Liturgia
– Commento Settimana
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XVII settimana del Tempo Ordinario
Commento di Paolo Curtaz
Lunedì 25 Luglio > (FESTA – Rosso) | SAN GIACOMO 2Cor 4,7-15 Sal 125 Mt 20,20-28: Il mio calice, lo berrete. |
Martedì 26 Luglio > (Memoria – Bianco) | Santi Gioacchino e Anna Ger 14,17-22 Sal 78 Mt 13,36-43: Come si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. |
Mercoledì 27 Luglio > (Feria – Verde) | Mercoledì della XVII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) Ger 15,10.16-21 Sal 58 Mt 13,44-46: Vende tutti i suoi averi e compra quel campo. |
Giovedì 28 Luglio > (Feria – Verde) | Giovedì della XVII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) Ger 18,1-6 Sal 145 Mt 13,47-53: Raccolgono i buoni nei canestri e buttano via i cattivi. |
Venerdì 29 Luglio > (Memoria – Bianco) | Santi Marta, Maria e Lazzaro 1Gv 4,7-16 Sal 33 Gv 11,19-27: Io credo che sei il Cristo, il Figlio di Dio. |
Sabato 30 Luglio > (Feria – Verde) | Sabato della XVII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) Ger 26,11-16.24 Sal 68 Mt 14,1-12: Erode mandò a decapitare Giovanni e i suoi discepoli andarono a informare Gesù. |
Domenica 31 Luglio > (DOMENICA – Verde) | XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) Qo 1,2;2,21-23 Sal 89 Col 3,1-5.9-11 Lc 12,13-21: Quello che hai preparato, di chi sarà? |
Lunedì 25 Luglio (FESTA – Rosso) SAN GIACOMO
2Cor 4,7-15 Sal 125 Mt 20,20-28: Il mio calice, lo berrete
Nel cuore dell’estate celebriamo la festa di Giacomo, fratello di Giovanni, uno dei primi discepoli del Signore e primo fra i Dodici ad essere ucciso per la sua fedeltà al Maestro.
Fa sorridere la scelta liturgica del vangelo che celebra la festa di uno dei grandi apostoli della Chiesa… Fa sorridere perché non è un vangelo edificante, né esalta le grandi qualità di Giacomo, né racconta uno dei momenti particolarmente intensi della sua relazione particolare col Maestro. Di Giacomo oggi leggiamo la pagina più imbarazzante, quella in cui, col fratello Giovanni, chiede una raccomandazione al Signore suscitando l’ira dei compagni. I quali, probabilmente, sono arrabbiati per non averci pensato per primi… Matteo è piuttosto duro con i figli di Zebedeo. Più di Marco, che ne parla per primo, alla fine della vita pubblica del Signore, in cui appare meglio il loro desiderio sincero di fare esperienza di Dio. Qui, invece, pare proprio che i due intraprendenti apostoli, dimostrando di non avere ancora capito in che cosa consista il Regno di Dio, vogliano due posti da primi ministri… La Chiesa, con questo vangelo, ci dice che per essere santi non occorre necessariamente essere perfetti o impeccabili. Che anche nelle nostre piccole o grandi miserie realizziamo il progetto di Dio: nonostante i nostri limiti possiamo diventare santi.
Lunedì della XVII settimana del Tempo Ordinario
Mt 13,31-35: Il granello di senape diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami.
È poca cosa il Regno di Dio, come il seme polveroso della senape. Eppure, una volta cresciuto, diventa un albero alla cui ombra ci possiamo riposare. È un seme la presenza di Dio, perché dubitare della sua presenza? È un seme: necessita di una logica di attesa, di pazienza, di fiducia. E di lavoro. Il seme va accudito, irrigato, concimato, difeso dalle erbacce, protetto. Richiede un coinvolgimento da parte nostra, un minimo impegno, ma comunque un’attenzione. Non è magica la presenza di Dio, non è scontata, evidente, obbligata. Cresciamo nella pazienza, allora: verso noi stessi perché fatichiamo ad essere ciò che vorremmo, anche agli occhi di Dio. E verso la Chiesa: perché non sempre realizza ed esprime il Regno, diventando un albero che non porta frutti. Cresciamo nell’azione operosa, allora: prendiamo consapevolezza di quanto preziosa è la nostra fede, agiamo quotidianamente per realizzare la crescita del seme di Dio nella nostra comunità. E impariamo da Gesù che, attraverso la parabola, ha voluto raggiungere tutti, utilizzando un linguaggio accessibile e immediato. Smettiamola di usare un linguaggio per pochi adepti!
