14 Febbraio


Santi Cirillo e Metodioo

Santi Cirillo e Metodio
Patroni d’Europa
 


Non pochi sono i casi di fratelli venerati come santi dalla Chiesa, fra i quali vogliamo ricordare in particolare i patriarchi Mosè ed Aronne, gli apostoli Pietro ed Andrea, i martiri Cosma e Damiano, i protomartiri russi Boris e Gleb, Sant’Annibale Maria ed il Servo di Dio Francesco Maria Di Francia, San Paolo della Croce ed il Venerabile Giovanni Battista Danei, i Beati Giovanni Maria e Luigi Boccardo, i Venerabili Antonio e Marco Cavanis, i Servi di Dio Flavio e Gedeone Corrà. Papa Giovanni Paolo II, il 31 dicembre 1980 con la lettera apostolica “Egregiae virtutis” volle porre due fratelli, Cirillo e Metodio, quali patroni d’Europa insieme con San Benedetto, in quanto evangelizzatori dei popoli slavi e dunque della parte orientale del vecchio continente. Trattasi di due santi mai canonizzati dai papi, dei quali soltanto nel 1880 il pontefice Leone XIII aveva esteso il culto alla Chiesa universale.

Originari di Tessalonica, città greca a quel tempo facente parte dell’Impero Bizantino, Cirillo e Metodio evangelizzarono in particolar modo la Pannonia e la Moravia nel IX secolo. Poco notizie ci sono state però tramandate circa Cirillo e suo fratello Metodio. Sappiamo che Cirillo in realtà si chiamava Costantino ed adottò in seguito il nome Cirillo come monaco, verso il termine della sua vita. Ulteriori informazioni circa le loro attività sono pervenute sino a noi grazie a due “Vitæ”, redatte in paleoslavo, nota anche come “Leggende Pannoniche”. Si conservano inoltre le lettere che l’allora pontefice indirizzò a Metodio e la “Leggenda italica”, scritta in latino. Quest’ultima narra che a Velletri il vescovo Gauderico, devoto del papa San Clemente, le cui reliquie furono traslate in Italia proprio da Cirillo, volle redarre un resoconto sulla vita di quest’ultimo. A causa della innegabile scarsità di fonti storicamente attendibili, sono fiorite numerose leggende attorno alle figure di Cirillo e Metodio.

Nativi di Salonicco (in slavo Solun), rampolli di una nobile famiglia greca, loro padre Leone era drungario della città, posizione che gli conseguiva un elevato status sociale. Secondo la “Vita Cyrilli”, quest’ultimo era il più giovane di sette fratelli e già in tenera età pare avesse espresso il desiderio di dedicarsi interamente al perseguimento della sapienza. In giovane età si trasferì a Costantinopoli, ove intraprese gli studi teologici e filosofici. La tradizione vuole che tra i suoi precettori vi fu il celebre patriarca Fozio ed Anastasio Bibliotecario riferisce dell’amicizia che intercorreva fra i due, così come di una disputa dottrinaria verificatasi tra loro. La curiosità tipica di Cirillo dimostrava il suo eclettismo: egli coltivò infatti nozioni di astronomia, geometria, retorica e musica, ma fu nel campo della linguistica che poté dar prova del suo genio. Oltre al greco, Cirillo parlava infatti correntemente anche il latino, l’arabo e l’ebraico. Da Costantinopoli, l’imperatore inviò i due fratelli in varie missioni, anche presso gli Arabi: fu durante la missione presso i Càsari che Cirillo rinvenne le reliquie del papa San Clemente, un Vangelo ed un salterio scritti in lettere russe, come narra la “Vita Methodii”. La missione più importante che venne affidata a Cirillo e Metodio fu quella presso le popolazioni slave della Pannonia e della Moravia.

