V settimana del Tempo Ordinario
Commento di Paolo Curtaz
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Lunedì 6 Febbraio > (Memoria – Rosso) | San Paolo Miki e compagni Gen 1,1-19 Sal 103 Mc 6,53-56: Quanti lo toccavano venivano salvati. |
Martedì 7 Febbraio > (Feria – Verde) | Martedì della V settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari) Gen 1,20-2,4 Sal 8 Mc 7,1-13: Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini. |
Mercoledì 8 Febbraio > (Feria – Verde) | Mercoledì della V settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari) Gen 2,4-9.15-17 Sal 103 Mc 7,14-23: Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. |
Giovedì 9 Febbraio > (Feria – Verde) | Giovedì della V settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari) Gen 2,18-25 Sal 127 Mc 7,24-30: I cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli. |
Venerdì 10 Febbraio > (Memoria – Bianco) | Santa Scolastica Gen 3,1-8 Sal 31 Mc 7,31-37: Fa udire i sordi e fa parlare i muti. |
Sabato 11 Febbraio > (Feria – Verde) | Sabato della V settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari) Gen 3,9-24 Sal 89 Mc 8,1-10: Mangiarono a sazietà. |
Domenica 12 Febbraio > (DOMENICA – Verde) | VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) Sir 15,16-21 Sal 118 1Cor 2,6-10 Mt 5,17-37: C5,17-37: Così fu detto agli antichi; ma io vi dico. |
Lunedì 6 Febbraio (Memoria – Rosso) San Paolo Miki e compagni
E’ il primo giapponese accolto in un Ordine religioso cattolico: il primo gesuita. Nato in una famiglia benestante e battezzato a cinque anni, Paolo Miki entra poi in un collegio della Compagnia di Gesù, e a 22 anni è novizio. Riesce bene in tutto: solo lo studio del latino lo fa penare; troppo lontano dal suo modo nativo di parlare e di pensare. Diventa invece un esperto della religiosità orientale, cosicché viene destinato alla predicazione, che comporta il dialogo con dotti buddhisti. Riesce bene, ottiene conversioni; però, dice un francescano spagnolo, più efficaci della parola sono i suoi sentimenti affettuosi.
Il cristianesimo è penetrato in Giappone nel 1549 con Francesco Saverio, che vi è rimasto due anni, aprendo poi la via ad altri missionari, bene accolti dalla gente. Li lascia in pace anche lo Stato, in cui gli imperatori sopravvivono come simboli, mentre chi comanda è sempre lo Shogun, capo militare e politico. Paolo Miki vive anni attivi e fecondi, percorrendo continuamente il Paese. I cristiani diventano decine di migliaia. Nel 1582-84 c’è la prima visita a Roma di una delegazione giapponese, autorizzata dallo Shogun Hideyoshi, e lietamente accolta da papa Gregorio XIII.
Ma proprio Hideyoshi capovolge poi la politica verso i cristiani, facendosi persecutore per un complesso di motivi: il timore che il cristianesimo minacci l’unità nazionale, già indebolita dai feudatari; il comportamento offensivo e minaccioso di marinai cristiani (spagnoli) arrivati in Giappone; e anche i gravi dissidi tra gli stessi missionari dei vari Ordini in terra giapponese, tristi fattori di diffidenza. Un insieme di fatti e di sospetti che porterà a spietati eccidi di cristiani nel secolo successivo. Ma già al tempo di Hideyoshi, ecco una prima persecuzione locale, che coinvolge Paolo Miki. Arrestato nel dicembre 1596 a Osaka, trova in carcere tre gesuiti e sei francescani missionari, con 17 giapponesi terziari di San Francesco. E insieme a tutti loro egli viene crocifisso su un’altura presso Nagasaki. Prima di morire, tiene l’ultima predica, invitando tutti a seguire la fede in Cristo; e dà il suo perdono ai carnefici. Andando al supplizio, ripete le parole di Gesù in croce: “In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum”. Proprio così le dice: in quel latino che da giovane studiava con tanta fatica. Nel 1862, papa Pio IX lo proclamerà santo.
