V Domenica di Quaresima (A)
Giovanni 11,1-45
In quel tempo, le sorelle di Lazzaro mandarono a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Marta, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». (…)
(Letture: Ezechiele 37,12-14; Salmo 129; Romani 8,8-11; Giovanni 11,1-45).
Non è la vita che vince la morte, è l’amore
Ermes Ronchi
Di Lazzaro sappiamo poche cose, ma sono quelle che contano: la sua casa è ospitale, è fratello amato di Marta e Maria, amico speciale di Gesù. Il suo nome è: ospite, amico e fratello, insieme a quello coniato dalle sorelle: colui-che-Tu-ami, il nome di ognuno.
A causa di Lazzaro sono giunte a noi due tra le parole più importanti del Vangelo: io sono la risurrezione e la vita. Non già: io sarò, in un lontano ultimo giorno, in un’altra vita, ma qui, adesso, io sono.
Notiamo la disposizione delle parole: prima viene la risurrezione e poi la vita. Secondo logica dovrebbe essere il contrario. Invece no: io sono risurrezione delle vite spente, sono il risvegliarsi dell’umano, il rialzarsi della vita che si è arresa.
Vivere è l’infinita pazienza di risorgere, di uscire fuori dalle nostre grotte buie, lasciare che siano sciolte le chiusure e le serrature che ci bloccano, tolte le bende dagli occhi e da vecchie ferite, e partire di nuovo nel sole: scioglietelo e lasciatelo andare. Verso cose che meritano di non morire, verso la Galilea del primo incontro.
Io invidio Lazzaro, e non perché ritorna in vita, ma perché è circondato di gente che gli vuol bene fino alle lacrime. Perché la sua risurrezione? Per le lacrime di Gesù, per il suo amore fino al pianto.
Anch’io risorgerò perché il mio nome è lo stesso: amato per sempre; perché il Signore non accetta di essere derubato dei suoi amati. Non la vita vince la morte, ma l’amore. Se Dio è amore, dire Dio e dire risurrezione sono la stessa cosa.
Lazzaro, vieni fuori! Esce, avvolto in bende come un neonato, come chi viene di nuovo alla luce. Morirà una seconda volta, è vero, ma ormai gli si apre davanti un’altissima speranza: ora sa che i battenti della morte si spalancano sulla vita.
Liberatelo e lasciatelo andare! Sciogliete i morti dalla loro morte. E liberatevi dall’idea della morte come fine di una persona. Liberatelo, come si liberano le vele, si sciolgono i nodi di chi è ripiegato su se stesso.
E poi: lasciatelo andare, dategli una strada, amici, qualche lacrima e una stella polare.
Tre imperativi raccontano la risurrezione: esci, liberati e vai! Quante volte sono morto, mi ero arreso, era finito l’olio nella lampada, finita la voglia di amare e di vivere. In qualche grotta dell’anima una voce diceva: non mi interessa più niente, né Dio, né amori, né vita.
E poi un seme ha cominciato a germogliare, non so perché; una pietra si è smossa, è entrato un raggio di sole, un amico ha spezzato il silenzio, lacrime hanno bagnato le mie bende, e ciò è accaduto per segrete, misteriose, sconvolgenti ragioni d’amore: un Dio innamorato dei suoi amici, che non lascerà in mano alla morte.
Avvenire
VIENI FUORI!
Clarisse Sant’Agata
Quando nella quinta domenica ci viene proclamata la resurrezione di Lazaro siamo messi davanti ad un punto cruciale della nostra esistenza “io sono la resurrezione e la vita: credi questo?” E’ il momento in cui riporre, insieme a Marta, tutta la fiducia nel Signore «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». La comunione con Cristo in questa vita ci prepara a superare il confine della morte per vivere senza fine in Lui. Dio ha creato l’uomo per la vita e la resurrezione e questa verità dona la dimensione autentica e definitiva alla storia degli uomini. L’amore di Dio è più forte di ogni morte.
