Festa della Presentazione del Signore 
2 Febbraio 
Lc 2,22-40


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Nel tempio di Gerusalemme l’evangelista Luca colloca momenti significativi della rivelazione di Gesù fin dai primi momenti della sua vita. L’incontro con Simeone è occasione di un importante messaggio cristologico. Il sapore pasquale di questo episodio viene ricordato dalla legge sui primogeniti, esplicitamente richiamata con la citazione di Esodo 13. Questo rito di presentazione è un memoriale pasquale. L’anziano Simeone è simbolo del popolo eletto che persevera nella fedeltà; egli indica Gesù come salvezza,  luce delle nazioni e gloria del suo popolo.

Nella prima lettura, il profeta Malachia presenta la purificazione che il Signore opererà nei suoi figli. Innanzitutto si dice che i destinatari della purificazione sono specificamente i figli di Levi, la tribù sacerdotale, a cui, in Deuteronomio 33 era assegnata la responsabilità del culto israelitico, un culto senza contaminazione con altre divinità. Questi sono i giorni antichi e gli anni lontani cui allude il v. 4, i giorni degli inizi e della fedeltà a cui il culto verrà riportato:  una piena restaurazione. Il gradimento dell’offerta è legato a questa celebrazione in assoluta fedeltà.

Nella lettera agli Ebrei (seconda lettura), Gesù partecipa della nostra umanità per poter essere sommo sacerdote misericordioso e fedele. La vittoria di Gesù è sul detentore e responsabile della morte: il diavolo. L’amore è la sintesi delle caratteristiche sacerdotali di Gesù.

v.25: Vi è un legame stretto tra Simeone e lo Spirito Santo. Nei racconti lucani dell’infanzia lo Spirito è dono a coloro che devono svolgere un ruolo particolare nei confronti del Messia. Anche a Simeone tocca un servizio da rendere al Messia: lo deve proclamare come gloria di Israele e luce delle nazioni.

v.29: La punta teologica del Nunc dimittis è che Dio è stato fedele e ha portato a compimento ciò che aveva detto. Ma è molto importante che la condizione in cui Simeone pronuncia il Nunc dimittis sia quella dell’essere servo, schiavo nei confronti del Signore; questa è la condizione in cui anche noi dobbiamo entrare per fare nostro in verità questo canto. Simeone si sente schiavo, servo di Dio e chiama il Signore ‘Padrone’ (in greco dèspota), cioè comandante senza limiti, padrone assoluto degli schiavi, usando un termine molto più raro rispetto a Kyrios (Signore) come appellativo di Dio. Simeone si rivolge a Dio come a Colui che può tutto, che è il padrone e Signore assoluto, e gli chiede di lasciare andare ormai il suo servo nella pace. L’opera di salvezza è pienamente compiuta e Simeone può ora morire nella pace: non lui ha compiuto l’opera, egli anzi non ha portato nulla a compimento, ma l’opera è stata compiuta e realizzata da Dio. È Dio che ha compiuto tutto. Simeone ricorda a tutti noi che il servo di Dio sa che è il Signore che porta tutto a compimento e che lui può solo riconoscere l’opera di Dio e rendere grazie perché veramente importante è ciò che Dio compie.

v.30: L’evento vissuto in quel momento da Simeone, vedere la salvezza di Dio, è evento che racchiude tutta la storia; il vecchio Simeone riconosce che fino a questo momento Dio ha preparato e messo in atto la salvezza per il suo popolo santo, ponendo fine a tutti i tempi della preparazione, da Abramo in poi. Ormai la salvezza è un evento, è realtà qui e ora, in quel Bambino.

v.31: Ciò che vedono gli occhi di Simeone sarà visto da ogni carne, sarà visto da tutta la terra, da tutti i popoli. Anzi, i popoli parteciperanno a questa salvezza e l’accoglieranno nelle loro braccia come Simeone l’ha riconosciuta e accolta nel bambino; dunque sotto le spoglie e i segni dell’umiltà, povertà e abbassamento che è anche il sigillo dello scandalo della croce. Simeone aveva davanti a sé solo un Bambino, ma è lì che ha riconosciuto la salvezza e vi ha partecipato prendendolo tra le sue braccia. I popoli della terra avranno davanti a sé un Crocifisso, la stoltezza della croce, lo scandalo e la follia della croce, ma è lì che dovrà essere riconosciuta la salvezza e vi si parteciperà abbracciando la croce. Luca lascia intravedere che nel Bambino c’è già lo scandalo della croce.

