18 Febbraio
Francesco Regis Clet.
Missionario francese morto martire in Cina
Il Vangelo è un tesoro che si arricchisce solo se condiviso, per questo la Parola non può rimanere nei libri ma deve diventare vita vissuta. Tra i testimoni di questo messaggio vi è san Francesco Regis Clet, missionario francese morto martire in Cina. Era docente di teologia morale al Seminario di Annecy, membro della Congregazione della Missione, ma a 43 anni – era nato nel 1748 a Grenoble ed era stato ordinato prete nel 1773 – chiese di essere inviato in Cina. Dopo cinque mesi di viaggio arrivò a Macao, dove si contavano 300mila cristiani, ma tra la popolazione cinese cominciava a diffondersi la diffidenza nel confronto dei battezzati. I missionari erano percepiti come portatori di una cultura estranea: si passò quindi a una vera e propria persecuzione. Nel 1819 Francesco Regis Clet venne arrestato: morì martire l’anno seguente.
Altri santi. Sant’Elladio di Toledo, vescovo (VII sec.); santa Geltrude Comesoli, religiosa (1847-1903).
Matteo Liut
Avvenire
Scrivendo di lui ad un missionario in Cina, P. Agostino Daudet lo tratteggiava così: “Egli raduna in sé tutto quello che si possa desiderare: pietà, scienza, salute, amabilità di carattere; per dirla con una parola: è un uomo completo”.
• Concepisce la missione in Cina come un “dono divino”.
Scrive alla sorella Maria Teresa appena prima di partire: ” .. .i miei voti alla fine sono stati esauditi, e io sono al massimo della gioia … Si è presentata un’occasione che io ho afferrato al volo …
Tu capisci che sento tanto intensamente il valore di questo dono divino da volerlo corrispondere pienamente: in una parola, io parto immediatamente per la Cina”.
• Si tratta di una missione che consiste nel “rinvigorire lo spirito religioso nei vecchi cristiani, abbandonati a loro stessi da molti anni, e convertire i non credenti”; un’attività che il Clet spera che “duri fino alla morte” e che svolge con grande serietà e senso di responsabilità. Lasciando la provincia del Kiangsi, scrive al fratello: “tra le altre cose, ho battezzato cento e più adulti assai ben istruiti. Avrei potuto battezzare un maggior Il u mero di persone che insistentemente mi richiedevano il sacramento ma non mi sembravano abbastanza pronti. Abbiamo notato infatti. che i catecumeni che vengono battezzati con leggerezza, apostatano facilmente e alla minima ombra di persecuzione affiggono il diavolo sulla porta”. Il suo desiderio è di creare dei cristiani “irreprensibili”.
• Nel lavoro missionario un’attenzione particolare è riservata ai poveri. Scrive: “I miei cristiani sono soprattutto poveri. La maggior parte delle loro abitazioni sono capanne aperte da tutte le parti. I due terzi almeno sono privi degli abiti necessari contro il freddo, assai rigido nelle nostre montagne; sono privi di coperte per i letti … Per mangiare, almeno per tre o quattro mesi all’anno, devono cercare nei prati delle piante selvatiche commestibili. Non abbiamo affatto dei cristiani ricchi i quali con il loro superfluo possano ovviare all’indigenza degli altri … “.
• Alla missione dedica tutto se stesso, per essa affronta ogni genere di sacrifici, non ultimo quello di una lingua che egli definisce “impenetrabile”. Di fronte alla difficoltà che essa rappresenta, confessa: “lo sono arrivato in Cina troppo anziano per poter raggiungere una comprensione passabile; la conosco solamente un po’ … “. Ma ci sono anche le difficoltà legate al doversi ambientare in una terra con clima e abitudini diverse (vestiario e acconciatura, letto, cibo … ). Ci sono i disagi del continuo spostarsi da un luogo all’altro a piedi e in barca. Ci sono i ricorrenti pericoli rappresentati dalle persecuzioni, dalle scorrerie delle bande ribelli … C’è la solitudine!
• Di fronte alle difficoltà che sta attraversando la Francia e l’Europa dal punto di vista della fede, in seguito alla Rivolu-zione francese, il Clet scrive: “lo non oso rimpiangere l’occa-sione che avrei avuto, dimorando in Europa, di diventare martire; ritengo, infatti, che Dio mi ha fatto arrivare in Cina permettere la mia debolezza al riparo da una orribile caduta. Se Dio vuol fare di me un martire, dovrà fornirmi l’occasione”.
Questa occasione il Signore gliela fornì ed egli si dimostrò all’altezza della situazione. Dopo mesi di prigione, mentre si era in attesa del verdetto dell’imperatore, scriveva: “Dubito fortemente che l’imperatore acconsenta a lasciarmi vivere … Mi preparo a morire, dicendo spesso con S. Paolo: Mihi vivere Christus est et mori Lucrum”. Avviandosi al patibolo, raccomandò ai compagni di prigionia di rimanere sempre saldi nella fede: quella saldezza di cui egli stava dando splendida testimonianza.
Da : P. ALBERTO VERNASCHI C.M., Un patrimonio di famiglia. Santi e Beati della Famiglia Vincenziana, Cantagalli, Siena, 2007, pagg. 54 – 59