«Signore, ecco, colui che tu ami è malato» Nel testo abbiamo una grande insistenza sul fatto che Gesù è legato a Lazzaro, Maria e Marta da affetto, da una amicizia profonda e potremmo quasi dire che i due toni dominanti della scena sono amicizia-affetto e morte. Ci sembrano due elementi che stridono insieme, ma in questo testo viene alla luce un’amicizia che libera dalla morte. Gesù alla morte di Lazzaro toglie potere richiamandolo in vita e Maria alla morte di Gesù toglierà potere ungendolo di profumo. In fondo anche nella resurrezione di Lazzaro il vero miracolo forse è la potenza dell’amore di Gesù che l’evangelista Giovanni ci tiene poi a sottolineare. L’amore che lega Cristo all’umanità, Dio all’umanità e la morte e resurrezione stessa di Gesù è epifania dell’amore di Dio per l’umanità. Questo è stato tutto il senso della sua vita: il manifestare l’amore che lo lega al Padre e che ha la sua manifestazione concreta nell’amore folle per gli uomini. Gesù comincia a spiegare attraverso la scena della resurrezione di Lazzaro, la sua morte: va alla morte per liberare dalla morte i suoi amici, in forza della sua amicizia, spinto dall’amore per ogni uomo che è caro al suo cuore. Il racconto della resurrezione di Lazzaro potremmo considerarlo una straordinaria pagina di umanizzazione della morte. Gesù libera Lazzaro riportandolo in vita, ma prima ancora lo libera perché gli dimostra che gli vuole bene e Gesù ha la sua vittoria nell’amore che sa provare per l’amico morto. Più avanti Gesù riceverà su di sé quella liberazione dalla morte nel gesto di affetto di Maria, con quel profumo che lo accompagnerà fin sulla croce, l’unica unzione che scenderà con il suo corpo nella morte.
“Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto” Il primo incontro di Gesù è con Marta che sembra metterlo davanti ad un fatto evitabile. Marta continua poi il suo discorso appoggiandosi a cio che conosce di Gesù nel suo amore per lui: “tuttavia adesso io so che qualunque cosa tu chiedi ti sarà concessa”. Dopo che Gesù le promette la resurrezione Marta continua la sua professione di fede “io so che ci sarà la resurrezione nell’ultimo giorno”, nelle sue parole si comprende che crede nella resurrezione come principio teologico. Gesù la richiama ad un’altra fede: “io sono la risurrezione e la vita”. Ciò che conta non è se la resurrezione avviene adesso o alla fine dei tempi, ma ciò che è il cuore è credere in Gesù, in chi Lui è: non credere nella resurrezione, ma nel Risorto. Il problema non è mettere una accanto all’altra delle idee più o meno ben fatte, fondate, ma il problema è il passaggio dalla fede in una idea, da una credenza ad un rapporto personale con Lui. Il rapporto con Lui è ciò che è fondamentale e fondante e vince ogni morte.
“Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi” L’evangelista sottolinea tutta l’umanità di Gesù: Gesù è profondamente commosso, è scosso interiormente; scoppiò a piangere. Si insiste sui sentimenti di Gesù, su questo pianto di Gesù, sul fatto che lui faccia suo il pianto dell’uomo. Gesù piange perché l’uomo piange davanti alla morte di chi ama. Gesù piange perché quella condivisione del pianto dell’uomo è l’inizio della resurrezione che sta per operare. Gesù piange perché vuole bene a Lazzaro e coglie la necessità di quella sofferenza come Maria coglierà la necessità dell’unzione mentre gli altri non lo vedono. Gesù piange forse perché intravede anche il prezzo del gesto che sta per fare, sa che questa resurrezione lo porterà verso la sua ora. Gesù piange per rivelarci un altro aspetto del volto di Dio che soffre della nostra sofferenza. La resurrezione non è solo la rianimazione di un cadavere, ma è la partecipazione compassionevole di Dio alla morte e al dolore che vede intorno a se. Il segno da cogliere forse non è tanto la resurrezione di Lazzaro, ma che quell’evento ci parla della compassione di Dio, del suo piangere con l’umanità, dell’affetto di Dio per l’uomo. La nostra sofferenza tocca il cuore di Dio. È questo il cuore di Dio: lontano dal male ma vicino a chi soffre; non fa scomparire il male magicamente, ma con-patisce la sofferenza, la fa propria e la trasforma abitandola.
