Giovanni Paolo II
Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Questo fu l’invito lanciato da Giovanni Paolo II il 22 ottobre di 43 anni fa, all’inizio del suo lungo Pontificato. Un ministero chiusosi con la potente immagine del vento che faceva scorrere le pagine dell’evangeliario posato sulla semplice bara di Karol Wojtyla durante i solenni funerali del Papa polacco. Quel vento, si capì subito, era quello dello Spirito Santo che aveva soffiato forte lungo tutto il cammino terreno di Wojtyla. Era il vento della profezia, la stessa alla quale Giovanni Paolo II invitava ogni cristiano: Wojtyla, infatti, con i gesti e le parole ci ha insegnato a essere ovunque coraggiosi testimoni del Vangelo. Così come ovunque arrivò il suo vulcanico pontificato, che lo vide impegnato a strigliare i potenti, a mettere in guardia dalle ideologie, a piegarsi sulle ferite dell’umanità. Wojtyla era nato a Wadowice il 18 maggio 1920 ed era stato operaio, poeta, attore. Prete nel 1946, vescovo nel 1958 e arcivescovo di Cracovia nel 1964, cardinale nel 1967, infine eletto Papa il 16 ottobre 1978. È morto il 2 aprile 2005 ed è stato canonizzato il 27 aprile 2014.
Altri santi. San Marco di Gerusalemme, vescovo (II sec.); san Donato di Fiesole, vescovo (VIII-IX sec.).
Matteo Liut
Avvenire
Dall’Omelia per l’inizio del pontificato di Giovanni Paolo II, papa
Non abbiate paura! Aprite le porte a Cristo!
Pietro è venuto a Roma! Cosa lo ha guidato e condotto a questa Urbe, cuore dell’Impero Romano, se non l’obbedienza all’ispirazione ricevuta dal Signore? Forse questo pescatore di Galilea non avrebbe voluto venire fin qui. Forse avrebbe preferito restare là, sulle rive del lago di Genesareth, con la sua barca, con le sue reti. Ma, guidato dal Signore, obbediente alla sua ispirazione, è giunto qui!
Secondo un’antica tradizione, durante la persecuzione di Nerone, Pietro voleva abbandonare Roma. Ma il Signore è intervenuto: gli è andato incontro. Pietro si rivolse a lui chiedendo: «Quo vadis, Domine?» (Dove vai, Signore?). E il Signore gli rispose subito: «Vado a Roma per essere crocifisso per la seconda volta». Pietro tornò a Roma ed è rimasto qui fino alla sua crocifissione.
Il nostro tempo ci invita, ci spinge, ci obbliga a guardare il Signore e ad immergerci in una umile e devota meditazione del mistero della suprema potestà dello stesso Cristo.
Colui che è nato dalla Vergine Maria, il Figlio del falegname – come si riteneva -, il Figlio del Dio vivente, come ha confessato Pietro, è venuto per fare di tutti noi «un regno di sacerdoti».
Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato il mistero di questa potestà e il fatto che la missione di Cristo – Sacerdote, Profeta-Maestro, Re – continua nella Chiesa. Tutti, tutto il Popolo di Dio è partecipe di questa triplice missione. E forse in passato si deponeva sul capo del Papa il triregno, quella triplice corona, per esprimere, attraversotale simbolo, che tutto l’ordine gerarchico della Chiesa di Cristo, tutta la sua «sacra potestà» in essa esercitata non è altro che il servizio, servizio che ha per scopo una sola cosa: che tutto il Popolo di Dio sia partecipe di questa triplice missione di Cristo e rimanga sempre sotto la potestà del Signore, la quale trae le sue origini non dalle potenze di questo mondo, ma dal Padre celeste e dal mistero della Croce e della Risurrezione.
La potestà assoluta e pure dolce e soave del Signore risponde a tutto il profondo dell’uomo, alle sue più elevate aspirazioni di intelletto, di volontà, di cuore. Essa non parla con un linguaggio di forza, ma si esprime nella carità e nella verità.
Il nuovo Successore di Pietro nella Sede di Roma eleva oggi una fervente, umile, fiduciosa preghiera: «O Cristo! Fa’ che io possa diventare ed essere servitore della tua unica potestà! Servitore della tua dolce potestà! Servitore della tua potestà che non conosce il tramonto! Fa’ che io possa essere un servo! Anzi, servo dei tuoi servi».
Fratelli e Sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà!
Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l’uomo e l’umanità intera!
Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa «cosa è dentro l’uomo». Solo lui lo sa!
Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna.
da http://www.liturgia.silvestrini.org
Giovanni Paolo II:
l’uomo, il papa, il santo
In questi giorni sono andato spesso interrogandomi su come interpretare quel fenomeno sorprendente di folle che piangendo per la scomparsa del papa, hanno desiderato esprimere il loro affetto, la loro riconoscenza e la loro ammirazione, con la presenza, con la preghiera, con dei gesti. Sono cose esagerate? Io non credo. Credo invece che tutto radichi nell’essere contenti di aver potuto riconoscere l’efficacia dell’azione di Dio in una creatura concreta.
