II Domenica di Quaresima (A)
Matteo 17,1-9
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». (…)
(Letture: Genesi 12,1-4; Salmo 32; 2 Timoteo 1,8-10; Matteo 17,1-9)
Tabor, quella luce divina sotto la superficie del mondo
Ermes Ronchi
La Quaresima ci sorprende: la consideriamo un tempo penitenziale, di sacrifici, di rinunce, e invece oggi ci spiazza con un Vangelo pieno di sole e di luce, che mette energia, dona ali alla nostra speranza.
Gesù prese con sé tre discepoli e salì su di un alto monte. I monti sono come indici puntati verso il mistero e le profondità del cosmo, raccontano che la vita è un ascendere verso più luce, più cielo: e là si trasfigurò davanti a loro, il suo volto brillò come il sole e le vesti come la luce.
L’esclamazione stupita di Pietro: che bello qui, non andiamo via… è propria di chi ha potuto sbirciare per un attimo dentro il Regno. Non solo Gesù, non solo il suo volto e le sue vesti, ma sul monte ogni cosa è illuminata. San Paolo scrive a Timoteo una frase bellissima: Cristo è venuto ed ha fatto risplendere la vita. Non solo il viso e le vesti, non solo i discepoli o i nostri sogni, ma la vita, qui, adesso, quella di tutti.
Ha riacceso la fiamma delle cose. Ha messo nelle vene del mondo frantumi di stelle. Ha dato splendore e bellezza all’esistenza. Ha dato sogni e canzoni bellissimi al nostro pellegrinare di uomini e donne. Basterebbe ripetere senza stancarci: ha fatto risplendere la vita, per ritrovare la verità e la gioia di credere in questo Dio, fonte inesausta di canto e di luce. Forza mite e possente che preme sulla nostra vita per aprirvi finestre di cielo.
Noi, che siamo una goccia di luce custodita in un guscio d’argilla, cosa possiamo fare per dare strada alla luce? La risposta è offerta dalla voce: Questi è il mio figlio, ascoltatelo. Il primo passo per essere contagiati dalla bellezza di Dio è l’ascolto, dare tempo e cuore al suo Vangelo.
L’entusiasmo di Pietro ci fa inoltre capire che la fede per essere forte e viva deve discendere da uno stupore, da un innamoramento, da un che bello! gridato a pieno cuore. Perché io credo? Perché Dio è la cosa più bella che ho incontrato, perché credere è acquisire bellezza del vivere. Che è bello amare, avere amici, esplorare, creare, seminare, perché la vita ha senso, va verso un esito buono, che comincia qui e scorre nell’eternità.
Quella visione sul monte dovrà restare viva e pronta nel cuore degli apostoli. Gesù con il volto di sole è una immagine da conservare e custodire nel viaggio verso Gerusalemme, viaggio durissimo e inquietante, come segno di speranza e di fiducia.
Devono custodirla per il giorno più buio, quando il suo volto sarà colpito, sfigurato, oltraggiato. Nel colmo della prova, un filo terrà legati i due volti di Gesù. Il volto che sul monte gronda di luce, nell’ultima notte, sul monte degli ulivi, stillerà sangue. Ma anche allora, ricordiamo: ultima, verrà la luce. «Sulla croce già respira nuda la risurrezione» (A. Casati).
Avvenire giovedì 9 marzo 2017
Chi cammina con Gesù conosce la trasfigurazione
di Enzo Bianchi
Il cammino quaresimale è essenzialmente un cammino pasquale, segnato dall’abbassamento e dall’innalzamento di Gesù, il Figlio di Dio. Per questo, se nella prima domenica di questo tempo abbiamo contemplato Gesù messo alla prova nel deserto in molti modi, fino alla tentazione di approfittare della sua qualità divina per compiere la sua missione, oggi contempliamo Gesù trasfigurato, rivestito di quella gloria che possedeva quale Figlio di Dio, ma che nascose, facendo epoché, mettendola “tra parentesi” nella sua condizione di uomo come noi.
