Venerdì della VI settimana del Tempo Ordinario
Mc 8,34-9,1: Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.

Testo del Vangelo
In quel tempo, convocata la folla insieme ai suoi discepoli, Gesù disse loro:
«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.
Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita?
Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».
Diceva loro: «In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza».

Commento

di Enzo Bianchi
E’ l’unico punto nel Vangelo in cui Gesù convoca la folla. Non è la folla che lo segue, come dalle altre parti, lui la chiama insieme ai discepoli, quasi per dire: “Ecco, io vi do una parola definitiva, dalla quale io non posso tornare indietro e dalla quale neanche voi potrete tornare indietro se siete miei discepoli…”, e allora dice: “Se qualcuno vuol esser mio discepolo, se qualcuno vuol esser coinvolto con la mia vita, se qualcuno vuol essere mio discepolo, smetta di conoscere soltanto se stesso”. ecco, noi dobbiamo capire bene questo rinnegare perché è diventata una espressione così abituale che per alcuni è veramente una espressione che indicherebbe una penitenza… Cioè uno non può pensare solo a sé, fare del suo io davvero il padrone di tutta la vita e della vita degli altri, deve smettere quella filaoutia, la chiamerebbero i Padri, quell’amore di sé stessi che riporta, lo sappiamo bene, al narcisismo, all’egoismo, ci può portare addirittura alla follia, quando noi diventiamo persone che vediamo solo noi stessi e quante volte abbiamo degli uomini che, li vediamo, la loro Epifania è che riconoscono solo se stessi, non guardano più gli altri, come se non esistessero i poveri, gli umili, le vittime…. No, loro guardano a se stessi, presi in una vertigine di potere, presi in una vertigine di successo, presi in una vertigine di arroganza e Gesù dice: “No, questa non può essere la via di chi vuol essere mio discepolo!”. Ma ognuno ha una croce, cioè ognuno ha uno strumento con cui può impedire a se stesso la vertigine del conoscere solo se stesso. Questo strumento di esecuzione ognuno di noi ce l’ha e lo conosce solo lui. Io conosco lo strumento di esecuzione con cui posso davvero contenere, posso deprimere il mio Io arrogante e prepotente. Un altro conosce lui la sua croce: ecco, è questa la croce da portare. Allora se ognuno porta la propria croce e segue Gesù, allora lui ritrova la vita, ma se invece uno continua ad essere preda di questa vertigine di se stesso, percorre una vita di morte. In realtà anche se guadagnasse mondanamente il potere, la ricchezza, il successo, in realtà cammina verso una strada mortifera, che prima o poi mostra la devastazione. E questo io lo devo dire, ormai anziano, l’ho sempre visto. Son convinto che una giustizia immanente, che ci troviamo noi di qui, non perché Dio castiga, ma perché noi se imbocchiamo una strada di morte, di arroganza, noi piglieremo i frutti di solitudine, di tristezza, di angoscia, di disperazione, mentre se noi sappiamo riconoscere gli altri, sappiamo avere con loro davvero dei rapporti di umanità continua, di amore, noi nella nostra vita riceveremo davvero felicità, bontà, riceveremo il senso per cui val la pena vivere, imboccheremo una strada di vita piena, non di morte.
da “Uomini e profeti”
http://www.preg.audio


di L.M. Epicoco
Troppo spesso vogliamo salvarci da soli e a causa di questa ostinazione complichiamo la nostra vita. Salvarsi da soli significa concretamente voler risolvere autonomamente le nostre croci, i nostri problemi, i nostri drammi, escludendo Dio dall’orizzonte. Pensiamo alla fede come a qualcosa di evanescente che non può aiutarci nella concreta drammaticità della nostra vita. E infatti quando la vita si presenta con le sue cose drammatiche ci sentiamo soli e abbandonati alle nostre sole forze.  Gesù invece, nel Vangelo di oggi ci dice la vera chiave di lettura:“Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.  Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà”.
Oggi il Vangelo ci invita a ridimensionarci, a smettere di vivere da soli le cose difficili e a illuderci di poter essere felici riempiendo la nostra vita delle cose di questo mondo, perché ciò che appaga il cuore dell’uomo è solo l’amore, e Dio è l’Amore più affidabile che esiste.
Si è cristiani quando le proprie croci le si porta camminando dietro Gesù e non da soli. Si è cristiani quando si ha l’estrema fiducia che Lui può salvarci e sa intervenire lì dove le nostre possibilità finiscono. In pratica Gesù ci invita a fidarci e ad abbandonarci fiduciosamente a Lui. Quanta pace ci sarebbe nella nostra vita se riuscissimo davvero a farlo sempre. Invece ci piace fare tutto da soli e in alcuni momenti ci sembra di essere in grado anche di conquistare il mondo. Ma Gesù avverte:
Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima?”.
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di Paolo Curtaz
Dio non manda le croci, non scherziamo. Perché dovrebbe? Per farci star male, per fidarci di lui? Perché è educativo? Ma visto che nella prova quasi sempre perdiamo la fede, com’è possibile che Dio, conoscendoci, rischi così tanto? No, Dio non manda le croci: ce le manda la vita, gli altri che rompono le scatole e anche noi stessi, a volte. Se guardo con onestà a me stesso, devo riconoscere che la stragrande maggioranza delle sofferenze che vivo o sono inevitabili o me le sono create io ad arte. Dio non ci manda le croci, noi, troppo spesso, passiamo la vita a levigarla e a piallarla, la croce, pensando, così facendo, di rendergli gloria! Gesù sta dicendo ai suoi, che lo hanno riconosciuto come Messia, di essere un Messia diverso da quello che gli altri si aspettano, di essere disposto a parlare del vero volto di Dio pagando di persona, arrivando fino in fondo, fino a morirne. E a noi chiede di fare la stessa cosa, di imitarne lo slancio, il dono, la generosità. La nostra vita si misura dalla capacità di farla diventare un dono agli altri, non dai risultati conseguiti, non dalle legittime soddisfazioni affettive e lavorative, ma dallo spendersi per il Regno.

