Vangelo della settimana
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XXV Settimana del Tempo Ordinario
Commento di Paolo Curtaz

Lunedì 19 Settembre > (Feria – Verde) | Lunedì della XXV settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) Pr 3,27-34 Sal 14 Lc 8,16-18: La lampada si pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce. |
Martedì 20 Settembre > (Memoria – Rosso) | Santi Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e compagni Pr 21,1-6.10-13 Sal 118 Lc 8,19-21: Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica. |
Mercoledì 21 Settembre > (FESTA – Rosso) | SAN MATTEO Ef 4,1-7.11-13 Sal 18 Mt 9,9-13: Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. |
Giovedì 22 Settembre > (Feria – Verde) | Giovedì della XXV settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) Qo 1,2-11 Sal 89 Lc 9,7-9: Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose? |
Venerdì 23 Settembre > (Memoria – Bianco) | San Pio da Pietrelcina Qo 3,1-11 Sal 143 Lc 9,18-22: Tu sei il Cristo di Dio. Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto. |
Sabato 24 Settembre > (Feria – Verde) | Sabato della XXV settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) Qo 11,9-12,8 Sal 89 Lc 9,43-45: Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato. Avevano timore di interrogarlo su questo argomento. |
Domenica 25 Settembre > (DOMENICA – Verde) | XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) Am 6,1.4-7 Sal 145 1Tm 6,11-16 Lc 16,19-31: Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. |
Lunedì della XXV settimana del Tempo Ordinario
Lc 8,16-18: La lampada si pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce.
Quando la Parola abbondantemente seminata germoglia e porta frutto, anche chi gli è attorno beneficia della sua bontà e se ne nutre. Se davvero la Parola ci abita e orienta le nostre scelte, non siamo solo noi a gioire e godere della vita nuova in Cristo ma anche chi ci sta attorno. Accade come se nella nostra vita si accendesse una luce che ci rischiara e rischiara anche l’ambiente che ci sta attorno. Ma, perché ciò accada, ci ammonisce Gesù, occorre mettere la lampada sul lampadario, in alto. Se la nostra fede, le nostre scoperte, la nostra vita interiore resta nascosta, abitualmente perché ci vergogniamo del giudizio altrui, pensiamo di non essere pronti o capaci nel difendere le novità che abbiamo scoperto, difficilmente riusciremo a portare luce. Intendiamoci: Gesù non ci chiede di girare con pesanti croci appese al collo come dei profeti apocalittici, ma di lasciare che la compassione e la tenerezza del vangelo emergano dalle nostre scelte. Una battuta incoraggiante al collega d’ufficio, un sorriso, una richiesta di scusa possono davvero rendere una bella testimonianza al vangelo.
Martedì 20 Settembre (Memoria – Rosso)
Santi Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e compagni
L’azione dello Spirito, che soffia dove vuole, con l’apostolato di un generoso manipolo di laici è alla radice della santa Chiesa di Dio in terra coreana. Il primo germe della fede cattolica, portato da un laico coreano nel 1784 al suo ritorno in Patria da Pechino, fu fecondato sulla metà del secolo XIX dal martirio che vide associati 103 membri della giovane comunità. Fra essi si segnalano Andrea Kim Taegŏn, il primo presbitero coreano e l’apostolo laico Paolo Chŏng Hasang. Le persecuzioni che infuriarono in ondate successive dal 1839 al 1867, anziché soffocare la fede dei neofiti, suscitarono una primavera dello Spirito a immagine della Chiesa nascente. L’impronta apostolica di questa comunità dell’Estremo Oriente fu resa, con linguaggio semplice ed efficace, ispirato alla parabola del buon seminatore, dal presbitero Andrea alla vigilia del martirio. Nel suo viaggio pastorale in quella terra lontana il Papa Giovanni Paolo II, il 6 maggio 1984, iscrisse i martiri coreani nel calendario dei santi. La loro memoria si celebra nella data odierna, perché un gruppo di essi subì il martirio in questo mese, alcuni il 20 e il 21 settembre.
Martedì della XXV settimana del Tempo Ordinario
Lc 8,19-21: Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica.
L’ascolto della Parola porta frutto in noi e illumina la nostra vita. Ma non solo: ci rende famigliari di Dio e concittadini dei santi, come direbbe san Paolo. L’ascolto della Parola e la sua messa in pratica ci permette di entrare in un gruppo, un insieme di persone che, come noi, vivono la stessa esperienza. Ed è vero: diversamente da ogni altro tipo di esperienza, la fede cristiana ci apre orizzonti nuovi condivisi da altri. Non come la passione per uno sport o un cantante ma come un’identica esperienza spirituale. Riconoscere che Gesù è Dio e diventare suoi discepoli, accomuna persone con percorsi di vita, cultura ed esperienze radicalmente diversi. Posso parlare con un cinese o un africano credente della stessa vita interiore. Entriamo a far parte di una grande famiglia, la Chiesa, che riunisce coloro che hanno deciso di seguire il Cristo vivendo il vangelo con radicalità e passione. Questa esperienza, spesso, travalica l’appartenenza famigliare: i legami di fede sono molto più profondi e autentici di quelli di sangue e molti, fra noi, hanno maggiore intimità interiore con i fratelli nella fede che con i propri parenti!