«Lazzaro, vieni fuori!». La tomba è chiusa da una grande pietra; intorno, solo pianto e desolazione. Gesù pur soffrendo egli stesso, chiede che si creda fermamente. Si mette in cammino verso il sepolcro e prega con fiducia suo Padre: «Padre, ti rendo grazie». Attorno a quel sepolcro avviene così un grande incontro-scontro. Da una parte c’è la grande delusione, la precarietà della nostra vita mortale che, attraversata dall’angoscia per la morte, sperimenta spesso un’oscurità interiore che pare insormontabile, la disfatta del sepolcro. Ma dall’altra parte c’è la speranza che vince la morte e il male e che ha un nome: Gesù ed è la sua parola che toglie le pietre dai nostri sepolcri. Anche a noi, oggi come allora, Gesù dice: “Togliete la pietra!”. Per quanto pesante sia il passato, grande il peccato, forte la vergogna, non sbarriamo mai l’ingresso al Signore. Togliamo davanti a Lui quella pietra che Gli impedisce di entrare nei sepolcri dentro i quali siamo finiti. In questa sua voce che ci chiama ad uscire riconosciamo la parola che ci ha chiamato all’esistenza nella creazione, ma riconosciamo anche la voce del buon pastore che chiama le sue pecore e loro lo ascoltano e lui le porta fuori (Gv10). E’ la voce di Colui che è il padrone della vita e vuole che tutti «l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). La nostra risurrezione incomincia da qui: quando decidiamo di obbedire a questo comando di Gesù uscendo alla luce, alla vita; quando dalla nostra faccia cadono le bende e noi ritroviamo il coraggio del nostro volto originale, creato a immagine e somiglianza di Dio e riprendiamo il cammino dietro di Lui.
Più avanti, al capitolo 12, l’evangelista Giovanni ci riposta a Betania, nella casa di Lazzaro, Marta e Maria. Gesù vi sosta prima del suo andare definitivo a Gerusalemme. Come se prima di andare incontro alla sua ora Gesù voglia rifugiarsi in questa amicizia, accoglienza che gli è cara. Prima di essere rifiutato, ucciso fuori dalle mura della città, Gesù entra in una casa, gode dell’intimità dell’accoglienza e dell’amore. Ora in questa casa non è Gesù che fa qualche cosa per l’umanità, ma Gesù riceve qualche cosa dall’umanità. Qui ora è Gesù quello che è amato, è quello che ha bisogno e Maria è colei che mette umanità in questa scena. Maria non può sottrarlo alla morte fisica come lui ha fatto con suo fratello, però Maria ve lo sottrae con quel profumo di umanità che mette su di lui. In qualche modo insinua un germe di vita in una storia di morte proprio come Gesù aveva fatto con Lazzaro a Betania.
Visitati e liberati da Gesù, chiediamo la grazia di essere testimoni di vita in questo mondo che ne è assetato, testimoni che suscitano e risuscitano la speranza di Dio nei cuori affaticati e appesantiti dalla tristezza. Il nostro annuncio è la gioia del Signore vivente, che ancora oggi dice, come a Ezechiele: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio» (Ez 37,12).
Brevi note sulle altre letture bibliche
Enzo Bianchi
In questa domenica le tre letture sono tutte focalizzate sulla resurrezione, anche se non sono state scelte come parallele: esse ci preparano alla prossima domenica di Passione e alla Settimana santa, che avrà come esito la resurrezione di Gesù.
Ezechiele 37,12-14
Ultima tappa della storia di salvezza prima della venuta del Messia, della pienezza dei tempi, è quella segnata dai profeti. Il profeta Ezechiele racconta ciò che gli è stato rivelato in una visione dovuta all’iniziativa di Dio. Egli guarda il popolo di Dio in quell’ora della catastrofe per la caduta di Gerusalemme in mano ai Babilonesi e constata morte e desolazione: la valle è piena di ossa di morti, che negano ogni speranza. Ma Dio gli fa vedere che su quelle ossa soffia il suo Spirito, Spirito creatore, Spirito che dà vita: c’è una resurrezione del popolo di Dio, una liberazione ormai prossima.
Lettera ai Romani 8,8-11
L’Apostolo svela la realtà di vita nuova che è il cristianesimo, una nuova creazione dovuta allo Spirito di Dio che è anche Spirito di Cristo. Attraverso l’adesione a Cristo, il cristiano diventa un uomo nuovo, viene strappato alla mondanità, e grazie alla resurrezione di Gesù partecipa alla sua vita eterna: è la liberazione dal peccato e dalla morte che è già iniziata in noi, ma che sarà piena quando lo stesso Spirito santo che ha risuscitato Gesù risusciterà i nostri poveri corpi mortali.