Il sovrano di Moravia, Rostislav, poi morto martire e venerato come santo, chiese all’imperatore bizantino di inviare missionari nelle sue terre, celando dietro motivazioni religiose anche il fattore politico della preoccupante presenza tedesca nel suo regno. Cirillo accettò volentieri l’invito e, giunto nella sua nuova terra di missione, incominciò a tradurre brani del Vangelo di Giovanni inventando un nuovo alfabeto, detto glagolitico (da “глаголь” che significa “parola”), oggi meglio noto come alfabeto cirillico. Probabilmente già da tempo si era cimentato nell’elaborazione di un alfabeto per la lingua slava. Non tardarono però a manifestarsi contrasti con il clero tedesco, primo evangelizzatore di quelle terre. Nel 867 Cirillo e Metodio si recarono a Roma per far ordinare sacerdoti i loro discepoli, ma forse la loro visita fu dettata da un’esplicita convocazione da parte del papa Adriano II insospettito dall’amicizia tra Cirillo e l’eretico Fozio. Ad ogni modo il pontefice riservò loro un’accoglienza positiva, ordinò prete Metodio ed approvò le loro traduzioni della Bibbia e dei testi liturgici in lingua slava. Inoltre Cirillo gli fece dono delle reliquie di San Clemente, da lui ritrovate in Crimea. Durante la permanenza nella Città Eterna, Cirillo si ammalò e morì: era il 14 febbraio 869. Venne sepolto proprio presso la basilica di San Clemente.

Metodio ritornò poi in Moravia, ma durante un successivo viaggio a Roma venne consacrato vescovo ed assegnato alla sede di Sirmiun (odierna Sremska Mitroviča). Quando in Moravia a Rostislav successe il nipote Sventopelk, favorevole alla presenza tedesca nel regno, iniziò così la persecuzione dei discepoli di Cirillo e Metodio, visti come portatori di un’eresia. Lo stesso Metodio fu detenuto per due anni in Baviera ed infine morì presso Velehrad, nel sud della Moravia, il 6 aprile 885. I suoi discepoli vennero incarcerati o venduti come schiavi a Venezia. Una parte di essi riuscì a fuggire nei Balcani e non a caso in Bulgaria si venerano come Sette Apostoli della nazione proprio Cirillo, Metodio ed i loro discepoli Clemente, Nahum, Saba, Gorazd ed Angelario, comunemente festeggiati al 27 luglio. Il Martyrologium Romanum ed il calendario liturgico dedicano invece ai fratelli Cirillo e Metodio la festa del 14 febbraio, nell’anniversario della morte del primo.

Se l’immane opera dei due fratelli di Tessalonica fu cancellata in Moravia, come detto trovò fortuna e proseguimento in terra bulgara, anche grazie al favore del sovrano San Boris Michele I, considerato “isapostolo”, che abbracciò il cristianesimo e ne fece la religione nazionale. La vastissima attività dei discepoli di Cirillo e Metodio in questo paese diede origine alla letteratura bulgara, ponendo così le basi della cultura scritta dei nuovi grandi stati russi. Il cirillico avvicinò moltissimo i bulgari e tutti i popoli slavi al mondo greco-bizantino: questo alfabeto si componeva di trentotto lettere, delle quali ben ventiquattro prese dall’alfabeto greco, mentre le altre appositamente ideate per la fonetica slava. Ciò comportò una grande facilità nel trapiantare in slavo l’enorme tradizione letteraria greca. La nuova lingua soppiantò ovunque il glagolitico e rese celebre sino ai giorni nostri il nome del suo ideatore.

DALLA “VITA” IN LINGUA SLAVA DI COSTANTINO

Costantino Cirillo, stanco dalle molte fatiche, cadde malato e sopportò il proprio male per molti giorni. Fu allora ricreato da una visione di Dio, e cominciò a cantare così: Quando mi dissero: «andremo alla casa del Signore», il mio spirito si è rallegrato e il mio cuore ha esultato (cfr. Sal 121, 1).

Dopo aver indossato le sacre vesti, rimase per tutto il giorno ricolmo di gioia e diceva: «Da questo momento non sono più servo né dell’imperatore né di alcun uomo sulla terra, ma solo di Dio onnipotente. Non esistevo, ma ora esisto ed esisterò in eterno. Amen».
Il giorno dopo vestì il santo abito monastico e aggiungendo luce a luce si impose il nome di Cirillo. Così vestito rimase cinquanta giorni.

