San Martino di Tours
Martino è uno fra i primi santi non martiri proclamati dalla Chiesa e divenne il santo francese per eccellenza. L’«apostolo delle Gallie», patrono dei sovrani di Francia, fu enormemente venerato dal popolo: in lui si associavano la generosità del cavaliere, la rinunzia ascetica e l’attività missionaria. Quattromila chiese dedicate a lui in Francia, e il suo nome dato a migliaia di paesi e villaggi;come anche in Italia, in altre parti d’Europa e nelle Americhe: Martino il supernazionale.
Fonda a Ligugé (a dodici chilometri da Poitiers) una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa. Ritenuto già in vita un santo, è un uomo di preghiera e la sua vita è costellata di miracoli.
Diventa un grande evangelizzatore nonostante la sua impetuosità perché si fa protettore dei poveri contro lo spietato fisco romano, promuove la giustizia tra deboli e potenti. Con lui le plebi rurali rialzano la testa. Sapere che c’è lui fa coraggio. Questo spiega l’enorme popolarità in vita e la crescente venerazione successiva in tutta Europa.
VITA
Quattromila chiese dedicate a lui in Francia, e il suo nome dato a migliaia di paesi e villaggi; come anche in Italia, in altre parti d’Europa e nelle Americhe: Martino il supernazionale. Nasce in Pannonia (che si chiamerà poi Ungheria) da famiglia pagana, e viene istruito sulla dottrina cristiana quando è ancora ragazzo, senza però il battesimo. Figlio di un ufficiale dell’esercito romano, si arruola a sua volta, giovanissimo, nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia. E’ in quest’epoca che può collocarsi l’episodio famosissimo di Martino a cavallo, che con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante dal freddo.
Lasciato l’esercito nel 356, raggiunge a Poitiers il dotto e combattivo vescovo santo Ilario: si sono conosciuti alcuni anni prima. Martino ha già ricevuto il battesimo (probabilmente ad Amiens) e Ilario lo ordina esorcista: un passo sulla via del sacerdozio. Per la sua posizione di prima fila nella lotta all’arianesimo, che aveva il sostegno della Corte, il vescovo Ilario viene esiliato in Frigia (Asia Minore); e quanto a Martino si fatica a seguirne la mobilità e l’attivismo, anche perché non tutte le notizie sono ben certe.
Fa probabilmente un viaggio in Pannonia, e verso il 356 passa anche per Milano. Più tardi lo troviamo in solitudine alla Gallinaria, un isolotto roccioso davanti ad Albenga, già rifugio di cristiani al tempo delle persecuzioni. Di qui Martino torna poi in Gallia, dove riceve il sacerdozio dal vescovo Ilario, rimpatriato nel 360 dal suo esilio. Un anno dopo fonda a Ligugé (a dodici chilometri da Poitiers) una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa.
Nel 371 viene eletto vescovo di Tours. Per qualche tempo, tuttavia, risiede nell’altro monastero da lui fondato a quattro chilometri dalla città, e chiamato Marmoutier. Di qui intraprende la sua missione, ultraventennale azione per cristianizzare le campagne: per esse Cristo è ancora “il Dio che si adora nelle città”. Non ha la cultura di Ilario, e un po’ rimane il soldato sbrigativo che era, come quando abbatte edifici e simboli dei culti pagani, ispirando più risentimenti che adesioni. Ma l’evangelizzazione riesce perché l’impetuoso vescovo si fa protettore dei poveri contro lo spietato fisco romano, promuove la giustizia tra deboli e potenti. Con lui le plebi rurali rialzano la testa. Sapere che c’è lui fa coraggio. Questo spiega l’enorme popolarità in vita e la crescente venerazione successiva.
Quando muore a Candes, verso la mezzanotte di una domenica, si disputano il corpo gli abitanti di Poitiers e quelli di Tours. Questi ultimi, di notte, lo portano poi nella loro città per via d’acqua, lungo i fiumi Vienne e Loire. La sua festa si celebrerà nell’anniversario della sepoltura, e la cittadina di Candes si chiamerà Candes-Saint-Martin.
Autore: Domenico Agasso
Martino povero e umile
Dalle «Lettere» di Sulpicio Severo
Martino previde molto tempo prima il giorno della sua morte. Avvertì quindi i fratelli che ben presto avrebbe cessato di vivere. Nel frattempo un caso di particolare gravità lo chiamò a visitare la diocesi di Candes. I chierici di quella chiesa non andavano d’accordo tra loro e Martino, ben sapendo che ben poco gli restava da vivere, desiderando di ristabilire la pace, non ricusò di mettersi in viaggio per una così nobile causa. Pensava infatti che se fosse riuscito a rimettere l’armonia in quella chiesa avrebbe degnamente coronato la sua vita tutta orientata sulla via del bene.
