Venerdì dopo le Ceneri
Mt 9,14-15: Quando lo sposo sarà loro tolto, allora digiuneranno.

Testo del Vangelo
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno».

Commento

di Silvano Fausti
Perché i discepoli di Giovanni e i farisei digiunano? I farisei sono persone molto brave e oneste, molto attaccate alla Parola di Dio, a ciò che Dio ha detto, la Legge, la Legge che è già stabilita e codificata nel passato…quindi per loro la vita è il passato, l’osservanza di quella Legge. Cosa fanno al presente? Non vivono il presente, osservano quella Legge. La vita è il passato: devi osservare ciò che è passato. I discepoli di Giovanni invece sono l’altra forma di religiosità, tutta rivolta al futuro. La vita sarà quella futura…adesso dobbiamo aspettare. Quindi al presente cosa si fa? Digiuni! Digiunare vuol dire morire, vuol dire non vivere, mangiare la vita… Invece i discepoli di Gesù mangiano. Per loro Dio non è quel che era, non è quel che sarà, è colui che è qui, ora. Le prime parole di Gesù nel Vangelo sono:”Il Regno di Dio è qui”, perché lui è già venuto. E quindi il problema fondamentale della vita cristiana è cogliere la presenza di Dio qui e ora, non pensare ai tempi migliori quando c’era, ai tempi migliori quando ci sarà. Dio è qui e ora nella mia situazione. E lo posso vivere in qualunque situazione, sia di Bene: tutti i suoi doni sono sua presenza e li vivo come Eucarestia, ringraziamento… e i mali come li vivo? Se li faccio io come luogo in cui ricevo il perdono, quindi come Eucarestia, ringraziamento per questo Amore grande, se sono altrui come luogo dell’impegno, della misericordia, del perdono verso gli altri, quindi come Eucarestia attiva. Quindi vedete, la vita cristiana è vita presente, vissuta alla presenza di Dio, nel godimento pieno del suo dono e del suo perdono che ricevi e dai. Quindi non è che dobbiamo idealizzare il passato, quando andava meglio; o aspettare un futuro quando andrà meglio…qui e ora mangio, vivo.


di L.M. Epicoco
I discepoli di Giovanni chiedono a Gesù, nel Vangelo di oggi, per quale motivo i suoi discepoli non digiunano. Gesù approfitta di questa domanda per convertire la loro visione religiosa:
Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno”.
Se si scambia la fede in una sorta di tecnica spirituale attraverso cui raggiungere qualche obbiettivo, allora hanno ragione i discepoli di Giovanni a domandare il motivo di una scelta simile. Ma la fede non né una tecnica spirituale a cui bisogna restare fedeli, ma bensì una relazione viva e vera con Qualcuno, ed è proprio la presenza o l’assenza di questo Qualcuno a dettare le regole. Ecco perché la pagina del Vangelo di oggi ci interroga su una verità profonda: siamo in relazione con Gesù o la nostra fede è solo un manipolo di pratiche religiose?  Scambiereste Gesù per un libro di preghiere? Ma in realtà un libro di preghiere ha senso solo in rapporto a Gesù e non in se stesso. In questo senso la vita spirituale è praticare una relazione, non una tecnica. È rapporto, non magia.
http://www.nellaparola.it


di Paolo Curtaz
Da sempre la Chiesa propone, durante i venerdì di quaresima, di praticare l’astinenza dalle carni. È un gesto semplice, alla portata di tutti, che serve da una parte a ricordare la morte cruenta di Gesù in croce e, dall’altra, a porre un freno ai nostri appetiti, a ristabilire una gerarchia nella nostra vita, facendo in modo che sia sempre e solo la volontà a prevalere. Oggi, certo, questa proposta va accolta con intelligenza. Quando la proposta penitenziale venne elaborata, la carne era cibo per i ricchi ed era un invito a condividere le scelte dei poveri. Oggi che la carne è venduta ad un costo uguale alla frutta, forse bisogna intendersi bene! Non è astinenza privarsi di un hamburger da pochi euro per rimpinzarsi di prelibatezze di pesce! Non facciamo gli ipocriti come il buon re Luigi XIV, re Sole, che, nella Francia del Seicento faceva penitenza quaresimale sostituendo le posate d’oro con quelle d’argento… Oggi possiamo fare astinenza, ad esempio, saltando un pasto o consumando l’equivalente di quanto consuma un africano o accontentandoci di un panino. Ma che sia un gesto che ci apre alla generosità verso i poveri, e alla comprensione del loro dolore. E alla voglia di provvedere, per quanto poco ognuno di noi può, ai loro bisogni.


Meditazione di Papa Francesco:
Digiuno dell’ingiustizia

VENERDÌ DOPO LE CENERI
Is 58,1-9a; Sal 50; Mt 9,14-15
Digiuno dall’ingiustizia

«Usare Dio per coprire l’ingiustizia è un peccato gravissimo». Il severo monito contro le iniquità sociali, soprattutto quelle provocate da quanti sfruttano i lavoratori, è stato pronunciato da Papa Francesco (…)

All’inizio dell’Eucaristia è stata elevata al Signore la richiesta «di accompagnarci in questo cammino quaresimale, perché l’osservanza esteriore corrisponda a un profondo rinnovamento dello Spirito». Cioè, affinché «quello che noi facciamo esteriormente abbia una corrispondenza, abbia frutti nello Spirito»: insomma, «che quella osservanza esteriore non sia una formalità».

