Commento al Vangelo di Matteo
– Capitoli 7 e 8 –
XII settimana del Tempo ordinario

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Matteo 7

Con il capitolo 7 di Matteo si conclude il discorso della montagna. Si tratta di una raccolta di esortazioni varie collegate da una certa unità di contenuto. In particolare si vede che mentre al termine del cap. 6 le esortazioni riguardavano soprattutto l’atteggiamento da assumere nei confronti di Dio, qui si parla anche dei rapporti con i fratelli. E’ difficile compiere una suddivisione di questi temi. La prima parte (1-12) ha come temi il non giudicare i fratelli, la confidenza in Dio, la preghiera e la discrezione pastorale. La seconda (13-29) riguarda il giudizio finale.

Mt 7, 7 1-12

1Non giudicate, per non essere giudicati; 2perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi. 3Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? 4O come dirai al tuo fratello: «Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio», mentre nel tuo occhio c’è la trave? 5Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello

6Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.

7Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. 8Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. 9Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? 10E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? 11Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono!

12Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti.

1Non giudicate, per non essere giudicati; 2perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi.

Questo verbo è all’indicativo presente. Gesù presuppone che i suoi uditori ricorrano spesso al giudizio nei confronti degli altri. Giudicare (krinein) significa separare, setacciando o vagliando. Spesso si giudicano gli altri mettendo ben in evidenza ciò che è male, lasciando perdere ciò che è bene. Il giudizio di Dio invece trattiene il bene e lascia perdere il male. Non dobbiamo giudicare perché anche gli altri giudicheranno noi, allo stesso modo con cui abbiamo giudicato, misurato gli altri. Non è sbagliato valutare il modo di fare degli altri, ma il Signore ci invita a valutarlo come lo valuta Lui, con un metro di misericordia, che sa riconoscere e coltivare il bene.

3Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? 4O come dirai al tuo fratello: «Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio», mentre nel tuo occhio c’è la trave? 5Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello

La correzione fraterna era prevista da Lv 19,17: “Rimprovera apertamente il tuo prossimo”. Però questa correzione richiede una certa integrità personale e la mancanza di ipocrisia. Questo paragone della pagliuzza e della trave era molto conosciuto anche nella letteratura rabbinica del tempo di Gesù. L’invito è a giudicare e a migliorare soprattutto se stessi.

6Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.

Le cose sante erano i cibi che erano stati offerti al Tempio del Signore (carne e pane). Questi potevano essere mangiati solo dai sacerdoti e dagli offerenti. Gettarli ai cani era uno dei peggiori

sacrilegi, poiché il cane era considerato dagli ebrei un’animale immondo. Lo stesso discorso vale per le perle, ovunque considerate un bene prezioso, date ai porci, altro animale altamente immondo per gli ebrei. Questi detti risultano un po’ misteriosi. Significano forse che la persona umana, bene prezioso davanti a Dio, non può buttarsi via, mescolarsi con i cani e i porci, avere una condotta riprovevole. Questo atteggiamento non può avere altra conseguenza che l’essere calpestato e sbranato. Chi fa il male cade inevitabilmente vittima del male.

7Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto.

Inizia qui una piccola catechesi sulla preghiera. Anche qui i verbi sono all’imperativo presente, ma sono al positivo (e non al negativo come al v. 1). La preghiera si declina con tre verbi, chiedere cercare e bussare. Gesù ci assicura che Dio risponderà alla nostra preghiera. Non ci dice che cosa chiedere, ma ci esorta a chiedere. Il cercare ci porta a ciò che è nascosto. Spesso Dio ci sembra nascosto, ma invece è dovunque. Sta a noi cercarlo con assiduità, avere gli occhi pronti a riconoscerlo. Il bussare ci ricorda una porta chiusa, quella di cui si Matteo parlerà in 7,13 e 25,1-12. E’ la porta del banchetto a cui le cinque vergini stolte non sono state ammesse.

8Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto.

Questo versetto ribadisce il concetto. Queste tre azioni non possono restare sterili, raggiungono il loro fine grazie a Dio. Dobbiamo comunque perseverare e otterremo quello che il nostro cuore desidera.

9Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra?

Gesù ci descrive il comportamento del Padre paragonandolo a quello di un padre umano, che tratta con cura i propri figli. Il pane e le pietre le abbiamo viste anche nell’episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto (Mt 4,4). In quel caso Gesù non aveva bisogno di mutare le pietre in pane, perché il Padre suo appunto aveva cura di lui.

10E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe?

Il pesce era l’elemento principale della dieta di coloro che abitavano attorno al mare di Galilea. Il serpente era una bestia infida (quella che aveva imbrogliato Adamo ed Eva) e faceva parte degli animali immondi che agli ebrei non era consentito mangiare.

11Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono!

