruttino, un pesante neobarocco zarista ottocentesco. E custodisce quel che resta di una tomba scavata nella roccia. Qualche metro di roccia calcarea foderati da preziosi marmi.
Stupisce e fa sorridere che milioni di uomini e donne, nella storia, abbiamo percorso migliaia di chilometri, in altre epoche rischiando pure la vita, per vedere una tomba vuota.
Non il mausoleo di Lenin. O la tomba di Elvis Presley.
Nessun corpo è custodito fra quelle mura.
Inutile cercarlo fra i morti.

Lode a te Dio Vincitore!


Pietro e Giovanni corrono nel silenzio della città ancora immersa nel sonno. Corrono lasciando al loro fianco la cava di pietra in disuso riutilizzata dai romani. I pali verticali, come alberi rinsecchiti, svettano in alto, aspettando nuovi condannati. Il sangue rappreso tinge di rosso il legno scuro. Corrono, ancora, il fiato manca, la tunica impaccia la corsa. Pietro, meno giovane, si attarda; scendono rapidamente oltre la cava. I soldati romani di guardia sono spariti, la tomba di Giuseppe di Arimatea è aperta, la pesante pietra che ne bloccava l’ingresso ribaltata. Giovanni aspetta, le tempie pulsano, ansima. Arriva Pietro. Giovanni lo guarda lungamente, poi abbassano la testa ed entrano. Nulla. Gesù è scomparso. Tutto è iniziato da quella corsa. Quella tomba vuota, ultimo drammatico regalo fatto a Gesù da parte del discepolo Giuseppe di Arimatea, ricco e potente, che non aveva potuto salvare dalla morte il suo Maestro, è rimasta lì, vuota, a Gerusalemme, muta testimone della resurrezione. Ora è ricoperta di marmi, la tomba, divisa e contesa (fragilità degli uomini) tra mille confessioni cristiane che ne rivendicano la proprietà. Poco importa. È lì, quella tomba, esattamente lì dove la trovarono Pietro e Giovanni. Ed è ancora vuota.