Mercoledì 21 Settembre (FESTA – Rosso) SAN MATTEO
Mt 9,9-13: Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori.
Nel Vangelo odierno Matteo stesso racconta la propria chiamata da parte di Gesù. San Gerolamo osservava che soltanto lui, nel suo Vangelo, indica se stesso con il proprio nome: Matteo; gli altri evangelisti, raccontando lo stesso episodio, lo chiamano Levi, il suo secondo nome, probabilmente meno conosciuto, quasi per velare il suo nome di pubblicano. Matteo invece insiste in senso contrario: si riconosce come un pubblicano chiamato da Gesù, uno di quei pubblicani poco onesti e disprezzati come collaboratori dei Romani occupanti. I pubblicani, i peccatori chiamati da Gesù fanno scandalo.
Matteo presenta se stesso come un pubblicano perdonato e chiamato, e così ci fa capire in che cosa consiste la vocazione di Apostolo. E’ prima di tutto riconoscimento della misericordia del Signore.
Negli scritti dei Padri della Chiesa si parla sovente degli Apostoli come dei “principi”; Matteo non si presenta come un principe, ma come un peccatore perdonato. Ed è qui ripeto il fondamento dell’apostolato: aver ricevuto la misericordia del Signore, aver capito la propria povertà e pochezza, averla accettata come il “luogo” in cui si effonde l’immensa misericordia di Dio: “Misericordia io voglio; non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”.
Una persona che abbia un profondo sentimento della misericordia divina, non in astratto, ma per se stessa, è preparata per un autentico apostolato. Chi non lo possiede, anche se è chiamato, difficilmente può toccare le anime in profondità, perché non comunica l’amore di Dio, l’amore misericordioso di Dio. ~ vero Apostolo, come dice san Paolo, è pieno di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, avendo esperimentato per se stesso la pazienza, la mansuetudine e l’umiltà divina, se si può dire così: l’umiltà divina che si china sui peccatori, li chiama, li rialza pazientemente.
Domandiamo al Signore di avere questo profondo sentimento della nostra pochezza e della sua grande misericordia; siamo peccatori perdonati. Anche se non abbiamo mai commesso peccati gravi, dobbiamo dire come sant’Agostino che Dio ci ha perdonato in anticipo i peccati che per sua grazia non abbiamo commesso. Agostino lodava la misericordia di Dio che gli aveva perdonato i peccati che per sua colpa aveva commesso e quelli che per pura grazia del Signore aveva evitato. Tutti dunque possiamo ringraziare il Signore per la sua infinita misericordia e riconoscere la nostra povertà di peccatori perdonati, esultando di gioia per la bontà divina.
Oggi la Chiesa celebra il grande evangelista Matteo, uno dei discepoli, l’autore di un vangelo indirizzato in particolare ai giudei diventati cristiani. Un grande dono anche per noi, il suo lavoro.
Il destino del Vangelo di Matteo è decisamente curioso: a partire da una scorretta interpretazione del passato, per oltre un millennio si è creduto che Marco fosse un riassunto di Matteo, relegando il primo dietro il secondo. In realtà oggi sappiamo che è stato proprio Marco a scrivere per primo un Vangelo e che Matteo, qualche anno dopo, ha sentito la necessità di scrivere un altro testo che ricopiasse Marco e che aggiungesse alcune cose. Perché? Oggi gli studiosi sono d’accordo: la distruzione del tempio e di Gerusalemme aveva gettato nello sconforto i cristiani di origine giudaica. Un evento di un impatto emotivo enorme che li aveva messi in crisi radicale. Ed ecco la risposta di Matteo: il tempio non c’è più, la presenza di Dio se n’è andata ma noi abbiamo Gesù, l’Emmanuele, il Dio con noi. Matteo scrive il suo testo per incoraggiare la sua comunità, per fornire una chiave di interpretazione della realtà a partire dalla fede. Perciò è come uno scriba che sa trarre dal suo tesoro cose nuove e cose antiche. Imitiamolo nella sua capacità di leggere gli eventi alla luce del messaggio evangelico, diventiamo noi dei ?vangeli? per le persone che incontriamo.
Mercoledì della XXV settimana del Tempo Ordinario
Lc 9,1-6: Li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi.
Vi siete mai chiesti a cosa serve la Chiesa? Restiamo perplessi, a volte, davanti alla manifestazione storica della Chiesa, di certi limiti anche evidenti, di certe pesantezze che sembrano negare la novità del vangelo. La struttura, l’organizzazione, inevitabilmente, rischiano di complicare la semplicità dell’annuncio diventando ostacolo all’incontro con Dio e non trasparenza. Luca, allora, ricorda ai primi discepoli, e a noi, qual è il compito della Chiesa: annunciare il Regno e guarire gli infermi. Annunciare il Regno, non sostituirlo, non manipolarlo, non credere di averlo realizzato. Ma essere a servizio del Regno che Dio costruisce, anche nella Chiesa e attraverso la Chiesa. E guarire gli infermi: non arrabbiarsi con essi, né limitare l’accesso all’ospedale mettendo una soglia di ingresso. La bellissima e drammatica immagine dell’ospedale da campo, usata da Papa Francesco, ci orienta nella direzione giusta. Abbiamo Cristo, farmaco di immortalità, che può guarire l’anima del mondo, a noi di renderlo accessibile, accogliendo tutti coloro che chiedono aiuto. Annunciare e guarire, il il resto viene dopo.
