16 Febbraio
Giuseppe Allamano.
Apostolo delle missioni al servizio della dignità
Evangelizzazione, missione e promozione umana sono tre dimensioni che devono camminare assieme, ognuna con le proprie specificità, ma tutte a servizio dell’umanità. È questo il messaggio che ci lascia il beato Giuseppe Allamano, testimone piemontese, che ripensò l’annuncio «ad gentes» anticipando la visione del Vaticano II. Nato a Castelnuovo d’Asti nel 1851, era nipote di san Giuseppe Cafasso, ed ebbe come insegnante don Bosco. Ordinato prete a 22 anni a Torino, fu rettore del santuario della Consolata. Convinto sostenitore della necessità di continuare a inviare annunciatori del Vangelo nel mondo fondò nel 1901 i Missionari della Consolata e nel 1909 le suore. Per promuovere la sensibilità missionaria proporrà l’istituzione di una Giornata missionaria mondiale, progetto che si realizzò un anno dopo la sua morte, nel 1927.
Altri santi. Santa Giuliana di Nicomedia, vergine e martire (III-IV sec.); San Maruta, vescovo (IV-V sec.)
Matteo Liut
Avvenire
(…) Animato da un ardente spirito missionario, don Giuseppe pensò alla fondazione di una istituzione per la preparazione di sacerdoti destinati alle missioni estere, nella quale convogliare molte forze sane del numeroso clero piemontese. L’idea era maturata in lui dopo aver conosciuto i 35 anni di missione vissuti nel Vicariato dell’Alta Etiopia dal Servo di Dio Guglielmo Massaia, cappuccino, poi creato cardinale, la cui straordinaria opera era stata interrotta nel 1879 per ordine dell’imperatore abissino Joannes. Con l’approvazione e la benedizione dell’episcopato prealpino, don Giuseppe cominciò a scrivere le regole dell’Istituto, nonché a scegliere e a formarne i candidati.
Nel 1902 i primi quattro Missionari della Consolata – due sacerdoti e due fratelli – dopo aver ricevuto il crocifisso partirono per il Kenya, che nel 1909 sarebbe stato eretto in Vicariato Apostolico. L’arcivescovo di Torino, cardinale Richelmy, prima di impartire loro la benedizione, volle inginocchiarsi per baciare loro i piedi. I sei o sette membri rimasti, preoccupati per il futuro che si prospettava incerto, abbandonarono l’Allamano; ma questi isi recò in santuario e, davanti al quadro della Consolata, pregò dicendo: «L’Istituto delle Missioni è proprietà tua. Pensa tu al suo avvenire». E a poco a poco arrivarono le vocazioni, sempre più numerose.
Inizialmente, per l’appoggio femminile che si dimostrava essenziale per il lavoro dei missionari sul campo, il fondatore si avvalse della collaborazione delle suore fondate da san Giuseppe Benedetto Cottolengo, suo contemporaneo. In seguito, pressato dalle molte richieste che gli giungevano dalle missioni e soprattutto da mons. Filippo Perlo, Vicario Apostolico del Kenya, si decise a fondare l’Istituto delle Suore Missionarie della Consolata. Lo stesso papa Pio X durante un’udienza lo aveva esortato a farlo, e poiché don Giuseppe esitava sostenendo di non averne la vocazione, gli aveva detto deciso: «Se non ce l’avete, ve la do io!». Il 3 novembre 1913 le prime quindici suore partivano anch’esse per il Kenya. Oggi sono diffuse, come i Missionari, in Africa e nelle Americhe.
Pur rimanendo sempre sacerdote secolare, volle per i membri del suo Istituto i voti religiosi perché considerava questa forma di vita lo strumento migliore per favorire l’attività di evangelizzazione dei suoi missionari. Propaganda Fide, il dicastero vaticano che occupa delle missioni, appoggiò fin dall’inizio le due nuove congregazioni, come pure Pio X. Oltre a preoccuparsi dello sviluppo dei suoi istituti, il fondatore si dedicò con zelo indefesso alla formazione dei loro membri con contatti personali e conferenze spirituali. Era solito dire: «Prima santi e poi missionari… non è il numero che conta, ma la qualità, il buono spirito».
L’Allamano contribuì anche efficacemente a condurre a termine il processo di beatificazione dello zio don Cafasso, che fu elevato alla gloria degli altari da Pio XI il 3 maggio 1925. Dopo aver assistito alla cerimonia, egli cantò il suo “nunc dimittis”, perché la sua salute già compromessa peggiorò sensibilmente. A chi pregava per la sua guarigione, egli rispondeva: «Solo questo io voglio, il compimento della volontà di Dio… Paradiso! Paradiso! Oh, sì, fra poco vado alle nozze!». Morì di polmonite il 16 febbraio 1926. Ai suoi funerali prese parte una folla incredibile. Le sue spoglie, traslate dal cimitero torinese dove erano state sepolte dopo la morte, riposano ora nella cappella della casa-madre dei Missionari della Consolata a Torino. Giovanni Paolo II ne riconobbe l’eroicità delle virtù nel 1989 e lo beatificò il 7 ottobre 1990.
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