III Domenica di Pasqua (B)
Luca 24, 35-48


In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro (…).


III Domenica di Pasqua (B)

È pace la prima parola pronunciata da Cristo Risorto
Commento di Ermes Ronchi

Lo conoscevano bene, dopo tre anni di strade, di olivi, di pesci, di villaggi, di occhi negli occhi, eppure non lo riconoscono.

Gesù è lo stesso ed è diverso, è il medesimo ed è trasformato, è quello di prima ed è altro. Perché la Risurrezione non è semplicemente un ritornare alla vita di prima: è andare avanti, è trasfigurazione, è acquisire un di più. Energia in movimento che Gesù non tiene per sé, ma che estende all’intera creazione, tutta presa, e da noi compresa, dentro il suo risorgere e trascinata in alto verso più luminose forme.

Pace, è la prima parola del Risorto. E la ripete ad ogni incontro: entro in chiesa, apro il Vangelo, scendo nel silenzio del cuore, spezzo il pane con l’affamato. Sono molte le strade che l’Incamminato percorre, ma ogni volta, sempre, ad ogni incontro ci accoglie come un amico sorridente, a braccia aperte, con parole che offrono benessere, pace, pienezza, armonia. Credere in lui fa bene alla vita. Vuole contagiarci di luce e contaminarci di pace.

Lui sa bene che sono gli incontri che cambiano la vita degli esseri umani. Infatti viene dai suoi, maestro di incontri, con la sua pedagogia regale che non prevede richieste o ingiunzioni, ma comunione. Viene e condivide pane, sguardi, amicizia, parola, pace.

Il ruolo dei discepoli è non difendersi, non vergognarsi, ma ridestare dal sonno dell’abitudine mani, occhi, orecchie, bocca: toccate, guardate, mangiamo insieme. Aprirsi con tutti «i sensi divine tastiere» (Turoldo), strumenti di una musica suonata da Dio.

«Toccatemi, guardate». Ma come toccarlo oggi, dove vederlo? Lui è nel grido vittorioso del bambino che nasce e nell’ultimo respiro del morente, che raccoglie con un bacio. È nella gioia improvvisa dentro una preghiera fatta di abitudini, nello stupore davanti all’alleluja pasquale del primo ciliegio in fiore. Quando in me riprende a scorrere amore; quando tocco, con emozione e venerazione, le piaghe della terra: «ecco io carezzo la vita perché profuma di Te» (Rumi)…

«Non sono un fantasma» è il lamento di Gesù, e vi risuona il desiderio di essere abbracciato forte come un amico che torna da lontano, di essere stretto con lo slancio di chi ti vuole bene. Non si ama un fantasma.

«Mangiamo insieme». Questo piccolo segno del pesce arrostito, gli apostoli lo daranno come prova decisiva: abbiamo mangiato con lui dopo la sua risurrezione (At 10,41). Perché mangiare è il segno della vita; mangiare insieme è il segno più eloquente di una comunione ritrovata, il gesto che lega, custodisce e accresce le vite. Il cibo è una realtà santa. Santa perché fa vivere. E che l’uomo viva è la prima di tutte le leggi, della legge di Dio e delle leggi umane.

Credere alla parola del Signore
Commento di Enzo Bianchi

Il vangelo di questa domenica racconta un altro evento, dopo la visita all’alba delle donne alla tomba vuota (cf. Lc 24,1-11), la corsa di Pietro al sepolcro (cf. Lc 24,12), la manifestazione del Risorto “come un forestiero” (Lc 24,18) ai due discepoli in cammino verso Emmaus (cf. Lc 24,13-35).

Sempre nel medesimo giorno, “il primo della settimana” (Lc 24,1), il giorno unico della resurrezione, ma alla sera, i due discepoli tornati a Gerusalemme sono nella camera alta (cf. Lc 22,12; Mc 14,15), a raccontare agli Undici e agli altri “come hanno riconosciuto Gesù nello spezzare il pane” (cf. Lc 24,25). Ed ecco che, improvvisamente, si accorgono che Gesù è in mezzo a loro e fa udire la sua parola: “Pace a voi!”. Non consegna loro parole di rimprovero per la loro fuga al momento del suo arresto, non redarguisce Pietro per il rinnegamento, non dice nulla sul fatto che essi non sono più Dodici, come li aveva chiamati e costituiti in comunità (cf. Lc 6,13; 9,1), ma solo Undici, perché il traditore se n’è andato. No, dice loro: “Shalom ‘aleikhem! Pace a voi!”, saluto abituale per i giudei, ma che quella sera risuona con una forza particolare: “La pace sia con voi! Non abbiate paura!”.