Continua qui il paragone padre terrestre/padre celeste. Anche il più cattivo degli uomini non può non aver cura dei propri figli, tanto più il Padre darà cose buone a quelli che gliele chiedono. Ovviamente l’oggetto della nostra richiesta non può che essere una cosa buona, qualcosa che ci mantiene in vita, che ci aiuta a crescere nel bene.

12Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti.

La prima parte del capitolo 7 termina con la cosiddetta Regola d’oro. E’ un insegnamento che si trova anche in altre religioni e per i cristiani trova radice nel comandamento di Lv 19,18: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. In Tobia la si ritrova in forma negativa “Non fare a nessuno ciò che non piace a te”. Questa semplice regola che si rivolge agli altri partendo dalle proprie necessità viene indicata da Gesù come il riassunto di tutta la Legge e dell’insegnamento dei profeti. Ricordiamo che il discorso della montagna si presenta come la nuova legge, come il compimento della Torah. Con queste parole Matteo cerca di superare le difficoltà che erano sorte all’interno

della sua comunità (fatta soprattutto di cristiani che provenivano dall’ebraismo) nella quale si sentiva forte il contrasto tra la legge di Mosè e gli insegnamenti di Gesù.

Mt 7,13-29

13Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano.14Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!

15Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! 16Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? 17Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi;18un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. 19Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 20Dai loro frutti dunque li riconoscerete

21Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. 22In quel giorno molti mi diranno: «Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?».23Ma allora io dichiarerò loro: «Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!».

24Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia.25Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. 26Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».

28Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: 29egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi.

13Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano.

La porta in questo caso può essere quella di una città, oppure quella di una casa. Il luogo dove si intende entrare è il Regno di Dio e qui il discorso assume un carattere escatologico. La porta che conduce al Regno è stretta, quindi entrare nel Regno non è facile, ci vuole impegno e perseveranza. Alla porta si associa la via, cioè lo stile con cui si conduce la propria vita, la direzione che le nostre scelte ci portano a seguire. Molti sono quelli che vanno in perdizione, che non si impegnano nella via del Signore.

14Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!

Stretta traduce una parola greca che deriva dal termine tribolazione, frequentemente collegato alla tribolazione legata agli ultimi tempi di persecuzione e di cataclismi naturali (genere letterario apocalittico). Matteo aveva forse in mente le persecuzioni che la comunità cristiana doveva sopportare proprio nel periodo in cui egli scriveva. Pochi erano quelli che accettavano di sostenere sofferenze per il Signore e giungevano alla vera vita.

15Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci!

All’interno della comunità c’erano forse nuovi predicatori che affascinavano i loro uditori con un atteggiamento umile e dimesso, ma poi li facevano distogliere dal vero insegnamento degli apostoli. Di situazioni simili si parla spesso nelle lettere di Paolo e anche in Atti (ad es. At 20,29).

16Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? 17Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi;18un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. 19Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 20Dai loro frutti dunque li riconoscerete.

La frase “dai frutti li riconoscerete” ripetuta nel v. 16 e nel 20 forma un piccolo insegnamento a se stante. Il paragone albero/uomo è classico nell’Antico Testamento (Sal 1). Il criterio per riconoscere un buon profeta quindi è il suo operato.

Il fico e la vite sono due alberi tipici della zona mediterranea e spesso sono associati al popolo di Israele, vigna scelta piantata da Dio (che non sempre dà buoni frutti). Un fico che non dà frutto si troverà in Mt 21,18-19. L’albero che non dà frutto era già nella predicazione di Giovanni Battista (Mt 3,10).

21Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.

Non solo i falsi profeti si riconosceranno dai loro frutti, ma anche i discepoli del Signore. Così alla fine del discorso della montagna Gesù ricorderà che ci saranno all’interno della comunità coloro che lo ascoltano ma che non realizzeranno nella pratica ciò che lui ha detto e vi saranno anche coloro che non lo ascolteranno proprio (gli stolti che edificano sulla sabbia). Signore Signore (Kyrie Kyrie) è un’invocazione liturgia che la comunità rivolge al Signore risorto. E’ molto frequente in Matteo, soprattutto nei racconti di guarigione. Ma per Matteo riconoscere il Messia come Signore non è sufficiente: occorre anche fare la volontà del Padre celeste.

22In quel giorno molti mi diranno: «Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?».

In quel giorno ci immette nella prospettiva del giudizio finale, scena che troveremo meglio articolata in Mt 25,31-46. Riprende qui la polemica di Matteo contro i falsi carismatici cristiani, coloro che hanno cacciato demoni e fatto molti miracoli nel nome di Gesù, senza però fare la volontà del Padre, cioè senza praticare la misericordia.

23Ma allora io dichiarerò loro: «Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!».