I tre vangeli sinottici narrano questo evento che segna una svolta nella missione di Gesù, dopo la professione di fede di Pietro e la rivelazione da parte di Gesù di ciò che lo attendeva a Gerusalemme, come necessitas umana e divina (cf. Mt 16,13-28). Riportano un racconto ormai “tradizionale” nella comunità dei discepoli, con il quale si tenta di esprimere l’indicibile: Gesù si è mostrato realmente e totalmente uomo in altra forma (metemorphóthe), una forma gloriosa che trascende la forma della carne del Figlio di Maria. La domanda su cosa sia veramente accaduto non ha molto senso, se non per mettere in risalto che è avvenuta un’apocalisse, un alzare il velo che ha permesso di scorgere l’invisibile. Cercheremo dunque di ascoltare soprattutto il racconto di Matteo; se infatti è vero che letterariamente non differisce di molto dagli altri due, tuttavia contiene alcuni tratti specifici: se Marco cerca di testimoniarci un’epifania di Dio in Gesù (cf. Mc 9,2-9), se Luca fornisce un’anticipazione della gloria della resurrezione (cf. Lc 9,28-36), Matteo vuole rivelarci come Dio stesso confermi la fede proclamata da Pietro (“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”: Mt 16,16).
Matteo lega la trasfigurazione alle solenni parole di Gesù ai discepoli: “Amen, io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo regno” (Mt 16,28). Parole certamente oscure, ma che risuonavano come una promessa: alcuni tra i discepoli che lo ascoltano, ancora durante la loro vita avrebbero visto il Figlio dell’uomo venire nella gloria del suo regno! Queste parole introducono il racconto della trasfigurazione, che appare come il loro compimento. Molte sono le allusioni all’Antico Testamento nel nostro racconto: Gesù porta con sé sulla montagna tre compagni (cf. Es 24,1.9); riceve la rivelazione di Dio dopo sei giorni (cf. Es 24,16); è trasfigurato in volto, raggiante di luce (cf. Es 34,29). La montagna della trasfigurazione non è localizzata dai tre evangelisti, ma viene definita “un alto monte, in disparte”. Dunque nel luogo delle rivelazioni di Dio, là dove secondo i profeti avviene la definitiva manifestazione di Dio nel suo giorno, l’ultimo (cf. Is 2,2; 11,9; Dn 9,16), dove Mosè (cf. Es 24,12-18; 34,4) ed Elia (1Re 19,8) sono saliti per incontrare il Signore, anche Gesù sale, portando con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, tre discepoli spesso vicini a lui, coinvolti in modo particolare nella sua vita.
Davanti a loro Gesù “viene trasfigurato” (sottinteso, da Dio; passivo divino) ed ecco che “il suo volto diventa splendente come il sole”. Matteo richiama il sole, la luce, perché quella novità di forma assunta da Gesù è qualcosa che non procede dalla sua condizione umana. Se la pelle del volto di Mosè era diventata raggiante davanti alla gloria di Dio, il volto di Gesù è splendente come il sole che illumina, ma nello stesso tempo non si fa vedere, abbaglia. Ricorrendo al linguaggio paolino, potremmo dire che “colui che era in forma di Dio … e aveva preso la forma dell’uomo schiavo” (Fil 2,6-7), qui rivela – per quanto è umanamente possibile percepirla e vederla – la sua forma, la sua condizione di Figlio di Dio.
In quella percezione di Gesù sotto “altro” aspetto, si manifestano accanto a lui Mosè ed Elia, che rappresentano rispettivamente la Torah e i Profeti, ma che soprattutto sono testimoni della venuta del Messia. Tutto ciò che ha preceduto Cristo nella storia di salvezza, da Abramo in poi, è accanto a Gesù per testimoniare che egli è il profeta atteso, il veniente promesso. Con la loro presenza, Mosè ed Elia attestano: “Ecco il Messia, il Cristo come l’aveva confessato Pietro. Ecco il Servo, il Profeta amato da Dio che, come egli stesso ha annunciato, va verso la passione”. Ciò che è narrato come una visione, è soprattutto un’esperienza possibile ai profeti nell’ordine della fede e del dono del Signore, un’esperienza non derivante da “carne e sangue” (cf. Gv 1,13), ma una pura rivelazione del Padre (come la confessione di Pietro; cf. Mt 16,17). Per questo tre volte si fa ricorso all’“ecco” (idoú; nel testo originale compare, non tradotto in italiano, anche al v. 5a), parola tipica della rivelazione apocalittica: per l’apparizione di Mosè ed Elia, per il manifestarsi della nube luminosa, per il risuonare di una voce.