Martedì della XVII settimana del Tempo Ordinario
Mt 13,36-43: Come si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo.
Esiste il male, e agisce, funziona, opera. Spesso si parla del maligno, nella Bibbia, a lui si attribuivano gli aspetti negativi della realtà ma anche le cose che non si riuscivano a spiegare come ad esempio alcune manifestazioni di malattie neurologiche o psichiatriche. L’approccio biblico è semplice: esiste una parte oscura della realtà, anch’essa creata, non contrapposta a Dio, che è luce e bontà, come principio autonomo. Questa realtà opera per intorbidire le acque, per allontanarci dal bene, dalla luce: semina zizzania nella nostra vita a piene mani. Ma, e questo è stupendo, nei vangeli il maligno è chiamato “avversario”, cioè colui che si riesce a vincere. Nulla a che vedere con l’eroe decadente che la nostra modernità ha creato, facendolo diventare quasi un modello drammatico che suscita simpatia. Quando parliamo di maligno, allora, lasciate perdere i film di horror e i libri che raccontano di esorcismi: se viviamo una vita affidata al Signore, con semplicità e fede, abbiamo in casa chi ci difende e protegge e nessuno può penetrare nella nostra serenità. Esiste il maligno e agisce ma noi confidiamo in colui che ha sconfitto l’avversario.
Mercoledì della XVII settimana del Tempo Ordinario
Mt 13,44-46: Vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Vale la pena credere. Vale la pena di lasciare tutto per seguire il Signore. Vale la pena accettare la sua sfida, alzarci e seguirlo, lui che può colmare il cuore più di quanto possa fare il più grande amore umano. Vale la pena faticare, perché la fede richiede inevitabilmente uno sforzo, un discernimento continuo. Vale la pena, come chi, casualmente, trova nel giardino di casa un tesoro, come il collezionista che finalmente trova la perla desiderata da tutta una vita e vende tutto ciò che ha per possederla. Così scrive Matteo, trent’anni dopo avere seguito il Nazareno. Non è stato lo slancio emotivo ed entusiasta del giovane, dopo tanti anni Matteo si rivede e lo testimonia: ne è valsa la pena. La fede può entrare nella nostra vita in maniera improvvisa e riempirci il cuore di entusiasmo. Ma l’abitudine può mettere a dura prova anche l’entusiasmo più sincero e logorare la nostra fede come si logora l’innamoramento nella quotidianità del matrimonio. Matteo, invece, afferma che l’incontro con il Signore è l’evento più straordinario della sua vita. E se avesse ragione? Fermiamoci, oggi, e chiediamoci se ne è valsa la pena.
Giovedì della XVII settimana del Tempo Ordinario
Mt 13,47-53: Raccolgono i buoni nei canestri e buttano via i cattivi.
Eppure è stato chiaro il Signore, difficile manipolare le sue parole, interpretarle in altro modo! Parla di rete che raccoglie pesci buoni e meno buoni e dice che sarà proprio il Signore, alla fine dei tempi, a fare la selezione. Il Signore, non noi. E alla fine dei tempi, non oggi. Invece viviamo con insofferenza il fatto che nella Chiesa, a volte nella nostra comunità di appartenenza, ci siano cristiani che giudichiamo poco seri o troppo antiquati o fanatici. Questa evidenza rovina l’idea di Chiesa pura e santa che inconsciamente portiamo nel cuore, la Chiesa dei perfetti, la Chiesa dei migliori che non è mai stata l’idea di Chiesa che Cristo ha voluto. E poi smettiamola con l’idea di dividere sempre il mondo separando i buoni (e casualmente ci siamo anche noi fra questi…) e i malvagi. Il confine passa dentro di noi, nelle nostre anime: grano e zizzania crescono dentro di noi, non attorno a noi. Perciò facciamo come ha saputo fare Matteo, scriba per il Regno, sappiamo valutare con intelligenza le dinamiche nuove del discepolato, sappiamo guardare alla novità assoluta che Gesù è venuto a portare, senza cadere nelle solite visioni piccine che portiamo nella testa..
Venerdì 29 Luglio (Memoria – Bianco) Santa Marta
Gv 11,19-27: Io credo che sei il Cristo, il Figlio di Dio.
Marta, sorella di Maria, corse incontro a Gesù quando venne per risuscitare il fratello Lazzaro e professò la sua fede nel Cristo Signore: «Io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo» (Gv 11, 27). Accolse con premura nella sua casa di Betania il divino Maestro, che la esortò a unire al servizio di ospitalità l’ascolto della sua parola (Lc 10, 38-42; Gv 12, 1).
