Nm 21,4-9   Sal 101   Gv 8,21-30: Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono.

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire». Dicevano allora i Giudei: «Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: “Dove vado io, voi non potete venire”?». E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati». Gli dissero allora: «Tu, chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che io vi dico. Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo». Non capirono che egli parlava loro del Padre. Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui.

Commento

di Luigi Maria Epicoco
Credo che quando una persona si trova alla fine della propria vita e se ne accorge, allora il tenore delle sue parole comincia ad avere una profondità inaspettata. Chi gli è accanto sente quanto possano essere vere quelle parole ma non le comprende fino in fondo. Ci vuole sempre molto tempo a capire cosa volevano dire queste persone in quel momento. Così è per Gesù nel Vangelo di oggi. Sono parole infuocate, cariche di un senso nascosto che intuisci essere vere ma che non comprendi subito dove ti vogliono condurre:
“Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati”.
Sembra l’accorato appello di uno che dice: smetti di vivere solo, altrimenti alla fine affoghi. E forse questo è vero. C’è una cosa peggiore dei peccati, è la solitudine che crea la nostra superbia. È la solitudine di chi dice “non ho bisogno di nessuno, io mi faccio da me”. Un credente, ma ancor prima un uomo, è uno che ha l’umiltà di capire che non ci si salva da soli, e non si riesce a salvare quasi niente della nostra vita se qualcuno non irrompe in quella nostra solitudine e ci aiuta. L’apertura a Dio è innanzitutto uno squarcio inferto alla nostra autosufficienza, è una finestra spalancata in una stanza dove l’aria ormai è irrespirabile. Tutto il Vangelo è la buona notizia che in verità non siamo soli, e che una libertà vissuta nella solitudine non è libertà ma inferno, perché la gioia, come il dolore, la bellezza, come le cose difficili sono davvero vivibili solo a patto che tu abbia qualcuno con cui condividere ciò che ti accade. Siamo strutturalmente dipendenti dall’altro, ma di una dipendenza che dovrebbe produrre libertà non galera. Ma noi per paura di rimanere prigionieri di relazioni sbagliate ci condanniamo all’inferno da soli. All’inferno non c’è nessuna buona compagnia perché l’unica compagnia sarà il disprezzo che proveremo per noi stessi.
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di Paolo Curtaz
Chi è veramente Gesù? Questa domanda è cresciuta nel tempo del ministero di Gesù, fino a raggiungere la consapevolezza, da parte dei contemporanei di Gesù della pretesa messianica di Gesù. La crescente tensione che Gesù subisce è ben documentata dal vangelo di Giovanni che stiamo leggendo in questa fine di quaresima. Anche noi, come l’uditorio del Nazareno, ci chiediamo: chi è veramente quest’uomo? Nel brano di oggi Gesù vola alto, ci provoca, ci scuote: per diverse volte, riferito a se stesso, usa il nome di Dio “Io sono”. Il solo pronunciare il nome di Dio era un gravissimo reato, un abominio, un orribile peccato! Era impensabile che qualcuno, sano di mente, si attribuisse questo nome! E Gesù, per provare la sua identità profonda, chiede a chi lo ascolta di guardare le sue opere, di individuare nel suo comportamento l’opera di Dio. In questi giorni di deserto anche noi vogliamo individuare le opere del Padre nella nostra vita, vedere la sua presenza nascosta nelle pieghe della quotidianità. Se sapremo riconoscere in Gesù il vero rivelatore di Dio, con lui faremo esperienza della presenza del Padre.

Meditazione di Papa Francesco:
“Guardare il crocifisso sotto la luce della redenzione”

Il serpente certamente non è un animale simpatico: sempre è associato al male. Anche nella rivelazione il serpente è proprio l’animale che il diavolo usa per indurre al peccato. Nell’Apocalisse si chiama il diavolo “serpente antico”, quello che dall’inizio morde, avvelena, distrugge, uccide. Per questo non può riuscire. Se vuoi riuscire come uno che propone cose belle, queste sono fantasia: noi le crediamo e così pecchiamo. È questo che è successo al popolo d’Israele: non sopportò il viaggio. Era stanco. E il popolo disse contro Dio e contro Mosè. È sempre la stessa musica, no? “Perché ci avete fatto uscire dall’Egitto? Per farci morire in questo deserto? Perché non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero, la manna” (cf. Nm 21,4-5). E l’immaginazione – l’abbiamo letto nei giorni scorsi – va sempre all’Egitto: “Ma, lì stavamo bene, mangiavamo bene …”. E anche, sembra che il Signore non sopportò il popolo, in questo momento. Si arrabbiò: l’ira di Dio si fa vedere, a volte … E “allora il Signore mandò tra il popolo serpenti brucianti i quali mordevano la gente e morivano. Un gran numero di israeliti morì” (Nm 21,5). In quel momento, il serpente è sempre l’immagine del male: il popolo vede nel serpente il peccato, vede nel serpente quello che ha fatto il male. E viene da Mosè e dice: “Abbiamo peccato perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te. Supplica il Signore che allontani da noi questi serpenti” (Nm 21,7). Si pente. Questa è la storia nel deserto. Mosè pregò per il popolo e il Signore disse a Mosè: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta di metallo. Chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita” (Nm 21,8).

A me viene da pensare: ma questa non è un’idolatria? C’è il serpente, lì, un idolo, che mi dà la salute … Non si capisce. Logicamente, non si capisce, perché questa è una profezia, questo è un annuncio di quello che accadrà. Perché abbiamo sentito anche come profezia vicina, nel Vangelo: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che io sono e che non faccio nulla da me stesso” (Gv 8,28). Gesù innalzato: sulla croce. Mosè fa un serpente e lo innalza. Gesù sarà innalzato, come il serpente, per dare la salvezza. Ma il nocciolo della profezia è proprio che Gesù si è fatto peccato per noi. Non ha peccato: si è fatto peccato. Come dice San Pietro nella sua Lettera: “Portò i nostri peccati su di sé” (cf. 1Pt 2,24) E quando noi guardiamo il crocifisso, pensiamo al Signore che soffre: tutto quello è vero. Ma ci fermiamo prima di arrivare al centro di quella verità: in questo momento, Tu sembri il più grande peccatore, Ti sei fatto peccato. Ha preso su di sé tutti i nostri peccati, si è annientato fino ad adesso. La croce, è vero, è un supplizio, c’è la vendetta dei dottori della Legge, di quelli che non volevano Gesù: tutto questo è vero. Ma la verità che viene da Dio è che Lui è venuto al mondo per prendere i nostri peccati su di sé al punto di farsi peccato. Tutto peccato. I nostri peccati sono lì.

Dobbiamo abituarci a guardare il crocifisso sotto questa luce, che è la più vera, è la luce della redenzione. In Gesù fatto peccato vediamo la sconfitta totale di Cristo. Non fa finta di morire, non fa finta di non soffrire, solo, abbandonato … “Padre, perché mi hai abbandonato?” (cf. Mt 27,46; Mc 15,34). Un serpente: io sono alzato come un serpente, come quello che è tutto peccato.

Non è facile capire questo e, se pensiamo, mai arriveremo a una conclusione. Soltanto, contemplare, pregare e ringraziare.

31 marzo 2020