Un amore più forte della morte
Enzo Bianchi
La Pasqua è ormai vicina, e la chiesa ci invita a meditare sul grande segno della resurrezione di Lazzaro, profezia della resurrezione di Gesù.
“Un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato”. Gesù amava molto questi amici, che frequentava nei periodi di sosta a Gerusalemme: nella casa di Betania poteva godere dell’accoglienza premurosa di Marta, dell’ascolto attento di Maria (cf. Lc 10,38-42) e dell’affetto fedele di Lazzaro. Le sorelle mandano ad avvertirlo della malattia di Lazzaro, ma egli è lontano. Come può Gesù permettere che un suo amico si ammali, soffra e muoia? Che senso ha? Sono domande affiorate all’interno della rete di amicizie di Gesù, ma che ancora oggi risuonano quando nelle nostre relazioni appaiono la malattia e la morte; è l’ora in cui la nostra fede e il nostro essere amati da Gesù sembrano essere smentiti dalle sofferenze della vita…
Gesù, informato di tale evento, dice: “Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato”, ovvero è un’occasione perché si manifesti il peso che Dio ha nella storia e così si manifesti la gloria del Figlio, gloria dell’amare “fino alla fine” (Gv 13,1). Il suo parlare sembra contraddire l’evidenza: sempre nella malattia la morte si staglia all’orizzonte con la sua ombra minacciosa, eppure Gesù rivela che la malattia di colui che egli ama non significherà vittoria della morte su di lui.
E così – particolare a prima vista sconcertante – Gesù resta ancora due giorni al di là del Giordano. Solo il terzo giorno (allusione alla sua resurrezione!) annuncia la sua volontà di recarsi in Giudea. I discepoli non comprendono: “Rabbi, poco fa i giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?”. In risposta, Gesù espone loro una similitudine dal significato evidente: egli è intimamente convinto di dover vivere e operare come il Padre gli ha chiesto, e sa di doverlo fare nel poco tempo che gli resta, prima che giunga l’ora delle tenebre, quando non potrà più agire.
“Lazzaro, il nostro amico,” – continua Gesù – “si è addormentato; ma io vado a svegliarlo”. Di fronte all’ennesimo fraintendimento della sua comunità (“pensarono che parlasse del riposo del sonno”), Gesù dichiara apertamente: “Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!”. L’unico a reagire, in modo impulsivo, forse addirittura provocatorio, è Tommaso: “Andiamo anche noi a morire con lui!”. Al di là delle sue stesse intenzioni, egli afferma una profonda verità: seguire Gesù significa trovarsi dove lui è (cf. Gv 12,26), e se lui va verso la morte – come sarà chiaro alla fine di questo capitolo – anche ai discepoli toccherà altrettanto.
Gesù giunge con i suoi discepoli a Betania quando “Lazzaro è già da quattro giorni nel sepolcro”. Saputo del suo arrivo, Marta gli va incontro e gli rivolge parole che sono insieme una confessione di fede e un rimprovero: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. Poi aggiunge: “Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, te la concederà”. Marta è una donna di fede e confessa che dove c’è Gesù non può regnare la morte, che la morte di Lazzaro è accaduta perché Gesù era lontano. Ella crede in Gesù e, sollecitata da lui, confessa la propria fede nella resurrezione finale della carne. Ma Gesù la invita a compiere un passo ulteriore: “Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. E Marta replica prontamente: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”.
Anche Maria, chiamata dalla sorella, corre incontro a Gesù e, gettandosi ai suoi piedi, esclama a sua volta: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. I toni sono più affettivi, Maria esprime con le lacrime il proprio dolore. Ella ama Gesù e si sa da lui amata, si mostra pronta a incontrarlo e si inginocchia davanti a lui, ma non dà segni di una fede che possa vincere la sua sofferenza: è interamente definita dal suo inconsolabile dolore. Le sue lacrime sono contagiose: piangono i giudei presenti e piange lo stesso Gesù.
Qui ci è chiesto di sostare sugli umanissimi sentimenti vissuti da Gesù. Innanzitutto egli si commuove, freme interiormente. Di fronte alla morte di un amico, di una persona da lui amata, la prima reazione è il fremito che nasce dal constatare l’ingiustizia della morte: come può morire l’amore? Perché la morte tronca l’amore, la relazione? Poi Gesù si turba: il fremito di indignazione diventa turbamento, esperienza del sentirsi ferito e del sentire dolore e angoscia. Gesù prova questa reazione emotiva anche di fronte alla prospettiva della propria morte imminente (cf. Gv 12,27) e quando nell’ultima cena annuncia ai suoi il tradimento di Giuda (cf. Gv 13,21). Infine, alla vista della tomba Gesù scoppia in pianto, reazione che i presenti leggono come il segno decisivo del suo grande amore per Lazzaro.
