V Domenica di Quaresima (A)
Giovanni 11,1-45
Il tema centrale di questa Domenica è la resurrezione di Lazzaro, l’amico di Gesù. Il vangelo comincia e termina con Lazzaro ma al centro pone Cristo Signore che é la Resurrezione e la Vita. Questo racconto mostra con forza espressiva il dominio di Gesù sulla morte, nel momento stesso in cui questa sta per prendere potere su di lui.
Questo è l’ultimo dei sette miracoli di Gesù nel vangelo di Giovanni ed é preludio alla Resurrezione di Gesù; qui viene ribadita nuovamente la missione che Gesù ha ricevuto dal Padre assicurando ancora i discepoli che il loro Dio non é il dio dei morti, ma dei vivi.
La resurrezione di Lazzaro non é l’unica resurrezione, poiché i Sinottici narrano quella della figlia di Giairo, il capo della sinagoga (Mt 9,18-26; Mc 5,21-43; Lc 8,40-56), e Luca anche quella del figlio unico della vedova di Naim (7,11-17). La resurrezione é la più completa manifestazione del Regno che viene, poiché recupera al Regno di Dio gli uomini (che a tale Regno appartengono) che la Morte, dietro cui vi é “il Male”, “il Maligno”, “il nemico”, unica personificazione, tenta di far diventare sua preda.
Il miracolo della resurrezione di Lazzaro é un segno da interpretare alla luce dei vv. 4 e 40: la manifestazione della gloria di Dio. (Gv 11,4: Questa malattia non é per la morte, ma per la gloria di Dio.) – (Gv 11,40: Se credi, vedrai la gloria di Dio.).
Con questo prodigio Gesù rivela di essere la Resurrezione e la Vita, non solo proclamando questa verità (v. 25), ma richiamando dai morti l’amico che giaceva nella tomba già da quattro giorni.
vv.1-2: Il brano inizia parlandoci di Lazzaro di Betania, Maria e Marta. La presenza delle due donne ci richiama la memoria all’unico luogo dove conosciamo le due sorelle (Lc 10,38-42), dove Marta appare come capofamiglia, e non si menziona Lazzaro.
“Betania” si trova a meridione di Gerusalemme, distante circa 3 Km. (v. 18), diversa dalla Betania al di là del Giordano dove lo stesso Giovanni ci racconta che Gesù ricevette il Battesimo dal Battista (cf. Gv 1,28).
Lazzaro noto solo al quarto evangelista é ricordato anche nei brani immediatamente seguenti (Gv 12,1s. 17.); sicuramente era benestante (poté offrire una cena al maestro, Gv 12,1ss) e stimato (infatti i giudei erano presenti per il suo funerale), non può essere identificato con il personaggio della parabola di Lc 16,19-31.
v.3: “Quello che tu ami”: (tradotto con il tuo amico): nel testo viene utilizzato il verbo “phileo”, che indica “l’amore d’amicizia”. Gesù risponde al v. 5 con un verbo più pregnante “agapao” che nel N.T. viene usato sovente per indicare l’amore di Dio per gli uomini. E’ ancora con questo stesso amore che siamo chiamati a corrispondere (cf. Gv 21,15ss).
v.4: Qui Gesù riprende a parlare della sua missione, con una risposta inizialmente incomprensibile per i discepoli. L’affermazione solenne di Gesù, simile alla risposta sulla causa della malattia del cieco nato é la chiave per inquadrare e comprendere da un punto di vista teologico la resurrezione di Lazzaro.
“Ma per la gloria di Dio”: non significa semplicemente “perché sia glorificato il Signore”, ma per rivelare la potenza salvifica di Dio nel Figlio, affinché egli sia glorificato. La gloria del figlio é infatti la gloria del Padre ( cf. Gv 5,23; 17,1.4-5).
vv.5-6: Pur manifestando il suo amore per i tre fratelli (lo comprese anche la folla, v. 36) non si precipita al capezzale di Lazzaro morente, ma “si trattenne” due giorni nel luogo dove si trovava.
Il comportamento ha dell’incredibile, ma rivela un motivo superiore; del resto così aveva agito per la festa delle Capanne (7,6.8).
Era necessario, come si sa, per il seguito degli eventi. Quando Gesù decide di intervenire dalla Galilea a Betania, manifesta ai discepoli incerti che si deve procedere alla Luce di questo mondo, che é Lui (cf. v. 10).
vv.7-10: Deciso ora a partire convoca i discepoli, che stupiti e timorosi gli ricordano il pericolo cui va incontro. I capi infatti per ben due volte avevano minacciato di lapidarlo (cf. Gv 8,59; 10,31 e 39).
Gesù coglie l’occasione per ribadire diversi concetti: quello del “giorno” e quello del “sonno“, metafore usate per indicare rispettivamente la vita e la morte.
La breve parabola del giorno é analoga a quella che Gesù pronuncia prima della guarigione del cieco nato: Gesù paragona la sua vita terrena ad una giornata di 12 ore (si richiama il computo delle ore nella Palestina al tempo di Gesù).
Il detto del v. 10 é facilmente interpretabile se consideriamo Cristo la Luce vera: l’occhio da solo non può vedere; chi si ostina nelle tenebre dell’incredulità inciampa perché la fede non é in lui ( cf. Mt 6,22-23).
vv.11-13: I discepoli non comprendono la metafora del “sonno” perciò l’evangelista spiega che Gesù parlava del sonno della morte: per il Figlio di Dio la morte é un semplice sonno. Il Cristo con una parola può svegliare da questo stato e ridonare la vita.