v.32: Con queste parole Simeone attesta che Gesù è il Servo di JHWH, lo schiavo profetizzato da Isaia, di cui si era detto che era luce, rivelazione e gloria. Il Servo è innanzitutto luce. Dice infatti il primo canto del Servo: “Io ti ho stabilito luce delle genti” (Isaia 42) e il terzo canto riprende: “Io ti renderò luce delle genti perché tu porti la salvezza fino alle estremità della terra” (Isaia 49). Il compito del Bambino è il compito del Servo, un compito che supera i confini di Israele e si estende fino ai pagani, per i quali è rivelazione.

Cosa significa per noi il Nunc dimittis? Significa confessare che, avendo creduto in Dio, per noi è ormai indifferente morire o vivere, perché per fede sappiamo di non vedere più la morte. Per il credente la vera morte sta alle spalle ed è nel suo battesimo, per cui la morte che ci sta davanti non deve più essere motivo di paura. Andando a dormire, noi ci prepariamo a un momento di impotenza in cui non siamo padroni di nulla, ci apprestiamo al sonno che, secondo la Bibbia, è figura e profezia della morte. Allora ci prepariamo ad andare verso la morte come all’incontro con il Signore. Noi confessiamo il Signore come padrone della nostra vita, Colui che per la sua potenza può ogni giorno chiamarci a sé, e così impariamo a fare della nostra vita un’offerta, nulla più che un servizio, da cui possiamo chiedere di essere congedati. E chiedere ogni sera di essere congedati dal servizio del Signore ci insegna che non sta a noi finire l’opera, ma che a noi spetta solamente credere e confessare che l’opera di Dio è stata da lui compiuta e portata a termine in noi.

Dicendo che il Bambino sarà segno cui verrà fatta opposizione, che sarà osteggiato e contraddetto, Simeone rivela che la salvezza si può respingere e che il segno dato da Dio può essere rifiutato. Dio non vuole essere servito da schiavi costretti,  vuole uomini liberi che liberamente si fanno schiavi per lui. Ci saranno molti che non crederanno e Dio non lo impedirà loro, ma li lascerà sulle loro strade, perché non c’è violenza e costrizione da parte di Dio. Maria ne soffrirà e una spada le trafiggerà l’anima; ciò significa soprattutto che là, sotto la croce, avverrà la divisione tra l’Israele che rigetta il Messia da una parte e dall’altra l’Israele credente: Giovanni, il discepolo amato e Maria accanto ai pagani che gridano con il centurione: ‘Veramente quest’uomo era figlio di Dio’ e giungono alla fede.

v.35: Maria è figura di Israele ed è anche figura della Chiesa, ma ciò che in lei stessa è unito, nella storia è diviso. E la Chiesa resta nella storia distinta e separata anche dall’Israele credente e fedele che non riconosce ancora in Gesù il Messia e questa separazione resta viva. Maria ha nella storia, in sé, questa separazione e anticipa nella sua figura quell’unità che ancora non c’è. Perché l’Israele timorato di Dio, l’Israele dei poveri che attende ancora il Messia resta Israele e la Chiesa dei vari credenti è e rimane la Chiesa e i due non formano ancora l’unico popolo di Dio.

v.36: Anna è figura sia d’Israele che di tutta l’umanità che ha perso lo sposo e vive una vita esiliata dal volto del suo desiderio. Ma non lascia mai il tempio e continua ad attendere e cercare, con digiuni e preghiere, con dolore e desiderio, notte e giorno. L’incontro avviene in quell’ora in cui Simeone predice la croce, l’ora della contraddizione. È qui che Dio si presenta definitivamente al suo popolo.

v.38: Nella prospettiva del terzo evangelista, attento ai poveri e alle donne, Anna rappresenta il mondo femminile dei giusti in Israele. Per Luca è importante segnalare la presenza di questa figura di donna evangelizzatrice. Il Signore, presentato al tempio e riconosciuto come salvezza di Dio e gloria di Israele, per diventare luce dei popoli ha bisogno anche di umili credenti che comunichino con semplicità la loro esperienza di fede.

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