Portiamo l’esempio di chi pratica il digiuno quaresimale pensando: «Oggi è venerdì, non si può mangiare carne, mi farò un bel piatto di frutti di mare, un bel banchetto… Io osservo, non mangio carne». Ma così «pecchi di gola». Del resto, proprio «questa è la distinzione fra il formale e il reale» di cui parla la prima lettura liturgica, tratta dal libro del profeta Isaia (58, 1-9a). Nel brano la «gente si lamentava perché il Signore non ascoltava i suoi digiuni». Da parte sua il Signore rimprovera il popolo, con queste parole: «Nel giorno del vostro digiuno, voi curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui». Perciò «questo non è digiuno, non mangiare la carne ma poi fare tutte queste cose: litigare, sfruttare gli operai» e via dicendo.

Anche Gesù «ha condannato questa proposta della pietà nei farisei, nei dottori della legge: fare tante osservanze esteriori, ma senza la verità del cuore». Il Signore dice infatti: «Non digiunate più come fate oggi, cambiate il cuore. E qual è il digiuno che io voglio? Sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo, dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, i senzatetto, vestire uno che vedi nudo senza trascurare i tuoi parenti, facendo giustizia». Questo «è il digiuno vero, che non è soltanto esterno, un’osservanza esterna, ma un digiuno che viene dal cuore».

È da notare che nelle Tavole della Legge ci sono «la legge verso Dio e la legge verso il prossimo», e che entrambe vanno insieme. «Io non posso  dire: compio i tre primi comandamenti… e gli altri più o meno. No, sono uniti: l’amore a Dio e l’amore al prossimo sono un’unità e se vuoi fare penitenza, reale non formale, devi farla davanti a Dio e anche con il fratello, con il prossimo». Basti pensare a ciò che ha detto l’apostolo Giacomo: «Tu potrai avere tanta fede, ma la fede se non fai opere è morta; a che serve?».

Lo stesso vale per «la mia vita cristiana». E a chi cerca di mettersi a posto con la coscienza assicurando: «Io sono un gran cattolico, padre, mi piace tanto… Io vado sempre a messa, tutte le domeniche, faccio la comunione…»: «Va bene. E com’è il rapporto con i tuoi dipendenti? Li paghi in nero? Paghi loro il salario giusto? Versi i contributi per la pensione? Per assicurare la salute e le prestazioni sociali?». Purtroppo infatti, tanti «uomini e donne hanno fede, ma dividono le tavole della legge: “Sì, io faccio questo”. — “Ma fai elemosina?”. — “Sì, sempre io invio un assegno alla Chiesa”. — “Va bene. Ma alla tua Chiesa, a casa tua, con quelli che dipendono da te, siano i figli, siano i nonni, siano i dipendenti, sei generoso, sei giusto?”». In effetti, non si possono «fare offerte alla Chiesa sulle spalle della ingiustizia» perpetrata nei confronti dei propri dipendenti. Ed è proprio quello che il profeta Isaia fa capire: «Non è un buon cristiano quello che non fa giustizia con le persone che dipendono da lui». E non lo è nemmeno «quello che non si spoglia di qualcosa necessaria a lui per dare a un altro che abbia bisogno».

Dunque «il cammino della Quaresima è doppio: a Dio e al prossimo». E deve essere «reale, non meramente formale». Non si tratta solo «di non mangiare carne il venerdì», cioè di «fare qualcosina» e poi lasciar «crescere l’egoismo, lo sfruttamento del prossimo, l’ignoranza dei poveri». Bisogna compiere un salto di qualità, pensando soprattutto a chi ha meno.
«Come stai di salute tu che sei un buon cristiano?». — «Grazie a Dio bene; ma anche quando ho bisogno vado subito all’ospedale e siccome sono socio di una mutua, subito mi visitano e mi danno le medicine necessarie». — «È una cosa buona, ringrazia il Signore. Ma, dimmi, hai pensato a quelli che non hanno questo rapporto sociale con l’ospedale e quando arrivano devono aspettare sei, sette, otto ore?». Non è un’esagerazione, [ho] ascoltato un’esperienza del genere da una donna che nei giorni scorsi ha atteso ben otto ore per una visita urgente.

Il pensiero va a tutta la «gente che qui a Roma vive così: bambini e anziani che non hanno la possibilità di essere visitati da un medico». E «la Quaresima serve» proprio «per pensare a loro»; per domandarci cosa possiamo fare per queste persone: «Ma, padre, ci sono gli ospedali». — «Sì, ma devi aspettare otto ore e poi ti danno il turno per una settimana dopo». Invece, bisognerebbe preoccuparsi soprattutto delle persone in situazioni di disagio e chiedersi: «Cosa fai per quella gente? Come sarà la tua Quaresima?». — «Grazie a Dio io ho una famiglia che compie i comandamenti, non abbiamo problemi…». — «Ma in questa Quaresima nel tuo cuore c’è posto per quelli che non hanno compiuto i comandamenti? Che hanno sbagliato e sono in carcere?» — «Ma, con quella gente io no…» — «Ma se tu non sei in carcere è perché il Signore ti ha aiutato a non cadere. Nel tuo cuore i carcerati hanno un posto? Tu preghi per loro, perché il Signore li aiuti a cambiare vita?».

(Venerdì, 20 febbraio 2015)