Gesù tralascia di spiegare l’equivoco dei discepoli sul sonno-morte poiché saranno essi stessi testimoni.
vv.14-16: Gesù ci ripensa e torna sull’argomento spiegando che Lazzaro é morto e che la sua felicità non é per la morte ma per la fede dei discepoli che seguirà alla resurrezione.
Tommaso, proprio lui che dubiterà della resurrezione stessa del Signore, intuisce che si tratta di qualcosa di importante e si lancia con generosità ed esorta gli altri discepoli, pur evidentemente convinto che rientrare a Gerusalemme metterà in pericolo la loro vita.
vv.17-20: Gesù giunge a Betania dopo che Lazzaro é ormai morto da ben quattro giorni.
L’osservazione del tempo trascorso, dal momento della morte riveste grande importanza nell’economia del segno: la speranza della resurrezione “al terzo giorno”, come annunciava la profezia (cf. Os 6,1-2), é svanita per sempre.
Secondo la mentalità giudaica, nel quarto giorno dalla morte l’anima lasciava definitivamente il cadavere, mentre si riteneva che nei primi tre giorni aleggiasse ancora attorno al corpo privo di vita.
Nessuno poteva quindi dubitare della morte vera di Lazzaro; il suo cadavere infatti iniziava già a decomporsi (v. 39).
La narrazione adesso si concentra sui due incontri di Gesù con Marta e poi con Maria; Marta é attiva come al solito, Maria sta seduta in casa (é la conferma di Lc 10,38-42).
Da ricordare tuttavia che il costume voleva che le donne tenessero compagnia agli ospiti, in casa, sedendo per terra in segno di lutto; il lamento funebre si svolgeva all’aperto, nel cortile, non dentro casa, dove invece si osservava un completo silenzio.
vv.21-24: Marta alla presenza di Gesù sfoga il suo dolore; quasi lo aggredisce, sia pure con rispetto; lo chiama infatti Signore e riconosce con fede incrollabile la potenza del Maestro, anche se non osa chiedere il miracolo.
Gesù la rassicura, ma la risposta della donna evidenzia l’equivoco giocato dal futuro “risusciterà”: Gesù lo intende come un evento di prossima realizzazione, mentre Marta lo riferisce all’ultimo giorno della storia (coerentemente con quanto dicevano le scritture: cf. il già citato Os 6,1-2; Ez 37,1-14 la 1a lett.; Dn 12,2-3).
vv.25-27: Comprendendo l’errore della donna Gesù proclama esplicitamente: “Io sono la Resurrezione e la Vita…”. L’ “Io sono” è la formula della divinità, che rimanda ad Es 3,14.
Gesù sollecita la fede, sapendo che Marta risponderà positivamente. E la risposta, puntuale e pronta, é completa: ho creduto e continuo a credere che “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, il Veniente nel mondo”.
vv.28-34: Segue l’incontro con Maria, l’altra sorella e con la folla dei giudei. Ancora un equivoco dà modo a Gesù di annunziare la salvezza a molta più gente.
Marta avvisa in gran segreto la sorella della presenza di Gesù, perciò i giudei presenti in casa non capirono la ragione vera dell’allontanamento di Maria. Essi pensarono che andasse al sepolcro per piangere sulla tomba del fratello, perciò la seguirono. Maria come il cieco illuminato, come Giàiro (Mc 5,22), il lebbroso samaritano (Lc 17,16), cade ai piedi di Gesù per adorarlo, perché riconosce in lui il Cristo.
vv.35-37: Giovanni annota la reazione di Gesù che vede Maria e gli amici nel pianto: “fremé nello Spirito e fu sconvolto”
E’ uno sconvolgimento, un turbamento interiore di fronte all’incredulità dei giudei (Mc 8,12), alla poca fede di Maria; è lo stesso turbamento che proverà nell’ultima cena prima di annunziare che uno dei discepoli lo tradirà (cf. Gv 13,21). La partecipazione al dolore delle sorelle e degli amici, ed allo stesso dramma di Lazzaro, travolge per intero il Signore.
Il pianto del Signore suscita reazioni contrastanti: alcuni giudei si accorgono dell’amore (phileo) di Gesù per Lazzaro, altri sarcasticamente sottolineano che il guaritore del cieco nato avrebbe potuto evitare la morte di Lazzaro.
vv.38-44: L’osservazione di Marta ottiene lo scopo di sottolineare la grandiosità del miracolo.
“Togliete”: l’imperativo aoristo positivo ordina di dare inizio a un’azione nuova.
“Gesù alzò gli occhi e disse”: é l’azione sacerdotale, cfr. anche Gv 17,1; Mc 7,34; Mt 14,19, e la preghiera intensa.
E’ un rendimento di grazie, forse strano perché elevato prima che avvenga il fatto; Gesù lo vede come già avvenuto!
“gridò a gran voce”: Gesù aveva preannunciato che i dormienti nel sepolcro avrebbero ascoltato la voce del Padre, che é il Figlio (cf. Gv 5,28-29), adesso uno solo, poi tutti i dormienti.
La voce é così potente che “il morto” esce con ancora avvolto le mani e i piedi da bende, e con il sudario sul volto.
“scioglietelo”: di nuovo l’imperativo aoristo positivo ordina di dare inizio a un’azione nuova.
Il miracolo é compiuto e la scena termina come sospesa nel vuoto, senza ulteriori dettagli.
Tutto rimane immortalato nella solennità, come di solito accade nei vangeli. Con la resurrezione di Lazzaro la Chiesa può adesso inoltrarsi, non senza trepidazione di cuore, con canti ed inni, a celebrare il medesimo Signore glorioso nell’ingresso a Gerusalemme, nell’ignominia della morte alla Croce, nella Gloria della Resurrezione nella Domenica dei grandi Misteri.
Maria Chiara Zulato
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