Giunta l’ora della fine e di passare al riposo eterno, levate le mani a Dio, pregava tra le lacrime, dicendo:

«Signore, Dio mio, che hai creato tutti gli ordini angelici e gli spiriti incorporei, che hai steso i cieli e resa ferma la terra e hai formato dal nulla tutte le cose che esistono, tu che ascolti sempre coloro che fanno la tua volontà e ti temono e osservano i tuoi precetti; ascolta la mia preghiera e conserva nella fede il tuo gregge, a capo del quale mettesti me, tuo servo indegno ed inetto.
Liberali dalla malizia empia e pagana di quelli che ti bestemmiano; fa’ crescere di numero la tua Chiesa e raccogli tutti nell’unità.
Rendi santo, concorde nella vera fede e nella retta confessione il tuo popolo, e ispira nei cuori la parola della tua dottrina. E’ tuo dono infatti l’averci scelti a predicare il Vangelo del tuo Cristo, a incitare i fratelli alle buone opere e a compiere quanto ti è gradito.
Quelli che mi hai dato, te li restituisco come tuoi; guidali ora con la tua forte destra, proteggili all’ombra delle tue ali, perché tutti lodino e glorifichino il tuo nome di Padre e Figlio e Spirito Santo. Amen».
Avendo poi baciato tutti col bacio santo, disse: «Benedetto Dio, che non ci ha dato in pasto ai denti dei nostri invisibili avversari, ma spezzò la loro rete e ci ha salvati dalla loro voglia di mandarci in rovina».

E così, all’età di quarantadue anni, si addormentò nel Signore.
Il papa comandò che tutti i Greci che erano a Roma e i Romani si riunissero portando ceri e cantando e che gli dedicassero onori funebri non diversi da quelli che avrebbero tributato al papa stesso; e così fu fatto.

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Benedetto XVI
Santi Cirillo e Metodio

Cari fratelli e sorelle,
oggi vorrei parlare dei Santi Cirillo e Metodio, fratelli nel sangue e nella fede, detti apostoli degli slavi. Cirillo nacque a Tessalonica dal magistrato imperiale Leone nell’826/827: era il più giovane di sette figli. Da ragazzo imparò la lingua slava. All’età di quattordici anni fu mandato a Costantinopoli per esservi educato e fu compagno del giovane imperatore Michele III. In quegli anni fu introdotto nelle diverse materie universitarie, fra le quali la dialettica, avendo come maestro Fozio. Dopo aver rifiutato un brillante matrimonio, decise di ricevere gli ordini sacri e divenne “bibliotecario” presso il Patriarcato. Poco dopo, desiderando ritirarsi in solitudine, andò a nascondersi in un monastero, ma fu presto scoperto e gli fu affidato l’insegnamento delle scienze sacre e profane, mansione che svolse così bene da guadagnarsi l’appellativo di “Filosofo”. Nel frattempo, il fratello Michele (nato nell’815 ca.), dopo una carriera amministrativa in Macedonia, verso l’anno 850 abbandonò il mondo per ritirarsi a vita monastica sul monte Olimpo in Bitinia, dove ricevette il nome di Metodio (il nome monastico doveva cominciare con la stessa lettera di quello di battesimo) e divenne igumeno del monastero di Polychron.