Al centro c’è la credibilità di quest’uomo che per ognuno ha assunto forme e modalità diverse. Per alcuni è colui che ha saputo rendere pienamente persuasivo il messaggio cristiano, per altri è un difensore dei diritti umani, per altri un grande leader carismatico, per altri ancora una presenza ormai familiare.
Noi non sappiamo più confrontarci con la morte tanto è vero che essa è cancellata e rimossa. Tanto meno sappiamo come rapportarci con la trascendenza. In questi giorni, invece, abbiamo visto accadere che la morte di un uomo ci abbia costretti a guardare non solo la morte ma anche l’al di là della morte. È come se quel corpo fosse un simbolo, una realtà che mette insieme l’umano e il divino. Quel corpo senza vita continua a dire che la morte non ha l’ultima parola, che il senso e la bellezza della vita stanno al di là della vita stessa, custoditi nella fedeltà di quel Dio al quale Giovanni Paolo II ha orientato tutto se stesso.
Quando iniziando il suo ministero papale aveva esordito dicendo: “Spalancate le porte a Cristo non abbiate paura di lui”, Giovanni Paolo II consegnava il suo più grande desiderio: quello di aprire dappertutto vie d’accesso a Cristo, come se desiderasse rendere accessibile a tutti gli uomini il varco verso la vita vera, verso il vero amore. Il suo indomito andare fino ai confini della terra, il suo voler essere vicino a tutti e non perdere occasione per annunciare il Vangelo, non rispondeva a scopi pubblicitari o a una sete di popolarità, ma perché gli stava a cuore l’uomo. Gli stava a cuore l’uomo perché gli stava a cuore Dio.
Persona abitata da un centro, da un luogo attorno al quale tutto convogliava. E questo centro non era la sua persona ma quella del suo Signore. “Desidero seguirlo”, si apre così il suo testamento.
Totalmente immerso in Dio, sapeva essere totalmente umano, attento anche agli aspetti più modesti e semplici della vita e insieme capace di andare subito dritto al cuore delle persone che lo incontravano. Pregare con lui, stargli accanto mentre celebrava l’Eucaristia è stato per chi l’ha vissuto un momento di luce che non si potrà mai dimenticare: sentivi la presenza del Signore, eri come contagiato da un dialogo di amore vero, fatto di parole ma anche di silenzi. Così vicino al cuore degli uomini perché nascosto nel cuore di Dio. Capivi che Cristo era tutto per lui.
Simbolo, dicevamo, dell’incontro tra umano e divino, simbolo dell’incontro tra terra e cielo. Ciò che ha fatto grande Giovanni Paolo II è il suo stare sulla soglia di una duplice fedeltà – a Dio e al mondo: non ha mai cercato di piacere agli uomini eppure ne ha rapito il cuore perché si sforzava di piacere solo a Dio. Non ha rincorso consensi, non ha barattato la verità, anche quando era doloroso ammetterla, come quando volle chiedere perdono per le colpe commesse nel tempo dalla stessa comunità cristiana.
Era convinto che la verità rende liberi: era la parola di Gesù in cui vedeva compendiato quanto di più importante aveva da dire al mondo.
È stato protagonista di cambiamenti epocali, ma sempre e solo perché abbandonato a un amore fedele ed eterno, capace di guidare i suoi passi e le sue scelte con l’audacia del profeta e la serena fiducia del contemplativo.
Nella sua vita intera ci ha fatto comprendere che cos’è la misericordia: l’amore che va oltre ogni giustizia. È il dono di un amore totale, gratuito, che riempie il cuore di gratitudine e ti fa sentire nella gioia, perché ti fa sentire sempre amato da Dio, qualunque sia la situazione in cui ti trovi. È la forza di una fedeltà che ti riempie il cuore di fiducia e di speranza.
Ha inciso nella storia e così l’ha cambiata non per la forza delle armi e della potenza del mondo, ma per l’esperienza annunciata e vissuta della misericordia, quella misericordia che costruisce la pace attraverso la via del perdono ricevuto e offerto. Aveva perdonato così il suo attentatore. Aveva indicato così al mondo la strada da percorrere per costruire un nuovo futuro di riconciliazione.
Ecco perché quella affluenza semplice e composta che è scorsa davanti al suo corpo esposto in San Pietro, ha significato un uscire dalla folla delle solitudini per riconoscersi compagnia, per sperimentare un’appartenenza, là dove l’altro da straniero diventa fratello, come qualcuno ha mirabilmente scritto in questi giorni.
Siamo anche noi eredi di quello che abbiamo visto e ammirato in questo papa. Eredi, ossia: custodi responsabili. Ci verrà chiesto che uso abbiamo fatto dell’esempio che abbiamo ricevuto in dono.
Perciò, “Alzatevi e andiamo!”. Non è solo il titolo di un libro, ma il cammino che ci attende!
don Antonio Savone,
acasadicornelio