Pietro vorrebbe restare in questa esperienza di fede, vorrebbe farla diventare definitiva, come se la fine dei tempi e la venuta nella gloria di Gesù fossero ormai realtà. A differenza di Marco e di Luca, Matteo annota che Pietro sa bene quello che dice: chiama Gesù “Kýrios, Signore”, mostra nuovamente la sua fede e afferma che è una cosa bellissima quella che stanno vivendo. Per questo vorrebbe fare tre capanne, per Gesù, per Mosè e per Elia, in modo che la storia si arresti nell’ora della manifestazione della gloria. Ma ecco apparire una nube luminosa, che adombra quell’esperienza: una nube che illumina e, nel contempo, fa ombra (verbo episkiázo). Siamo di fronte all’indicibile, perché la Presenza di Dio, del Dio che nessuno ha mai visto (cf. Gv 1,18), rivela e nello stesso tempo nasconde: è la Shekinah, la Dimora di Dio, che mentre illumina fa ombra, Presenza che si sperimenta ma che resta sempre elusiva…
Infine, ecco uscire dalla Shekinah una voce, che parla e rivela: “Questi è il mio Figlio, l’amato (agapetós): in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo!”. La voce di Dio è già risuonata nell’ora del battesimo di Gesù al Giordano (cf. Mt 3,17): là Gesù era disceso nelle acque come un peccatore, per esservi immerso da Giovanni, il Padre lo aveva rivelato come suo Figlio unico e amato, ed egli solo aveva ascoltato questa proclamazione. Qui invece ascoltano anche i discepoli, che non possono non leggervi un “amen”, un sigillo posto da Dio sulla confessione di Pietro. Inoltre, rispetto al battesimo vi è qui un’aggiunta decisiva: “Ascoltatelo!”. La voce del Padre dice che Gesù è suo Figlio (cf. Sal 2,7), è l’Amato (cf. Gen 22,2), è il Servo che Dio sostiene in quanto Eletto, nel quale si compiace (cf. Is 42,1), ma è anche il Profeta promesso da Dio a Mosè, a cui deve andare l’ascolto (cf. Dt 18,15).
Di fronte a tale apocalisse, “i discepoli cadono con la faccia a terra” in adorazione, confessione silenziosa di Gesù quale Figlio di Dio, quale Kýrios, riconoscimento nel timore di Dio della Shekinah davanti a loro. Ma Gesù si avvicina, li tocca e dice loro: “Alzatevi e non abbiate paura!”. Li tocca con un gesto di confidenza e di amore, quasi a risuscitarli, e li invita alla postura escatologica dello stare in piedi senza temere (cf. Lc 21,28): “Alzatevi, fate un gesto di resurrezione (eghérthete) e mettete da parte ogni timore e paura!”. I tre discepoli “hanno visto, udito e contemplato” (cf. 1Gv 1,1), ma sono stati anche toccati da Gesù, da lui come risvegliati a una nuova conoscenza nella fede di Gesù Cristo stesso. Sapranno seguire Gesù a Gerusalemme, nella passione scandalosa, nell’angoscia da lui vissuta nel giardino del monte degli Ulivi? Ricorderanno questa esperienza o la dimenticheranno (cf. Mt 26,36-46)?
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Trasfigurazione
“Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce”.
Il Vangelo della trasfigurazione è l’estremo tentativo di raccontare un’esperienza ineffabile che in realtà non ha parole abbastanza capienti per poter dire davvero cosa sia successo in quel giorno sul monte Tabor. Se dovessimo anche noi usare un’immagine, dovremmo dire che i discepoli sperimentano un bagno di luce indelebile che li segna in maniera decisiva nel cuore. Sono quei rari, anzi rarissimi momenti in cui Gesù fa un passo in avanti e si mostra per ciò che è davvero senza nessun’altra mediazione. Lo fa di rado perché vuole sempre lasciare spazio alla nostra libertà. La nostra vita non è mai solo luce, perché davanti alla luce non avremmo molta scelta. Diceva un buon teologo che Gesù ci dà abbastanza luce da capire cosa fare e abbastanza buio da poter scegliere anche il contrario. La Trasfigurazione è solo fortissima luce che Gesù dona ai suoi discepoli prima che essi entrino nel buio del Getsemani.
Ma la cosa interessante è la loro reazione: “All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore”. La loro reazione non è di beatitudine, ma di spaesamento. Sono davanti a un Mistero più grande dei loro ragionamenti. “Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: «Alzatevi e non temete»”. È bello pensare che Gesù è l’unico modo che noi abbiamo per poter entrare nel Mistero senza rimanerne schiacciati. Il Padre manda Suo Figlio Gesù per darci un’esperienza (“toccatili”) e indicarci la strada da percorrere (“Alzatevi”). In questo senso per un cristiano non c’è altro di essenziale se non Gesù solo: “Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo”. E se ci sono altre cose che ci aiutano, ci sono d’aiuto solo perché ci avvicinano di più a Gesù e non sono in sostituzione a Lui.
Don Luigi Maria Epicoco