La risposta del Signore sarà tremenda. Non vi ho mai conosciuti è un taglio deciso verso una persona. Sono le stesse parole del rinnegamento di Pietro in Mt 26,72. La seconda parte è presa dal Sal 6,9, versione greca. Iniquità traduce il termine greco anomia, che significa letteralmente “mancanza di legge”. Matteo lo utilizza molto nel suo Vangelo. Probabilmente Matteo aveva a che fare con falsi profeti e con alcuni che presumevano di essere giustificati per la fede, autodispensandosi dalle opere della legge.

24Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia.

Questa piccola parabola della casa costruita sulla roccia è un testo di Matteo che si avvicina molto all’insegnamento dei rabbini, sia per il modo in cui è costruita, sia per l’insistenza sul “fare” che in teologia rabbinica precede addirittura l’ascoltare.

25Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.

Le difficoltà, le acque travolgenti e le bufere della vita, anche il momento della morte non possono far cadere chi si è fondato sulla parola di Dio.

26Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».

La contrapposizione tra stolto e prudente si trova anche nella parabola delle dieci vergini (Mt 25,1-12): è questione di amore per il Signore, non solo di un calcolo esatto. La cosa importante per Matteo è ascoltare e mettere in pratica le parole di Gesù: la casa è l’ascolto, la roccia è la prassi. Un ascolto che non ha fondamento nella prassi, viene meno. La fede deve radicarsi nell’amore. Un’altra interpretazione può essere questa: la casa è il discorso della montagna, che termina qui, la roccia è la Legge e i Profeti su cui questo discorso è fondato: non ci può essere ascolto delle parole di Gesù che prescinda dall’Antico Testamento. L’insegnamento di Gesù è il “compimento” della costruzione, ma il suo fondamento ineludibile è lo stesso che il Padre aveva già posto per mezzo di Mosè e dei Profeti.

28Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi,

Questa frase ci avverte che il discorso della montagna è terminato. Troveremo questa formula al termine degli altri quattro discorsi che punteggiano il vangelo di Matteo. La formula è ripresa da Dt 32,45 al termine dei discorsi di Mosé.

le folle erano stupite del suo insegnamento: 29egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi.

La reazione ci ricorda il pubblico che aveva ascoltato Gesù, era una grande folla. La loro reazione pone una netta differenza tra l’insegnamento di Gesù e quello dei “loro scribi”.

Matteo 8

Nei capitoli 5-7 Matteo ci ha mostrato che Gesù è potente nella parola con il Discorso della Montagna. Nei capitoli 8-9 ci dimostra che Egli è potente nelle opere con una serie di episodi miracolosi, che hanno potere sia sulle malattie che sulle forze della natura.

Mt 8,1-4

1Scese dal monte e molta folla lo seguì. 2Ed ecco, si avvicinò un lebbroso, si prostrò davanti a lui e disse: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi». 3Tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio: sii purificato!». E subito la sua lebbra fu guarita. 4Poi Gesù gli disse: «Guàrdati bene dal dirlo a qualcuno; va’ invece a mostrarti al sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè come testimonianza per loro».

1Scese dal monte e molta folla lo seguì.

Matteo ha come fonte Marco 1,40-45, ma riutilizza il materiale a suo piacimento. Questo primo versetto lo inserisce lui per fare da ponte tra il Discorso della Montagna e l’episodio della guarigione. L’idea della grande folla che segue Gesù contrasta con il comando che darà al v. 4, di non riferire a nessuno il fatto della guarigione.

2Ed ecco, si avvicinò un lebbroso, si prostrò davanti a lui e disse: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi».

Le norme dettagliate che riguardano i lebbrosi sono contenute in Lv 13-14. Nell’antichità il termine lebbra comprendeva varie malattie della pelle e non era la stessa forma di lebbra che oggi identifichiamo con il morbo di Hansen. La malattia comportava l’allontanamento dalla comunità allo scopo di prevenire la diffusione del contagio. Il lebbroso si avvicina a Gesù come avevano fatto i Magi (Mt 2,2.8.11) prestandogli gli omaggi dovuti a un personaggio importante, anche divino. In questo modo egli riconosce la potenza di Gesù. Egli lo chiama con il titolo onorifico di Kyrie, che significa signore, ma anche Signore (come lo utilizziamo noi nella liturgia). Il lebbroso chiede di essere purificato. Di fatto la malattia della pelle veniva considerata come una situazione di impurità, di sporco, che tra le altre cose non permetteva di accedere alle funzioni liturgiche. La guarigione avrebbe comportato anche la purificazione rituale dell’uomo

3Tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio: sii purificato!». E subito la sua lebbra fu guarita.