Attratto dall’esempio del fratello, anche Cirillo decise di lasciare l’insegnamento per recarsi sul monte Olimpo a meditare e a pregare. Alcuni anni più tardi però, (861 ca.), il governo imperiale lo incaricò di una missione presso i khazari del Mare di Azov, i quali chiedevano che fosse loro inviato un letterato che sapesse discutere con gli ebrei e i saraceni. Cirillo, accompagnato dal fratello Metodio, sostò a lungo in Crimea, dove imparò l’ebraico. Qui ricercò pure il corpo del Papa Clemente I, che vi era stato esiliato. Ne trovò la tomba e, quando col fratello riprese la via del ritorno, portò con sé le preziose reliquie. Giunti a Costantinopoli, i due fratelli furono inviati in Moravia dall’imperatore Michele III, al quale il principe moravo Ratislao aveva rivolto una precisa richiesta: “Il nostro popolo – gli aveva detto – da quando ha respinto il paganesimo, osserva la legge cristiana; però non abbiamo un maestro che sia in grado di spiegarci la vera fede nella nostra lingua”. La missione ebbe ben presto un successo insolito. Traducendo la liturgia nella lingua slava, i due fratelli guadagnarono una grande simpatia presso il popolo.

Questo, però, suscitò nei loro confronti l’ostilità del clero franco, che era arrivato in precedenza in Moravia e considerava il territorio come appartenente alla propria giurisdizione ecclesiale. Per giustificarsi, nell’867 i due fratelli si recarono a Roma. Durante il viaggio si fermarono a Venezia, dove ebbe luogo un’animata discussione con i sostenitori della cosiddetta “eresia trilingue”: costoro ritenevano che vi fossero solo tre lingue in cui si poteva lecitamente lodare Dio: l’ebraica, la greca e la latina. Ovviamente, a ciò i due fratelli si opposero con forza. A Roma Cirillo e Metodio furono ricevuti dal Papa Adriano II, che andò loro incontro in processione per accogliere degnamente le reliquie di san Clemente. Il Papa aveva anche compreso la grande importanza della loro eccezionale missione. Dalla metà del primo millennio, infatti, gli slavi si erano installati numerosissimi in quei territori posti tra le due parti dell’Impero Romano, l’orientale e l’occidentale, che erano già in tensione tra loro. Il Papa intuì che i popoli slavi avrebbero potuto giocare il ruolo di ponte, contribuendo così a conservare l’unione tra i cristiani dell’una e dell’altra parte dell’Impero. Egli quindi non esitò ad approvare la missione dei due Fratelli nella Grande Moravia, accogliendo e approvando l’uso della lingua slava nella liturgia. I libri slavi furono deposti sull’altare di Santa Maria di Phatmé (Santa Maria Maggiore) e la liturgia in lingua slava fu celebrata nelle Basiliche di San Pietro, Sant’Andrea, San Paolo.

Purtroppo a Roma Cirillo s’ammalò gravemente. Sentendo avvicinarsi la morte, volle consacrarsi totalmente a Dio come monaco in uno dei monasteri greci della Città (probabilmente presso Santa Prassede) ed assunse il nome monastico di Cirillo (il suo nome di battesimo era Costantino). Poi pregò con insistenza il fratello Metodio, che nel frattempo era stato consacrato Vescovo, di non abbandonare la missione in Moravia e di tornare tra quelle popolazioni. A Dio si rivolse con questa invocazione: “Signore, mio Dio…, esaudisci la mia preghiera e custodisci a te fedele il gregge a cui avevi preposto me… Liberali dall’eresia delle tre lingue, raccogli tutti nell’unità, e rendi il popolo che hai scelto concorde nella vera fede e nella retta confessione”. Morì il 14 febbraio 869.

Fedele all’impegno assunto col fratello, nell’anno seguente, 870, Metodio ritornò in Moravia e in Pannonia (oggi Ungheria), ove incontrò di nuovo la violenta avversione dei missionari franchi che lo imprigionarono. Non si perse d’animo e quando nell’anno 873 fu liberato si adoperò attivamente nella organizzazione della Chiesa, curando la formazione di un gruppo di discepoli. Fu merito di questi discepoli se poté essere superata la crisi che si scatenò dopo la morte di Metodio, avvenuta il 6 aprile 885: perseguitati e messi in prigione, alcuni di questi discepoli vennero venduti come schiavi e portati a Venezia, dove furono riscattati da un funzionario costantinopolitano, che concesse loro di tornare nei Paesi degli slavi balcanici. Accolti in Bulgaria, poterono continuare nella missione avviata da Metodio, diffondendo il Vangelo nella «terra della Rus’». Dio nella sua misteriosa provvidenza si avvaleva così della persecuzione per salvare l’opera dei santi Fratelli. Di essa resta anche la documentazione letteraria. Basti pensare ad opere quali l’Evangeliario (pericopi liturgiche del Nuovo Testamento), il Salterio, vari testi liturgici in lingua slava, a cui lavorarono ambedue i Fratelli. Dopo la morte di Cirillo, a Metodio e ai suoi discepoli si deve, tra l’altro, la traduzione dell’intera Sacra Scrittura, il Nomocanone e il Libro dei Padri.

