Martedì della II settimana di Quaresima
Is 1,10.16-20 Sal 49 Mt 23,1-12: Dicono e non fanno.
Testo del VangeloIn quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
Commento
Padre Silvano Fausti
Gesù parla degli scribi e dei farisei. Il capitolo 23 è tutto un trattato sull’ipocrisia che è il virus tipico della persona religiosa, ma non solo religiosa. Ci sono varie forme di religione. In ufficio è religione far così, nella politica è religione, in tutto è religione far così. La legge dell’apparire in contraddizione con ciò che senti e ciò che fai. È questa l’ipocrisia che intacca in sostanza il nostro essere figli di Dio e fratelli e questo funziona a tutti i livelli. Funziona nella sinagoga, in chiesa, in piazza, nell’ufficio, dappertutto. È questo quel virus indistruttibile che Gesù attribuisce nella sua epoca agli scribi e ai farisei che erano persone bravissime, tutto sommato, stimabilissime.
Ciò che lui denuncia degli scribi dei farisei noi possiamo facilmente applicarlo a quelli di una volta, applicarlo agli altri, applicarlo ai preti eventualmente, anche tutte cose vere se non si dimentica che Giove ci ha dato due bisacce. I difetti che vediamo nella bisaccia di quello che ci sta davanti sono esattamente quelli che stanno sulle mie spalle che non vedo. Quindi questa descrizione degli scribi e dei farisei ci fa da specchio per vedere quel male radicale che s’annida in ciascuno di noi e che poi emerge anche nei capi ovviamente, perché il capo è quello che è riconosciuto tale perché tutti si rispecchiano in quello, è uguale.
È un testo di grande libertà interiore e vuole portarci però a questo la libertà. E non ci si arriva attraverso denunce così di altri ma attraverso lo snidamento di quel male sottile che sta dentro ciascuno di noi. In fondo qui lo dice chiaramente quello dell’incoerenza tra dire e fare, dicono e non fanno, quello del volere apparire a tutti i livelli, quello di esser importanti, dell’essere maestri, dell’essere padri, dell’essere signori, nell’essere quelle persone che tutto sommato dominano. Si può prevalere sull’altro o con la cattiveria, ma allora ti dicono che sei cattivo, eventualmente ti potrebbe anche in prigione, oppure c’è un modo di prevalere sull’altro di uccidere il fratello e di uccidere se stessi come figli che quasi non ci si accorge che avvenga. È usare il bene, le qualità che hai, invece, che per unirti agli altri in un servizio reciproco di amore, per dominare e servirti degli altri come piedestallo. Per cui tutto il bene che abbiamo è ridotto a male da questa ipocrisia. Si possono fare anche beneficenza purché ti mettano la lapide, purché te ne torni un vantaggio di immagine, fai tutto. Allora, anche il bene è strumentalizzato al male. E su questo tutti noi uomini siamo sensibili perché è determinante per noi come siamo visti, come siamo stimati. Allora, cerchiamo la stima e la vanagloria che mi viene dagli altri, invece di considerare la vera stima che devo avere di me e degli altri che sono figlio di Dio e questo ce n’è davanzo.
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Annunciare e testimoniare
Luigi Maria Epicoco
La cosa peggiore che possa accadere a un’istituzione o a chi ha una responsabilità educativa nei confronti di qualcun altro è sentirsi rivolgere lo stesso rimprovero che Gesù rivolve agli scribi e farisei:
“Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno”.
Riconoscere che le loro parole sono giuste, ma accorgersi che la loro vita è completamente in contraddizione con le cose che dicono. Quando chi annuncia una cosa vera non ne è anche testimone, rischia di oscurare anche quella cosa vera. Gesù invita la folla a saper fare la differenza tra la predica e il predicatore, ma la vera svolta sarebbe far diventare testimone colui che annuncia. Un padre che dice delle cose giuste ai figli e poi gli dà con la sua vita un esempio sbagliato è un padre senza autorevolezza. E così la Chiesa, la scuola, la politica, un educatore e così via. È la nostra testimonianza l’argomento vincente per le cose giuste che vogliamo trasmettere agli altri, diversamente ci nasconderemo dietro dei ruoli sono per affermare noi stessi ma non perché abbiamo a cuore la Verità e il bene. Infatti non serve a nulla farsi chiamare maestri se non si è anche testimoni, come non ha senso farsi chiamare padri se poi non si è paterni. Il vero criterio è non dimenticare quanto afferma Gesù:
“Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato”.