Commenta Sant’Agostino: “Marta, tu non hai scelto il male; Maria ha però scelto meglio di te”. Ciononostante Maria, considerata il modello evangelico delle anime contemplative già da S. Basilio e S. Gregorio Magno, non sembra che figuri nel calendario liturgico: la santità di questa dolce figura di donna è fuori discussione, poiché le è stata confermata dalle stesse parole di Cristo; ma è Marta soltanto, e non Maria né Lazzaro, a comparire nel calendario universale, quasi a ripagarla delle sollecite attenzioni verso la persona del Salvatore e per proporla alle donne cristiane come modello di operosità.
Marta e Maria sono, nei Vangeli, l’immagine e il simbolo di come deve essere il discepolo che alterna la meditazione e la preghiera all’operosità e al lavoro. Una scorretta interpretazione dei Vangeli ha, nel passato, contrapposto le due sorelle che, invece sono i due binari su cui corre il treno della fede. Non esiste una meditazione che non sfoci nell’azione. È sterile un servizio che non attinga forza dalla preghiera. Oggi la Chiesa celebra l’attivismo di Marta, attenta ai bisogni dell’ospite, concreta nel preparargli una cena sicuramente gradita. Il benevolo rimprovero di Gesù non è certo indirizzato alla sua azione, so per certo che il Maestro ha molto apprezzato la cena!, ma alla preoccupazione, all’agitazione che hanno caratterizzato la buona iniziativa di Marta. Siamo chiamati ad agire, certo, e a rendere concreta la nostra fede ma con uno sguardo continuamente rivolto al Signore: è lui l’origine del nostro servizio, lui la motivazione, lui il premio. Chiediamo a Santa Marta, oggi, di essere sempre molto concreti nel declinare la nostra fede in gesti quotidiani pieni di speranza.
Venerdì della XVII settimana del Tempo Ordinario
Mt 13,54-58: Non è costui il figlio del falegname? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?
Gesù non viene riconosciuto come profeta proprio dai suoi familiari e dei suoi concittadini. Questo dato, all’apparenza sconcertante, è unanimemente condiviso dagli evangelisti. Nonostante la fama acquisita e le testimonianze a suo favore di molte persone, proprio a Nazareth Gesù riceve un clamoroso rifiuto. La ragione l’abbiamo letta: tutti lo conoscono, sanno da dove viene, lo hanno frequentato. Chi si crede di essere? È solo un falegname che si è montato la testa! Che si prende per profeta! Purtroppo anche a noi succede così: ci fermiamo troppo spesso davanti a chi annuncia, senza nemmeno ascoltare il suo messaggio. Intendiamoci, è difficile credere ad una persona che palesemente contraddice con le sue azioni ciò che afferma. Ma, molto più spesso, il nostro rifiuto si basa su tiepide emozioni, sulle simpatie, sulle sensazioni. Quel prete è troppo noioso, quel catechista è eccessivamente timido, quell’animatore è un po’ svampito… Per non parlare, poi, di quando ad annunciarci il Vangelo è uno di famiglia. Abbiamo sempre paura che ci faccia la predica! Stiamo attenti a non perdere il Vangelo che ci raggiunge anche dalle labbra di chi conosciamo…
Sabato della XVII settimana del Tempo Ordinario
Mt 14,1-12: Erode mandò a decapitare Giovanni e i suoi discepoli andarono a informare Gesù.
A volte ritornano. Me lo immagino l’attonito e incapace Erode, solo la pallida ombra di quel politico sopraffino e crudele che fu suo padre, interrogarsi su Gesù il falegname, una nuova grana nella sua non semplice missione di gestire un pezzo del Regno di suo padre, sempre sottoposto al controllo e al giudizio dell’aquila imperiale. Me lo vedo, irritato e spaventato, un po’ superstizioso come tutti i potenti, interrogarsi sulla vera identità di Gesù. E se fosse il Battista tornato per vendicarsi? Erode aveva fatto quello che abitualmente facciamo noi: davanti alla critica di qualcuno che ci mette in difficoltà, invece di interrogarci se quanto dice abbia un fondo di verità, preferiamo… farlo fuori! A Erode non è mai passato per la testa nemmeno un istante l’idea di poter cambiare, di convertirsi, di cambiare vita. La soluzione l’aveva trovata per lui la sua ferocissima amante, inviperita contro la predicazione del Battista che non andava tanto per il sottile. E così, oggi, siamo qui a ricordare Erode ed Erodiade non per i loro meriti o la loro capacità politica, ma per essere gli omicidi del più grande fra i profeti.