Venerdì della V settimana di Quaresima
Ger 20,10-13 Sal 17 Gv 10,31-42: Cercavano di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani.
In quel tempo, i Giudei raccolsero delle pietre per lapidare Gesù. Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre; per quale di esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio».
Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: “Io ho detto: voi siete dèi”? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata -, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre». Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani.
Ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase. Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui.
Commento
di L.M. Epicoco
“«Giovanni non ha fatto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui”.L’espressione finale del Vangelo di oggi sembra fornirci la chiave di lettura migliore. Infatti di Giovanni non si raccontano miracoli, e tutto quello che ha tentato di fare è umanamente fallito con la sua morte cruenta ad opera di Erode. Eppure quello che sembrava essere un fallimento non lo è stato davvero. Tutta la vita di Giovanni ha sempre indicato ciò che contava, e paradossalmente anche la sua morte. E forse pensando proprio alla violenza della morte torna in auge il tema fondamentale del Vangelo di oggi: Quando non si hanno più ragioni allora si sceglie la violenza. Era così ai tempi di Gesù ed è così anche ai nostri giorni:
“I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidarlo. Gesù rispose loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?»”.
Finché la violenza ha a che fare con le pietre è facilmente riconoscibile, ma ci sono tantissimi modi di usare la violenza. C’è quella delle parole ad esempio, o anche quella dei silenzi. Nelle nostre case le parole o i mutismi sono forme di violenza che usiamo quando i nostri dialoghi non riescono ad avere la meglio. Gesù sta tentando di dialogare con i Giudei, ma davanti alle evidenze che Egli porta, l’unica risposta che riceve è quella della violenza. Sentirsi i possessori della Verità delle volte ci arma contro gli altri. La prova vera di essere nella Verità è la capacità di dialogare sempre, e con tutti. E lì dove il mondo protesta noi dobbiamo poter offrire invece il martirio del dialogo, sempre, anche quando sembra inutile, anche quando sembra fallimentare. Perché alla fine non importa se quello che di giusto abbiamo fatto ha portato il risultato sperato. A noi il Signore ha chiesto di testimoniarlo e non di convincere il mondo. Quanto sarebbe bello se il mondo ci riconoscesse come cristiani proprio per la nostra capacità di dialogo.
http://www.nellaparola.it
di Paolo Curtaz
Non bastano le parole, siamo d’accordo. Tutti possiamo raccontare un sacco di belle cose, fare un sacco di grandi teorie, d’accordo. Ci vogliono i fatti. Quante volte incontriamo delle persone che, alla prova dei fatti, cadono clamorosamente. Quante persone si allontanano dalla fede a causa dell’incoerenza di noi discepoli che non riusciamo a vivere le cose che diciamo! Gesù, invece, indica le proprie opere per confermare le sue parole. E la folla gli crede, senza paura, senza ulteriori obiezioni, come invece fanno i sapienti, i religiosi, i dottori della legge. Non parliamo dei miracoli, ovviamente, pochi e tenuti perlopiù nascosti alla folla. Parliamo del grande miracolo della presenza di Dio nella vita quotidiana del maestro di Nazareth, nel suo modo di avvicinare le persone, di condurle verso il Padre, di interpretare la Legge, di condividere i suoi sogni con la comunità dei discepoli. Tutto è in sintonia, tutto è proporzionato alle sue parole. E un ultimo gesto, assurdo, folle, esagerato, la sua morte in croce, rivelerà a tutti gli uomini la verità della sua predicazione. La croce sarà il grande evento che mostrerà ad ogni uomo la verità della sua predicazione.