Lectio di Silvano Fausti

Se uno vuole”. Dopo la propria (v. 31), Gesù dichiara l’identità del discepolo, e lo chiama definitivamente ad andare dietro di lui.

Ci fu già una prima chiamata a seguirlo (1,16-20), una seconda a “essere con lui” (3,14) e una terza ad essere inviati (6,6b ss). Nella prima la fuga si fa sequela, nella seconda la sequela diventa comunione con lui, nella terza la comunione con lui è sorgente della missione ad annunciarlo. Ora, associato dal pane al suo stesso destino, la missione si fa croce e risurrezione, per la salvezza propria ed altrui. Così il discepolo incarna la stessa “Parola” dei suo Signore.

Il v. 34 definisce il cristiano. È colui che vuol seguire Gesù crocifisso, e quindi rinnega se stesso, prende la sua croce, e gli va dietro – dietro a quel Gesù povero, umile e umiliato come si è definito nel v. 31. Il v. 34, specchio del v. 31, è un trattato sull’”essenza del cristianesimo”. Invece che in quattrocento pagine è in quattro brevissime espressioni – in der Kúrze liegt die Würze! – che sono un compendio di antropologia filosofico-teologica dal punto di vista cristiano.

Il v. 35 mostra la molla segreta del pensiero dell’uomo: salvare la pelle, l’esistenza materiale, che sa di dover perdere. Questo tentativo, inutile e disperato, lo rende egoista, e gli fa distruggere sé e gli altri. Chi invece sa perdere la vita per amore di Gesù, la salva. Perché la vita vera, che non conosce tramonto, è amare con tutto il cuore colui che per primo ci ha amati.

Il v.36 smaschera l’inganno di volersi salvare mediante la brama di possedere. È il pensiero dell’uomo (v. 33).

Il v. 37 mostra come l’uomo perda comunque l’esistenza, ponendogli il problema dei senso, ossia del fine. Questo permette all’uomo di essere uomo. Gli dà infatti la possibilità diun progresso e la libertà di realizzarsi.

Il v. 38 infine mostra il senso del tempo presente; è il momento in cui vivere l’obbedienza alla sua parola. Da questa dipende la nostra vita vera, che è eterna. La salvezza dalla morte consegue la nostra presa di posizione qui e ora nel confronti di Gesù e del vangelo. La sua storia ormai passata diventa criterio della nostra vita presente e garanzia di quella futura. Il nostro destino è connesso alla nostra fedeltà o meno alla sua parola.

Tutte queste affermazioni di Gesù saranno subito dopo confermate dalla voce del Padre, che dirà: “Ascoltate lui” (9,7).

Gesù è il pastore che, con la croce, suo bastone, ci guida alla vittoria sul male e sulla morte. Lo seguiamo come la Parola che indica il cammino della vita, la nube e la colonna di fuoco che conduce dalla schiavitù alla libertà. È il Signore presente inmezzo a noi. L’amore e l’obbedienza a lui è la nostra salvezza. Questa sarà piena nel futuro, ma è da vivere già nel presente, in fedeltà al suo passato.

Il discepolo trova in queste parole di Gesù la propria identità. Per un atto di libera decisione, ama e segue non il Cristo dei propri desideri, ma quello che, come Pietro, non conosce e non vuole accettare. La “Parola” del v. 31 toglie alla nostra sequela ogni ambiguità. Dimenticarla significa seguire, invece di lui, se stessi o le proprie fisime religiose.