Si trattenne quindi per qualche tempo in quel villaggio o chiesa dove si era recato finché la pace non fu ristabilita. Ma quando già pensava di far ritorno al monastero, sentì improvvisamente che le forze del corpo, lo abbandonavano. Chiamati perciò a sé i fratelli, li avvertì della morte ormai imminente. Tutti si rattristarono allora grandemente, e tra le lacrime, come se fosse uno solo a parlare, dicevano: «Perché, o Padre, ci abbandoni? A chi ci lasci, desolati come siamo? Lupi rapaci assaliranno il tuo gregge e chi ci difenderà dai loro morsi, una volta colpito il pastore? Sappiamo bene che tu desideri di essere con Cristo; ma il tuo premio è al sicuro. Se sarà rimandato non diminuirà. Muoviti piuttosto a compassione di coloro che lasci quaggiù».
Commosso da queste lacrime, egli che, ricco dello spirito di Dio, si muoveva sempre facilmente a compassione, si associò al loro pianto e, rivolgendosi al Signore, così parlò dinanzi a quelli che piangevano: Signore, se sono ancora necessario al tuo popolo, non ricuso la fatica: sia fatta la tua volontà.
O uomo grande oltre ogni dire, invito nella fatica, invincibile di fronte alla morte! Egli non fece alcuna scelta per sé. Non ebbe paura di morire e non si rifiutò di vivere. Intanto sempre rivolto con gli occhi e con le mani al cielo, non rallentava l’intensità della sua preghiera. I sacerdoti che erano accorsi intorno a lui, lo pregavano di sollevare un poco il suo povero corpo mettendosi di fianco. Egli però rispose: Lasciate, fratelli, lasciate che io guardi il cielo, piuttosto che la terra, perché il mio spirito, che sta per salire al Signore, si trovi già sul retto cammino. Detto questo si accorse che il diavolo gli stava vicino. Gli disse allora: Che fai qui, bestia sanguinaria? Non troverai nulla in me, sciagurato! Il seno di Abramo mi accoglie. Nel dire queste parole rese la sua anima a Dio. Martino sale felicemente verso Abramo. Martino povero e umile entra ricco in paradiso.
Martino, uomo di preghiera, uomo di condivisione e uomo della Parola.
La vita di S. Martino è interessante e da ammirare. Tuttavia credo che per essergli fedeli conviene ammirarlo di meno e imitarlo di più. Certamente anche oggi, a distanza di 1600 anni dalla sua morte, possiamo seguire gli insegnamenti di S. Martino, uomo di preghiera, uomo di condivisione e uomo della Parola.
Martino è stato un uomo di preghiera: era un uomo di Dio, nella sua vita la preghiera ha sempre avuto il primo posto. La sua prima preoccupazione, dopo l’arrivo da Poitiers, è stata quella di ritirarsi in un luogo separato, un eremitaggio, per consacrarsi totalmente nella calma e nel silenzio alla meditazione. La preghiera era al centro della vita monastica che egli conduceva con i suoi discepoli a Mamoutier. Sul letto di morte esclamò: “Lasciatemi guardare il cielo, così posso mettere già da adesso la mia anima sulla strada diritta verso il Signore”. Mettendo la preghiera al centro della sua vita, Martino imitò Gesù, il quale passava le notti in preghiera. La sua preghiera lo conformava alla volontà di Dio e gli permetteva di essere sempre in ascolto del prossimo. Questo primo messaggio di Martino è di grande attualità: il cristiano non può incontrare Dio e i suoi fratelli senza mettere la preghiera al centro della sua esistenza.
Martino fu uomo della condivisione: non ha mai smesso di praticare la carità. La famosa divisione del suo mantello ad Amiens ne è diventato l’esempio più evidente e più conosciuto. Per Martino la volontà di condivisione, soprattutto con i più poveri e i più miserabili, è radicata nel suo amore per Dio. È Dio stesso che ha inaugurato questa condivisione nascendo tra noi in Gesù suo Figlio. “Dio è amore”, ripete S. Giovanni. Il cristiano risponde a questo amore entrando volontariamente nella relazione d’amore che Dio gli propone e cercando, a sua volta di entrare nella reazione d’amore, d’amicizia e di condivisione con tutti i suoi fratelli. Il cristiano non può incontrare Dio e i fratelli senza mettere la condivisione al centro della sua esistenza.
Martino, uomo della parola: sia come monaco che come Vescovo di Tours, non ha smesso di annunciare la Parola di Dio con le sue azioni e le sue parole. I suoi uditori rimanevano colpiti nel profondo del loro cuore perché le sue parole si radicavano nell’intimità con Dio che aveva acquisito nella preghiera e nell’autenticità del suo incontro con il prossimo. Per saper annunciare bene la Parola, Martino ha sistematicamente inserito la sua azione nel quadro della vita monastica. Per lui solo la contemplazione può essere il motore efficace dell’azione, ha così privilegiato l’accoglienza di tutti i feriti e gli emarginati della vita e di tutti coloro che erano più lontani dalla Chiesa.
Questo terzo messaggio di Martino, nostro patrono, è radicato nei due precedenti ed è anch’esso di attualità per noi. Il Concilio Vaticano II l’ha ricordato: tutti i cristiani sono responsabili e missionari nella Chiesa. La sua fedeltà a Dio e ai fratelli, il suo esempio di condivisione, la sua bontà, la sua carità, il suo amore per i poveri, ne hanno fatto un grande santo. Tuttavia un santo molto vicino a noi e molto umano, un santo che è e rimane per tutti noi un modello da imitare.