Più si ha una responsabilità e più bisogna coltivare questa umiltà che indica Gesù.
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Paolo Curtaz
Coloro che studiano i vangeli ci dicono che Matteo è colui che è più attento alla religione ebraica, da cui proviene. In effetti in brani come quello di oggi, non troviamo la stessa durezza degli altri evangelisti. Matteo ammira i farisei e chiede al discepolo di osservare le loro parole, annotando però con dolore che le loro azioni non corrispondono a quanto essi proclamano. Brutta bestia l’incoerenza, soprattutto fra credenti! Troppe volte anche noi siamo vittime dello stesso clamoroso sbaglio: non viviamo ciò che proclamiamo. Crediamo nel Dio in mezzo a noi, in colui che è il vivente, e ci comportiamo come uomini e donne senza speranza, senza futuro, senza compassione. E stiamo attenti a non cadere nel rischio sempre presente fra gli uomini di religione, del mettere l’apparenza prima della sostanza. Abbiamo una grande storia alle nostre spalle, questo è vero, ma non dobbiamo mai confondere l’essenziale del Vangelo con le consuetudini e le abitudini che provengono dalle tradizioni umane. Uno solo è il nostro maestro e noi siamo tutti fratelli, anche e soprattutto chi ha maggiori responsabilità.
Meditazione di Papa Francesco
Martedì – Peccatori, ma in dialogo con Dio
Ieri la Parola di Dio ci insegnava riconoscere i nostri peccati e a confessarli, ma non solo con la mente, anche con il cuore, con uno spirito di vergogna; la vergogna come un atteggiamento più nobile davanti a Dio per i nostri peccati. E oggi il Signore chiama tutti noi peccatori a dialogare con Lui (cfr Is 1,10.16-20). Perché il peccato ci rinchiude in noi stessi, ci fa nascondere o nascondere la nostra verità, dentro. È quello che è successo ad Adamo ed Eva: dopo il peccato si sono nascosti, perché avevano vergogna; erano nudi (cfr Gen 3,8-10). E il peccatore, quando sente la vergogna, poi ha la tentazione di nascondersi. E il Signore chiama: «Su, venite e discutiamo – dice il Signore -» (Is 1,18); “parliamo del tuo peccato, parliamo della tua situazione. Non abbiate paura”. E continua: «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana» (v. 18). “Venite, perché io sono capace di cambiare tutto – ci dice il Signore -, non abbiate paura di venire a parlare, siate coraggiosi anche con le vostre miserie”.
Mi viene in mente quel santo che era così penitente, pregava tanto. E cercava sempre di dare al Signore tutto quello che il Signore gli chiedeva. Ma il Signore non era contento. E un giorno lui un po’ si era come arrabbiato con il Signore, perché aveva un caratteraccio quel santo. E dice al Signore: “Ma, Signore, io non ti capisco. Io ti do tutto, tutto e tu sempre sei come insoddisfatto, come se mancasse qualcosa. Cosa manca?”. “Dammi i tuoi peccati: è questo che manca”. Avere il coraggio di andare con le nostre miserie a parlare con il Signore: “Su, venite, discutiamo! Non abbiate paura”. «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana» (v. 18).
Questo è l’invito del Signore. Ma sempre c’è un inganno: invece di andare a parlare con il Signore, fare finta di non essere peccatori. È quello che il Signore rimprovera ai dottori della legge (cfr Mt 23,1-12). Queste persone fanno le opere «per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati rabbì dalla gente» (vv. 5-6). L’apparenza, la vanità. Coprire la verità del nostro cuore con la vanità. La vanità non guarisce mai! La vanità non guarisce mai; è anche velenosa, va avanti portandoti la malattia al cuore, portandoti quella durezza di cuore che ti dice: “No, non andare dal Signore, non andare. Rimani tu…”.
La vanità è proprio il posto per chiudersi alla chiamata del Signore. Invece, l’invito del Signore è quello di un padre, di un fratello: “Venite! Parliamo, parliamo. Alla fine Io sono capace di cambiare la tua vita dal rosso al bianco”.
Che questa Parola del Signore ci incoraggi; che la nostra preghiera sia una preghiera reale. Della nostra realtà, dei nostri peccati, delle nostre miserie, parlare con il Signore. Lui sa, Lui sa che cosa siamo noi. Noi lo sappiamo, ma la vanità ci invita sempre a coprire. Che il Signore ci aiuti.
Martedì, 10 marzo