Giungiamo quindi al vero vertice del racconto: l’incontro tra Gesù e Lazzaro. Gesù, ancora una volta fremendo nel suo spirito, si reca alla tomba e vede la pietra che chiude il sepolcro: colui che è la vita (cf. Gv 14,6) comincia un duello, una lotta contro la morte. Il testo apre uno squarcio sulla relazione di profonda intimità tra Gesù e Dio. “Gesù alzò gli occhi e disse: ‘Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi ascolti sempre’”, così come Gesù stesso ascolta sempre il Padre (cf. Gv 5,30). È l’unica volta che prega prima di compiere un segno, ma la sua è una preghiera di ringraziamento al Padre, a colui che è il fine stesso della preghiera: Gesù desidera che i presenti giungano a credere che egli è l’Inviato di Dio, dunque un segno che rimanda alla realtà ultima, alla fonte di ogni bene, il Padre.
La risposta di Dio giunge immediata, percepibile nella parola efficace di Gesù, che compie ciò che dice: “Lazzaro, vieni fuori!”. Gesù aveva annunciato “l’ora in cui coloro che sono nei sepolcri udranno la voce del Figlio di Dio e ne usciranno” (cf. Gv 5,28-29). Ecco un’anticipazione: Lazzaro, morto e sepolto, esce dalla tomba ancora avvolto dalle bende e con la sua resurrezione profetizza la resurrezione di Gesù. Non solo, ma la resurrezione di Lazzaro, “colui che Gesù ama”, manifesta la ragione profonda per cui il Padre richiamerà Gesù dai morti alla vita eterna: nel duello tra vita e morte, tra amore e morte, vince la vita, vince l’amore vissuto da Gesù. Gesù è la vita, è l’amore che strappa alla morte le sue pecore, le quali non andranno perdute (cf. Gv 10,27-28); se Gesù ama e ha come amico chi crede in lui, non permetterà a nessuno, neppure alla morte, di rapirlo dalla sua mano!
Avvenuto il segno, la sua lettura e interpretazione spetta a quanti lo hanno visto. “Molti dei giudei credettero in lui”. La fede non consente certo di sfuggire alla morte fisica: tutti gli esseri umani devono passare attraverso di essa, ma in verità per chi aderisce a Gesù, la morte non è più l’ultima, definitiva realtà. Chi crede in Gesù ed è coinvolto nella sua amicizia, vive per sempre e porta in sé la vittoria sulla malattia e sulla morte. Non solo, come si legge al termine del Cantico, “l’amore è forte come la morte” (Ct 8,6), ma l’amore vissuto e insegnato da Gesù è più forte della morte, è profezia e anticipazione per tutti gli amici del Signore, destinati alla resurrezione. Questa è la gloria di Gesù, gloria dell’amore, anche se all’apparenza egli sembra sconfitto: in cambio di questo gesto, infatti, riceve una sentenza di morte dalle autorità religiose, per bocca di Caifa (cf. Gv 11,46-53). Dare la vita a Lazzaro è costato a Gesù la propria vita: ecco cosa accade nell’amicizia vera, quella vissuta da Gesù, che ha donato la propria vita per gli amici (cf. Gv 15,13).
L’amore, l’amicizia di Gesù, dunque, vince la morte. Se siamo capaci di mettere la nostra fede-fiducia in lui, questa pagina ci rivela che non siamo soli e che anche nella morte egli sarà accanto a noi per abbracciarci nell’ora in cui varcheremo quella soglia oscura e per richiamarci definitivamente alla vita con il suo amore. Ecco il dono estremo fatto da Gesù a quanti si lasciano coinvolgere dalla sua vita: la morte non ha l’ultima parola, e chiunque aderisce a lui, lo ama e si lascia da lui amare, non morirà in eterno! Canta Gregorio di Nazianzo: “Signore Gesù, sulla tua parola tre morti hanno visto la luce: la figlia di Giairo, il figlio della vedova di Nain e Lazzaro uscito dal sepolcro alla tua voce. Fa’ che io sia il quarto!”.