Giovedì della XXV settimana del Tempo Ordinario
Lc 9,7-9: Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?
Possiamo cacciare tutti i profeti dalla nostra anima, e decapitarli. Possiamo cancellare dalle nostre coscienze l’impronta di Dio asfaltandola sotto metri di peccati e di stravizi. Possiamo irridere a tutto ciò che ci richiama alla santità e alla verità intorbidendo le acque, nascondendoci dietro la libertà intesa come anarchia delle emozioni. Possiamo girare pagina, trovando mille motivazioni per sentirci molto all’avanguardia sputando contro la Chiesa e i cristiani. Possiamo fare come Erode, archiviare la scomoda pratica del Battista. Ma succede, come è successo al piccolo sovrano, di essere nuovamente travolti dalla Parola infuocata del profeta che ci raggiunge in altro modo. Ora è Gesù che parla come lui, ora è il Nazareno a disturbare i sonni inquieti del dittatore. No, la profezia non può essere spenta. Possiamo uccidere i profeti, ridicolizzarli, ignorarli ma la profezia non può finire. E finché esiste qualcuno che ci indica Dio e la verità dell’essere, che non tira diritto sulle nostre mancanze, che ci ama, perciò ci pungola e ci inquieta senza giudicarci, abbiamo qualche speranza di conversione…
Venerdì 23 Settembre (Memoria – Bianco) San Pio da Pietrelcina
San Pio nacque a Pietrelcina presso Benevento (Italia) nel 1887. Entrò nell’ordine dei Frati minori cappuccini e, promosso al presbiterato, esercitò con grandissima dedizione il ministero sacerdotale soprattutto nel convento di San Giovanni Rotondo in Puglia. Servì nella preghiera e nell’umiltà il popolo di Dio attraverso la direzione spirituale, la riconciliazione dei penitenti e una particolare cura per i malati e i poveri. Pienamente configurato a Cristo Crocifisso, portò a compimento il suo cammino terreno il 23 settembre 1968.
Venerdì della XXV settimana del Tempo Ordinario
Lc 9,18-22: Tu sei il Cristo di Dio. Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto.
Erode si chiede chi sia questo Nazareno di cui tutti parlano. Popola le sue notti insonni, si rigira nel letto chiedendosi chi possa essere. Il fantasma del Battista lo inquieta: è morto il profeta, non la profezia. Molti altri si pongono domande riguardo all’identità di Gesù: i sacerdoti del tempio, da lontano, lo osservano sospettosi, ma senza preoccuparsi perché hanno ben altro a cui pensare. E i farisei, convinti che Gesù stia dalla loro parte. E i sadducei, infastiditi da questi popolani che diventano profeti. La folla si chiede se non sia lui il Messia, o il profeta Elia risorto o Giovanni il battezzatore. Ancora oggi molti parlano di Gesù: dopo duemila anni un libro su di lui ancora fa discutere. E Gesù chiede ai suoi discepoli e a noi: lascia stare ciò che pensano gli altri. Chi sono io per te? Cosa dici di me? Pietro osa e risponde: il Cristo di Dio. Grande gesto di Pietro: nulla in Gesù corrisponde all’idea di Messia che la gente si è fatta. E io, cosa penso di Gesù? Chi è per me il Signore? Nessuna risposta da catechismo, amici: rispondiamo con verità a questa provocazione. Lasciamo che la nostra preghiera risponda a questa domanda.
Sabato della XXV settimana del Tempo Ordinario
Lc 9,43-45: Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato. Avevano timore di interrogarlo su questo argomento.
Tutto sembra andare bene, talmente bene che nessuno si immagina anche solo lontanamente cosa potrebbe succedere. Gli apostoli hanno appena osato riconoscere in Gesù il Messia, e, credetemi, è stato un bel salto da fare: il Nazareno non assomiglia neanche lontanamente al Messia guerriero e battagliero che tutti si aspettavano. Ora che il passo è stato fatto, ora che la folla lo applaude e lo segue, ora che le cose sembrano andare per il verso giusto, ecco che il Signore li intristisce parlando per enigmi. Cosa significa il fatto che egli sarà consegnato nelle mani degli uomini? Gesù sa che il suo percorso potrebbe interrompersi, anche bruscamente. La folla, certo, lo applaude. Ora. Ma davanti alla reazione di chi non ammette l’ingerenza di quel falegname diventato profeta, davanti alla rinata classe sacerdotale, al movimento dei farisei, ai conservatori sadducei, le cose prenderanno un’altra piega. Non sappiamo cosa ci riserva il futuro, forse anche a noi succederà di essere consegnati agli uomini, cioè di subire scelte non nostre. Perciò ora, con fede, vogliamo consegnarci nelle mani di Dio.