Nell’anno 1846, a Verona, un seminarista quindicenne legge il racconto di questo supplizio e ne riceve la prima forte spinta alla vita missionaria: è Daniele Comboni, futuro apostolo della “Nigrizia”, alla quale dedicherà vita e morte, tre secoli dopo san Paolo Miki.
Domenico Agasso
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Lunedì della V settimana del Tempo Ordinario
Mc 6,53-56: Quanti lo toccavano venivano salvati.
Marco 6,53-56 – Il mantello del Signore. Chi lo sfiora guarisce, dice Marco. La folla fa ressa attorno a Gesù per poterlo vedere, ascoltare, per guarire. Alcuni lo scambiano per un santone guaritore, uno dei molti che calcano le strade degli uomini, di tanto in tanto. Ma a lui va bene anche così: richiama le persone all’essenziale, non spettacolarizza ma fa della guarigione il segno della venuta del Regno in mezzo a noi. Anch’io sono stato sfiorato dal mantello del Signore. Più volte. Anche tu, amico lettore. Durante una messa che ci ha aperto il cuore, di fronte ad una parola del Vangelo che ci ha scossi, durante un tramonto al mare e in montagna in cui abbiamo misurato il limite delle nostre pretese, davanti ad gesto di amore puro che ci ha commosso nell’intimo. Continua a passare, il Signore, e ci sfiora col suo mantello, ci guarisce nel profondo, ci rende uomini e donne nuovi. E anche noi possiamo diventare mantello del Signore che sfiora gli ammalati e gli scoraggiati, con le nostre parole, con la nostra pazienza, col nostro bene. Non ci è dato di incontrare il Signore Gesù se non attraverso dei segni, sempre eloquenti, spesso intensi e anche noi siamo chiamati a diventare sacramento dell’attenzione di Dio, oggi.
Martedì della V settimana del Tempo Ordinario
Mc 7,1-13: Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini.
Marco 7,1-13 – Gesù si schiera chiaramente contro l’osservanza pedissequa della Legge orale. Le famose dieci parole date al popolo attraverso Mosè non erano sufficienti ad aiutare il fedele ad osservare l’alleanza e, così, già diversi secoli prima di Cristo i rabbini avevano chiesto di erigere una siepe a protezione della Torah. Al tempo di Gesù i precetti erano diventati 613, di cui 365 negativi, uno per ogni giorno dell’anno, e i restanti positivi, secondo il numero delle ossa che formavano il corpo umano. E, tanto per farli gradire, i nuovi precetti erano stati attribuiti a Mosè, cosa del tutto fasulla. Gesù non contesta la Legge ma l’interpretazione restrittiva che ne fanno i farisei, giungendo al paradosso, come nel caso citato oggi, in cui si preferisce finanziare le casse del tempio piuttosto che sostenere i proprio genitori anziani! Stiamo attenti anche noi, cattolici praticanti, che a volte filtriamo il moscerino e ingoiamo il cammello. Gesù è venuto a liberarci da una visione di Dio piccina, fatta di regole e di minuzie, per darci una prospettiva ampia, adulta, liberante. Che la libertà acquistataci a caro prezzo, direbbe san Paolo, non venga vanificata da nuove regole inventate dagli uomini, anche se devoti!
Mercoledì della V settimana del Tempo Ordinario
Mc 7,14-23: Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo.
