Venerdì della III settimana di Quaresima
Os 14,2-10 Sal 80 Mc 12,28-34: Il Signore nostro Dio è l’unico Signore: lo amerai.
Testo del Vangelo
In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio».E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
Commento su Marco 12,28b-34
L.M. Epicoco
“Qual è il primo di tutti i comandamenti?”.
La domanda che lo scriba del Vangelo di oggi pone a Gesù non è una domanda scontata. La nostra vita sembra piena di tantissime cose che sarebbe giusto fare, ma ad un certo punto abbiamo bisogno di capire ciò che dovrebbe avere la priorità su tutto, cioè quello che fa da fondamento a tutto e che non dovremmo mai perdere di vista.
“Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore;amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi»”.
Se rileggiamo con calma questa risposta di Gesù ci accorgeremmo che ciò che precede la regola dell’amore è il verbo ascoltare. L’ascolto è il mettersi in un atteggiamento recettivo. Solo chi accetta qualcosa può anche poi darla a sua volta. L’amore che Gesù indica non è solo la genialità di tenere insieme il verticale e l’orizzontale; non è solo fare in modo che l’amore a Dio non si contrapponga mai all’amore al fratello, ma è voler suggerire che senza l’esperienza di lasciarsi amare (ascolta!) non è possibile nemmeno tutto il resto.
“Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocàusti e i sacrifici»”.
La reazione dello scriba precisa una verità importante che non dovremmo mai dimenticare: finchè la fede sarà solo la somma di sacrifici non sarà mai veramente la fede di Gesù Cristo. Solo quando ami sei davvero libero di fare un sacrificio senza che questo sia più fondamentalmente un sacrificio, ma solo la libera espressione del tuo amore. A chi ha capito questo si è spalancata una vicinanza nuova a Dio:
“Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio»”.
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Paolo Curtaz
Mi sembra il minimo che nessuno avesse il coraggio di interrogare Gesù! Il dottore della Legge gli pone una domanda ma non per ascoltare una risposta: vuole mettere in imbarazzo il Signore! I rabbini del tempo, una parte di loro almeno, sostenevano che bisognasse scrupolosamente osservare tutti e seicento i precetti, che non ve ne fosse uno più importante di altri. Gesù, invece, aiuta il malcapitato a riflettere su cosa è essenziale nella sovrabbondanza di precetti e questi, giustamente, riporta lo Shemà, la preghiera più importante per gli ebrei, quella che fa memoria della presenza di Dio e un altro comando, considerato essenziale da uno dei rabbini più seguiti dell’epoca, Hillel. Ottenuta la risposta Gesù lo liquida: bene, bravo, vivi quello che hai detto. Che imbarazzo! A volte anche noi riduciamo la fede a disquisizione, a grandi convegni, a teorie teologiche, senza lasciare che la Parola di Dio fecondi e cambi le nostre vite… Evitiamo di ridurre la fede a teoria ma applichiamola nella concretezza delle nostre scelte, per non fare come il teologo del vangelo di oggi, che deve ammettere a se stesso di dover ancora iniziare a imparare ad amare…
Meditazione di Papa Francesco
Venerdì della III settimana di Quaresima
Os 14,2-10 Sal 80 Mc 12,28-34:
Il Signore nostro Dio è l’unico Signore: lo amerai.
Ritorno a casa
«Se vuoi conoscere la tenerezza di un padre prova a rivolgerti a Dio: prova, poi mi racconti!». È il consiglio spirituale che Papa Francesco ha suggerito nella messa celebrata nella cappella della Casa Santa Marta.
Per quanti peccati possiamo aver commesso, Dio ci aspetta sempre ed è pronto ad accoglierci e a fare festa con noi e per noi. Perché è un Padre che non si stanca mai di perdonare e non guarda se alla fine il “bilancio” è negativo: Dio non sa fare altro che amare.
Questo atteggiamento è ben descritto nella prima lettura della liturgia, tratta dal libro del profeta Osea (14, 2-10). È un testo che «ci parla della nostalgia che Dio, nostro Padre, ha di tutti noi che siamo andati lontano e ci siamo allontanati da lui». Eppure «con quanta tenerezza ci parla!».