Meditazione del Papa Francesco:
“L’Addolorata, discepola e madre”
Questo Venerdì di Passione, la Chiesa ricorda i dolori di Maria, l’Addolorata. Da secoli viene questa venerazione del popolo di Dio. Si sono scritti inni in onore dell’Addolorata: stava ai piedi della croce e la contemplano lì, sofferente. La pietà cristiana ha raccolto i dolori della Madonna e parla dei “sette dolori”. Il primo, appena 40 giorni dopo la nascita di Gesù, la profezia di Simeone che parla di una spada che le trafiggerà il cuore (cf. Lc. 2,35). Il secondo dolore, pensa alla fuga in Egitto per salvare la vita del Figlio (cf. Mt. 2,13-23). Il terzo dolore, quei tre giorni di angoscia quando il ragazzo è rimasto nel tempio (cf. Lc. 2,41-50). Il quarto dolore, quando la Madonna si incontra con Gesù sulla via al Calvario (cf. Gv. 19,25). Il quinto dolore della Madonna è la morte di Gesù, vedere il Figlio lì, crocifisso, nudo, che muore. Il sesto dolore, la discesa di Gesù dalla croce, morto, e lo prende tra le sue mani come lo aveva preso nelle sue mani più di 30 anni prima a Betlemme. Il settimo dolore è la sepoltura di Gesù. E così, la pietà cristiana percorre questa strada della Madonna che accompagna Gesù. A me fa bene, in tarda serata, quando prego l’Angelus, pregare questi sette dolori come un ricordo della Madre della Chiesa, come la Madre della Chiesa con tanto dolore ha partorito tutti noi.
La Madonna mai ha chiesto qualcosa per sé, mai. Sì, per gli altri: pensiamo a Cana, quando va a parlare con Gesù. Mai ha detto: “Io sono la madre, guardatemi: sarò la regina madre”. Mai lo ha detto. Non chiese qualcosa di importante per lei nel collegio apostolico. Soltanto, accetta di essere Madre. Accompagnò Gesù come discepola, perché il Vangelo fa vedere che seguiva Gesù: con le amiche, pie donne, seguiva Gesù, ascoltava Gesù. Una volta qualcuno l’ha riconosciuta: “Ah, ecco la madre”, “Tua madre è qui” (cf. Mc. 3,31)… Seguiva Gesù. Fino al Calvario. E lì, in piedi … la gente sicuramente diceva: “Ma, povera donna, come soffrirà”, e i cattivi sicuramente dicevano: “Ma, anche lei ha colpa, perché se lo avesse educato bene questo non sarebbe finito così”. Era lì, con il Figlio, con l’umiliazione del Figlio.
Onorare la Madonna e dire: “Questa è mia Madre”, perché lei è Madre. E questo è il titolo che ha ricevuto da Gesù, proprio lì, nel momento della Croce (cf. Gv. 19,26-27). I tuoi figli, tu sei Madre. Non l’ha fatta primo ministro o le ha dato titoli di “funzionalità”. Soltanto “Madre”. E poi, gli Atti degli Apostoli la fanno vedere in preghiera con gli apostoli come Madre (cf. At. 1,14). La Madonna non ha voluto togliere a Gesù alcun titolo; ha ricevuto il dono di essere Madre di Lui e il dovere di accompagnare noi come Madre, di essere nostra Madre. Non ha chiesto per sé di essere una quasi-redentrice o una co-redentrice: no. Il Redentore è uno solo e questo titolo non si raddoppia. Soltanto discepola e Madre. E così, come Madre noi dobbiamo pensarla, dobbiamo cercarla, dobbiamo pregarla. È la Madre. Nella Chiesa Madre. Nella maternità della Madonna vediamo la maternità della Chiesa che riceve tutti, buoni e cattivi: tutti.
Oggi ci farà bene fermarci un po’ e pensare al dolore e ai dolori della Madonna. È la nostra Madre. E come li ha portati, come li ha portati bene, con forza, con pianto: non era un pianto finto, era proprio il cuore distrutto di dolore. Ci farà bene fermarci un po’ e dire alla Madonna: “Grazie per avere accettato di essere Madre quando l’Angelo Te lo ha detto e grazie per avere accettato di essere Madre quando Gesù Te lo ha detto”.
3 aprile 2020