Marco 7,14-23 – Gesù contesta l’interpretazione restrittiva della Legge che fanno i farisei. Contesta il fatto di mettere sullo stesso piano le norme che derivano dall’alleanza da tanti piccoli precetti osservati con scrupolo. L’idea dei farisei era che osservando tutte le prescrizioni (!) si era graditi al cospetto di Dio. Gesù, invece, ci ricorda che a Dio siamo graditi sempre, con o senza osservanza delle Leggi e che, eventualmente, le norme servono a farci vivere meglio, non a meritarci Dio che è gratis. Quelle che regolano la purità rituale, ad esempio, vengono ricondotte al loro significato profondo di regole di igiene alimentare, senza far diventare matte le persone. Ma, si sa, fatichiamo ad imparare e se le Leggi dell’Antico Testamento sono finite in soffitta, noi cattolici siamo stati bravi a ricreare tante piccole norme per sentirci la coscienza a posto. L’amore non è anarchico, si assume delle responsabilità, certo, e la fedeltà si manifesta anche nell’osservanza di alcune regole. Ma tutto e sempre nell’orizzonte di una manifestazione d’amore e non nell’illusione di metterci “in regola” davanti a Dio! Dio ci chiede di essere dei figli adulti e responsabilmente liberi, non dei fantocci!
Giovedì della V settimana del Tempo Ordinario
Mc 7,24-30: I cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli.
Marco 7,24-30 – Il racconto della guarigione della figlia della donna pagana è presente anche in Matteo ma qui, in Marco, ci sono meno particolari. Stupisce, però, l’insistenza che fa Marco sulla totale estraneità di questa donna dalla tradizione biblica: l’evento avviene a Tiro, quindi fuori dai confini di Israele, questa donna è siro-fenicia (due popoli storicamente nemici di Israele!) e parla pure in greco! In Israele la purezza e la santità erano inversamente proporzionali alla distanza dal tempio di Gerusalemme: già i galilei erano visti con sospetto, figuriamoci questa donna! Eppure Gesù la incoraggia e accetta la sua fede superstiziosa e superficiale: se il banchetto del Padre è rivolto anzitutto ai figli di Israele, anche i cagnolini possono sfamarsi delle briciole che cadono dalla mensa. Lasciamo a Dio giudicare il cuore delle persone, di coloro che, ancora oggi, consideriamo “lontani” solo perché non hanno fatto la nostra esperienza di fede. Non esistono “stranieri” agli occhi di Dio ma ogni uomo che cerca in sé risposta e consolazione può incrociare misteriosamente lo sguardo del Signore. Lasciamo a Dio il giudizio e siamo disponibili verso ogni uomo che oggi incontreremo!
Venerdì 10 Febbraio – Santa Scolastica (Memoria – Branco)
Il nome di Scolastica, sorella di Benedetto da Norcia, richiama al femminile gli inizi del monachesimo occidentale, fondato sulla stabilità della vita in comune. Benedetto invita a servire Dio non già “fuggendo dal mondo” verso la solitudine o la penitenza itinerante, ma vivendo in comunità durature e organizzate, e dividendo rigorosamente il proprio tempo fra preghiera, lavoro o studio e riposo. Da giovanissima, Scolastica si è consacrata al Signore col voto di castità. Più tardi, quando già Benedetto vive a Montecassino con i suoi monaci, in un altro monastero della zona lei fa vita comune con un gruppetto di donne consacrate.
La Chiesa ricorda Scolastica come santa, ma di lei sappiamo ben poco. L’unico testo quasi contemporaneo che ne parla è il secondo libro dei Dialoghi di papa Gregorio Magno (590-604). Ma i Dialoghi sono soprattutto composizioni esortative, edificanti, che propongono esempi di santità all’imitazione dei fedeli mirando ad appassionare e a commuovere, senza ricercare il dato esatto e la sicura referenza storica. Inoltre, Gregorio parla di lei solo in riferimento a Benedetto, solo all’ombra del grande fratello, padre del monachesimo occidentale.