La resurrezione ha radicalmente trasformato Gesù, l’ha trasfigurato, perché egli ormai “è entrato nella sua gloria” (cf. Lc 24,26), e può solo essere riconosciuto dai discepoli attraverso un atto di fede. Quest’atto di fede è difficile, faticoso: gli Undici stentano a viverlo, a metterlo in pratica… Non a caso Luca annota che i discepoli “sconvolti e pieni di paura, credono di vedere uno spirito”. Allora Gesù li interroga: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; uno spirito non ha carne e ossa, come vedete che io ho”. Nel dire questo, mostra loro le mani e i piedi con i segni della crocifissione. Sì, il Risorto non è altro che colui che è stato crocifisso!

Eppure, nonostante queste parole e questo gesto, i discepoli non arrivano a credere, malgrado un’emozione gioiosa non giungono alla fede. È vero, noi umani approdiamo facilmente alla religione, ma difficilmente arriviamo alla fede; viviamo facilmente emozioni “sacre” o religiose, ma difficilmente aderiamo a Gesù Cristo e alla sua parola. Ma il Risorto ha grande pazienza, per questo offre alla sua comunità una seconda parola e un secondo gesto. Chiede loro se hanno qualcosa da mangiare, ed essi gli offrono del pesce arrostito, il cibo che abitualmente mangiavano insieme, quando vivevano l’avventura della vita comune in Galilea. Ricevutolo, Gesù lo mangia davanti a loro! Siamo persino stupiti di fronte a questi gesti di Gesù, ma stiamo attenti: sono solo “segni” per dire che la resurrezione di Gesù non è immortalità dell’anima e perdita totale del corpo, non è “la continuazione della sua causa” anche se egli è morto, non è una memoria che si conserva senza che colui che è morto sia vivente. Gesù dà ai discepoli questi segni, che in verità contengono verità indicibili, affinché credano che il Crocifisso ha vinto realmente la morte.

Ma i discepoli restano in silenzio: l’evangelista attesta che nemmeno da quei segni e da quelle parole di Gesù è scaturita la loro fede… Infatti Gesù, per renderli finalmente credenti, deve riprendere la sua predicazione, l’annuncio del Vangelo da lui fatto fino alla morte. Chiede di ricordare le parole dette mentre era con loro, perché quelle parole erano profezia e parola di Dio che si doveva avverare, così come doveva trovare compimento tutto ciò che era stato scritto su di lui, il Messia, nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi. Ed ecco che, mentre il Risorto ricorda e spiega la parola di Dio contenuta nelle sante Scritture, opera il vero miracolo: “aprì loro la mente (diénoixen autôn tòn noûn) per comprendere le Scritture”. Il verbo qui utilizzato (dianoígo) nei vangeli ha sempre un senso terapeutico: designa l’apertura degli orecchi dei sordi e della bocca dei muti (cf. Mc 7,34), degli occhi ai ciechi (cf. Lc 24,31). Qui indica l’operazione compiuta nella potenza dello Spirito santo, l’apertura della mente alla comprensione delle Scritture. I discepoli, così “aperti”, possono ora ricevere il mandato per la loro testimonianza e la loro missione. Hanno capito che il cuore del Vangelo è la passione, morte e resurrezione del Signore, e che questo è il fondamento della fede cristiana, dal quale scaturisce l’annuncio del perdono dei peccati, della misericordia di Dio per tutte le genti della terra: non solo per il popolo di Israele, ma per tutti…

Con tanta fatica Gesù ha rifatto credenti quei discepoli che erano venuti meno durante la sua passione, li ha resi testimoni della sua morte e resurrezione, li ha resi capaci di comprendere cosa sia il perdono dei peccati che essi devono annunciare, in virtù del loro essere stati i primi a ricevere il perdono dal Risorto. C’è un detto di un padre del deserto che mi sembra commentare mirabilmente questa pagina evangelica: “Credere alla parola del Signore è molto più difficile che credere ai miracoli. Ciò che si vede solo con gli occhi del corpo, abbaglia; ciò che si vede con gli occhi della mente che crede, illumina”.

Di questo voi siete testimoni
Commento di Antonio Savone

Mai rassegnato il nostro Dio, mai ridotto alla constatazione risentita e amara che tanto non ne vale la pena. Ne vale sempre la pena. Comunque. Di questo voi siete testimoni. Testimoni, cioè, di una vita che riparte, ha nuovi inizi, accoglie possibilità inedite.