Scrive Osea: «Così dice il Signore: torna, Israele, al Signore». Sì, «torna a casa!». «Forse quando sentiamo la parola che ci invita alla conversione — convertitevi! — ci suona un po’ forte perché ci dice di cambiare la vita, è vero». Ma dentro la parola conversione c’è proprio «questa nostalgia amorevole di Dio». È la parola appassionata di un «Padre che dice al figlio: torna, torna, è ora di tornare a casa!».
«Soltanto con questa parola possiamo passare tante ore di preghiera». «Dio non si stanca» mai: lo vediamo in «tanti secoli» e «con tante apostasie del popolo». Eppure «lui torna sempre, perché il nostro Dio è un Dio che aspetta». E così anche «Adamo è uscito dal paradiso con una pena e anche una promessa. E il Signore è fedele alla sua promessa perché non può rinnegare se stesso: è fedele!».
Ecco, dunque, che «Dio ha aspettato tutti noi, lungo la storia». Infatti «è un Dio che ci aspetta sempre». E, in proposito, potremmo contemplare «quella bella icona del padre e del figliol prodigo». Il Vangelo di Luca (15, 11-32) «ci dice che il Padre vede il figlio da lontano perché l’aspettava e andava sulla terrazza tutti i giorni a guardare se il figlio tornava». Il padre, dunque, aspettava il ritorno del figlio e così «quando lo vede arrivare, è andato di fretta e gli si è gettato al collo». Il figlio, sulla strada del ritorno, aveva persino preparato le parole da dire per ripresentarsi a casa: «Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». Ma «il padre non lo lasciò parlare» e «con l’abbraccio gli tappò la bocca».
La parabola di Gesù ci fa capire chi «è nostro padre: il Dio che ci aspetta sempre». Qualcuno potrebbe dire: «Ma, padre, io ho tanti peccati non so se lui sarà contento!». «Provaci! Se tu vuoi conoscere la tenerezza di questo Padre, va da lui e prova! Poi mi racconti!». Perché «il Dio che ci aspetta è anche il Dio che perdona: il Dio della misericordia». E «non si stanca di perdonare; siamo noi che ci stanchiamo di chiedere il perdono. Ma lui non si stanca: settanta volte sette! Sempre! Avanti col perdono!».
Certo, «dal punto di vista di un’azienda il bilancio è negativo, è vero! Lui perde sempre, perde nel bilancio delle cose. Ma vince nell’amore perché Lui — si può dire questo — è il primo che compie il comandamento dell’amore: lui ama, non sa fare altre cose!», come ricorda il passo evangelico della liturgia del giorno (Marco 12,28-34).
È un Dio che ci dice, come si legge nel libro di Osea: «Io ti guarirò perché la mia ira si è allontanata da te!» È così che parla Dio: «Io ti chiamo per guarirti!». Tanto che «i miracoli che Gesù faceva con tanti ammalati erano anche un segno del grande miracolo che ogni giorno il Signore fa con noi, quando abbiamo il coraggio di alzarci e andare da lui».
Il Dio che aspetta e perdona è anche «il Dio che fa festa». Ma non organizzando un banchetto, come «quell’uomo ricco che aveva alla porta il povero Lazzaro. No, questa festa non gli piace!». Invece Dio prepara «un altro banchetto, come il padre del figliol prodigo». Nel testo di Osea, ha spiegato, Dio ci dice che «pure tu fiorirai come il giglio». È la sua promessa: ti farà festa. Tanto che «si spanderanno i tuoi germogli, e avrai la bellezza dell’olivo e la fragranza del Libano».
«La vita di ogni persona, di ogni uomo, ogni donna che ha il coraggio di avvicinarsi al Signore, troverà la gioia della festa di Dio». Da qui l’auspicio finale: «Che questa parola ci aiuti a pensare a nostro Padre, il Padre che ci aspetta sempre, che ci perdona sempre e che fa festa quando noi torniamo!».
2014-03-28 L’Osservatore Romano