Ecco la pagina in cui li troviamo insieme. Tra loro è stato convenuto di incontrarsi solo una volta all’anno. E Gregorio ce li mostra appunto nella Quaresima (forse) del 542, fuori dai rispettivi monasteri, in una casetta sotto Montecassino. Un colloquio che non finirebbe più, su tante cose del cielo e anche della terra. L’Italia del tempo è una preda contesa tra i Bizantini del generale Belisario e i Goti del re Totila, devastata dagli uni e dagli altri. Roma s’è arresa ai Goti per fame dopo due anni di assedio, in Italia centrale gli affamati masticano erbe e radici. A Montecassino passano vincitori e vinti; passa Totila attratto dalla fama di Benedetto, e passano le vittime della violenza, i portatori di tutte le disperazioni, gli assetati di speranza…
Viene l’ora di separarsi. Scolastica vorrebbe prolungare il colloquio, ma Benedetto rifiuta: la Regola non s’infrange, ciascuno torni a casa sua. Allora Scolastica si raccoglie intensamente in preghiera, ed ecco scoppiare un temporale violentissimo che blocca tutti nella casetta. Così il colloquio può continuare per un po’ ancora. Infine, fratello e sorella con i loro accompagnatori e accompagnatrici si separano; e questo sarà il loro ultimo incontro.
Tre giorni dopo, leggiamo nei Dialoghi, Benedetto apprende la morte della sorella vedendo la sua anima salire verso l’alto in forma di colomba. I monaci scendono allora a prendere il suo corpo, dandogli sepoltura nella tomba che Benedetto ha fatto preparare per sé a Montecassino; e dove sarà deposto anche lui, morto in piedi sorretto dai suoi monaci, intorno all’anno 547.
(Domenico Agasso – Famiglia Cristiana)
Venerdì della V settimana del Tempo Ordinario
Mc 7,31-37: Fa udire i sordi e fa parlare i muti.
Marco 7,31-37 – Fa bene ogni cosa, il Signore Gesù, allora come oggi. Fa parlare i muti e udire i sordi. Noi, sordi ai richiami di Dio, storditi dalle troppe informazioni che abbiamo, travolti dagli impegni, dalle chiacchiere televisive, dai comizi, dagli opinionisti. E resi muti in un mondo che non sa ascoltare e che ci fa diventare delle fotocopie, che ci obbliga a schierarci da una parte o da un’altra, sempre in conflitto, sempre in affanno. Ci libera le orecchie, il Signore Gesù, ci permette di ascoltare la Parola come mai l’abbiamo ascoltata, senza cantilene, senza insopportabili prediche, senza paroloni incomprensibili. E ci permette di parlare, di dire, di raccontare le grandi opere che egli compie in ciascuno di noi. Incontrarlo ci apre ad una dimensione nuova, conoscerlo ci spalanca la mente e gli orizzonti. Sì: fa bene ogni cosa il Signore, ci cambia prospettiva. Senza clamore, senza sbandierare ai quattro venti la nostra fede, senza fare gli ossessi. Fa bene ogni cosa, il Signore: ci spalanca ad una visione di fede, tutto acquista senso, tutto assume una coloritura diversa. Fa bene ogni cosa, il Signore, ancora oggi, se lo lasciamo fare.
Sabato della V settimana del Tempo Ordinario
Mc 8,1-10: Mangiarono a sazietà.
Marco 8,1-10 Ha compassione della folla, il Signore. Ha compassione di noi uomini, sa bene che la vita è un cammino impegnativo, sa bene che, lontani da lui, possiamo mancare per strada, perdere il sentiero, smarrire la direzione giusta. E allora ci offre un pane per il cammino, un nutrimento per tornare alle nostre case, al luogo del ristoro, alla meta ultima. Un pane del cammino che si moltiplica a partire da ciò che i discepoli mettono a disposizione. Il Signore amplifica la nostra generosità, il pane del cammino altro non è che il nostro pane condiviso e, perciò, moltiplicato. Siamo noi discepoli a sfamare la folla, a permettere ad ogni uomo di camminare verso casa. Ma ad una condizione: mettere in gioco tutto quello che siamo, fino alla fine, fino all’ultimo respiro. Sono sette i pani dei discepoli, sette: il numero della perfezione. Guai a noi se mettiamo in gioco la nostra fede solo a metà, guai a noi se, davanti alla folla affamata, scarichiamo le responsabilità su Dio. A noi è chiesto di sfamare le folle di cui Dio ha compassione. E non abbiamo di che temere: una volta condiviso il pane, ne avanzeremo sette sporte: ciò che avremo interamente donato ci sarà restituito cento volte tanto.