Occasioni ne aveva offerte: alle donne, ai due di Emmaus, a Pietro e a Giovanni, ai dieci, a Tommaso. Eppure… nessuno esente dalla fatica a credere: sconvolti e pieni di paura si ritrovano ancora i discepoli. Son lì che parlano di ciò che era accaduto lungo la via e stentano ad aprirsi alla fede. Brucia ancora tanto la ferita di quella fine ignominiosa. Quando poi Gesù mostra loro le mani e i piedi la gioia che pure ha la meglio, li trattiene. È difficile essere generati alla fede. Altro che tombe scoperchiate all’improvviso. Qui nessuna evidenza schiacciante.

E poi quel suo venire in mezzo a loro a offrire ancora una ennesima possibilità nel gesto di chi dice: pace a voi. Pace data non come la dà il mondo, frutto di accordi bilaterali. No. Quella di Gesù è possibilità di riprendere a sperare senza permettere che il male radichi nel proprio cuore. Offerta unilaterale, anzitutto.

Poi ancora quel suo avere a cuore le ragioni del turbamento dei discepoli e dei loro dubbi: perché? Chiede loro Gesù.

Forse si sarebbero aspettati ben altre parole – come era logico, d’altronde -, tanto era stato il peso di quel loro fuggire. E invece no. Deve essere rimasto impresso indelebilmente nel cuore di Giovanni questo modo altro di presentarsi di Gesù se arriverà a scrivere nella sua prima lettera: se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre. Di questo voi siete testimoni. Testimoni di un Dio che accoglie chi ha tradito.

Che siano ancora accolti lo attesta quel suo mangiare davanti ai suoi discepoli. Il mangiare insieme è il segno di una comunità ricostituita, di un legame riannodato. Quanto altro c’è dietro l’annotazione riportata da Lc circa quel pesce arrostito che Gesù chiede! Chiede, cioè, di ridiventare partecipe del loro quotidiano. E così si ritrovano commensali di colui che solo pochi giorni prima avevano abbandonato e non riconosciuto. Di questo voi siete testimoni.

Ai discepoli impauriti Gesù dice: Sono proprio io… Mostra cioè che vale la pena dare la vita per gli altri. La risurrezione, infatti, non è la vittoria dei forti, non è la possibilità di scampare un pericolo ma la vita che sperimentano coloro che pure hanno conosciuto il dramma del rifiuto e della morte. Gv dirà che sappiamo di essere passati dalla morte alla vita se amiamo i fratelli. Non è un miraggio quello di cui siamo testimoni, ma qualcosa di tangibile. È l’amore per l’altro che ci permette di dire che non siamo discepoli di un fantasma.

La comunità cristiana costituita segno di una vita che mai viene annientata anche quando tutto dovesse portare i segni tangibili di una sconfitta. Vita ricomincia da altrove, altrimenti, non evitando la riprovazione ma attraversandola, qualora dovesse fare capolino nella nostra esistenza. Di questo voi siete testimoni.

E poi la capacità di rileggere il passato non come pura successione di eventi ma come realtà all’interno della quale riconoscere che la vita passa solo attraverso un morire a quell’istinto di preservarsi che tanto abita le nostre giornate. Di questo voi siete testimoni.

Quanto avremmo bisogno di essere aiutati in una diversa lettura del reale! Invito all’intelligenza, quello rivolto dal Signore Gesù il quale, se di una cosa rimprovererà i suoi, sarà proprio per questa mancanza di collocare le cose nel loro insieme, senza fermarsi ad una lettura cronachistica dei fatti. Il frammento nel tutto. “La necessità e il bisogno non come luogo di costrizione, ma come luogo di trasformazione e di offerta di sé”. Di questo voi siete testimoni.

Quel giorno – dopo aver loro partecipato il dono della pace – Gesù abilitava i discepoli ad annunciare ad ogni uomo la conversione: gli uomini sono in grado di vivere diversamente, con amore e gratuità. A chi vorrebbe lasciare le cose come stanno, fuori e dentro la Chiesa, i discepoli annunciano che un mondo nuovo è possibile: di questo voi siete testimoni. Testimoni perché noi per primi siamo il segno che l’ultima parola sulla nostra vita non è il limite, la fragilità, la propria chiusura. L’ultima parola è il perdono dei peccati. Dio ama l’uomo così com’è, senza imporgli nulla: anche al peccatore Dio fa del bene, lui che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Di questo voi siete testimoni. Noi il segno che siamo stati accolti quando – dirà Paolo – eravamo per natura meritevoli d’ira.

Di questo voi siete testimoni, di accoglienza incondizionata. Per tutti.

acasadicornelio