Volendo ora riassumere in breve il profilo spirituale dei due Fratelli, si deve innanzitutto registrare la passione con cui Cirillo si avvicinò agli scritti di san Gregorio Nazianzeno, apprendendo da lui il valore della lingua nella trasmissione della Rivelazione. San Gregorio aveva espresso il desiderio che Cristo parlasse per mezzo di lui: “Sono servo del Verbo, perciò mi metto al servizio della Parola”. Volendo imitare Gregorio in questo servizio, Cirillo chiese a Cristo di voler parlare in slavo per mezzo suo. Egli introduce la sua opera di traduzione con l’invocazione solenne: “Ascoltate, o voi tutte genti slave, ascoltate la Parola che venne da Dio, la Parola che nutre le anime, la Parola che conduce alla conoscenza di Dio”. In realtà, già alcuni anni prima che il principe di Moravia venisse a chiedere all’imperatore Michele III l’invio di missionari nella sua terra, sembra che Cirillo e il fratello Metodio, attorniati da un gruppo di discepoli, stessero lavorando al progetto di raccogliere i dogmi cristiani in libri scritti in lingua slava. Apparve allora chiaramente l’esigenza di nuovi segni grafici, più aderenti alla lingua parlata: nacque così l’alfabeto glagolitico che, successivamente modificato, fu poi designato col nome di “cirillico” in onore del suo ispiratore. Fu quello un evento decisivo per lo sviluppo della civiltà slava in generale. Cirillo e Metodio erano convinti che i singoli popoli non potessero ritenere di aver ricevuto pienamente la Rivelazione finché non l’avessero udita nella propria lingua e letta nei caratteri propri del loro alfabeto.

A Metodio spetta il merito di aver fatto sì che l’opera intrapresa col fratello non fosse bruscamente interrotta. Mentre Cirillo, il “Filosofo”, era propenso alla contemplazione, egli era piuttosto portato alla vita attiva. Grazie a ciò poté porre i presupposti della successiva affermazione di quella che potremmo chiamare l’«idea cirillo-metodiana»: essa accompagnò nei diversi periodi storici i popoli slavi, favorendone lo sviluppo culturale, nazionale e religioso. E’ quanto riconosceva già Papa Pio XI con la Lettera apostolica Quod Sanctum Cyrillum, nella quale qualificava i due Fratelli: “figli dell’Oriente, di patria bizantini, d’origine greci, per missione romani, per i frutti apostolici slavi” (AAS 19 [1927] 93-96). Il ruolo storico da essi svolto è stato poi ufficialmente proclamato dal Papa Giovanni Paolo II che, con la Lettera apostolica Egregiae virtutis viri, li ha dichiarati compatroni d’Europa insieme con san Benedetto (AAS 73 [1981] 258-262). In effetti, Cirillo e Metodio costituiscono un esempio classico di ciò che oggi si indica col termine “inculturazione”: ogni popolo deve calare nella propria cultura il messaggio rivelato ed esprimerne la verità salvifica con il linguaggio che gli è proprio. Questo suppone un lavoro di “traduzione” molto impegnativo, perché richiede l’individuazione di termini adeguati a riproporre, senza tradirla, la ricchezza della Parola rivelata. Di ciò i due santi Fratelli hanno lasciato una testimonianza quanto mai significativa, alla quale la Chiesa guarda anche oggi per trarne ispirazione ed orientamento.

Udienza generale 17.6.2009