A differenza di Marco, Matteo non si sofferma sulle emozioni di Gesù e va dritto alla sostanza. Gesù guarisce il malato toccandolo, incurante delle prescrizioni rituali che rendevano impuro anche chi toccava coloro che erano considerati impuri. Al contrario il suo tocco risana il lebbroso.

4Poi Gesù gli disse: «Guàrdati bene dal dirlo a qualcuno; va’ invece a mostrarti al sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè come testimonianza per loro».

Gesù non compie i miracoli per farsi vedere, ma perché siano segni della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. La richiesta di non divulgare il fatto sembra un po’ ridicola in questo caso. La guarigione era avvenuta in mezzo a una grande folla! L’offerta prescritta da Mosè faceva parte della procedura per essere ufficialmente riammessi al culto e alla vita sociale. Questa precisazione a pochi versetti dal termine del discorso della Montagna ci ricorda che Gesù non è venuto ad abolire la Legge.

Mt 8,5-17

5Entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: 6«Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». 7Gli disse: «Verrò e lo guarirò».8Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. 9Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: «Va’!», ed egli va; e a un altro: «Vieni!», ed egli viene; e al mio servo: «Fa’ questo!», ed egli lo fa».

10Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! 11Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, 12mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». 13E Gesù disse al centurione: «Va’, avvenga per te come hai creduto». In quell’istante il suo servo fu guarito.

14Entrato nella casa di Pietro, Gesù vide la suocera di lui che era a letto con la febbre. 15Le toccò la mano e la febbre la lasciò; poi ella si alzò e lo serviva.

16Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati,17perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:

Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie.

5Entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva:

Cafarnao si trova sulla riva nord-est del Mare di Galilea , nella zona comune assegnata alle tribù di Zabulon e di Neftali, a una notevole distanza da Nazaret. Cafarnao è la base operativa del ministero di Gesù in Galilea. Però Cafarnao è stata giudicata degna di riprovazione da parte di Gesù, per la sua poca fede, nonostante tutti i miracoli da lui compiuti in essa (cf. Mt 11,23). Il protagonista di questo episodio è un centurione. Nell’esercito romano il centurione comandava un reparto di cento uomini. Dal contesto dobbiamo suppore che fosse un pagano, anche se non doveva essere per forza romano.

6«Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente».

Il centurione si rivolge a Gesù direttamente e premette alla sua richiesta un titolo onorifico “Signore” (come il lebbroso di pochi versetti più sopra). Egli spiega in poche parole la situazione per cui si sta rivolgendo a Gesù. Il termine pais può significare servo, ma anche figlio.

7Gli disse: «Verrò e lo guarirò».

La traduzione normale presenta la risposta di Gesù come una promessa o un’offerta. Ma la frase potrebbe essere interpretata come una domanda (devo venire?), che esprimerebbe un coinvolgimento positivo da parte di Gesù ma potrebbe esprimere anche fastidio.

8Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito.

La risposta del centurione suggerisce che la dichiarazione di Gesù del versetto 7 debba essere presa come una domanda seccata per chiedere se il centurione si aspetti che Gesù, giudeo, sia disposto ad entrare in casa di un pagano e pertanto trasgredire le norme che vietano questo genere di rapporti con i gentili. La risposta del centurione è un modello di diplomazia ed offre a Gesù un modo alternativo di guarire il suo servo (dì soltanto una parola).

9Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: «Va’!», ed egli va; e a un altro: «Vieni!», ed egli viene; e al mio servo: «Fa’ questo!», ed egli lo fa».

L’idea del confronto stabilito in questo versetto è che proprio come il centurione esercita l’autorità nel campo militare, così Gesù esercita l’autorità nel campo spirituale, potendo comandare agli spiriti maligno che causano la malattia).

10Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande!

Il riconoscimento da parte di un pagano del potere di Gesù, conferitogli da Dio, costituisce un modello per tutti i credenti, in particolare per i primi cristiani di origine pagana. Offre l’occasione di inserire il detto che segue, preso dalla fonte Q, comune a Matteo e Luca.

11Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli,

L’immagine dei non Giudei che vengono a Gerusalemme per rendere omaggio al Dio d’Israele è molto diffusa nella letteratura profetica. Qui la scena si sposta sul banchetto che si terrà nel regno dei cieli.

12mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti».

I figli del regno sono i Giudei ai quali il regno dei cieli è stato offerto ed essi l’hanno rifiutato. L’espressione naturalmente non comprende tutti i Giudei, poiché sono Abramo, Isacco e Giacobbe che presiedono al banchetto. L’espressione “stridore di denti” è tipica di Matteo (in tutto il resto dei libri sacri la si trova in Luca una volta sola), è di stampo apocalittico ed esprime la punizione e la tremenda desolazione che ne deriva.

13E Gesù disse al centurione: «Va’, avvenga per te come hai creduto». In quell’istante il suo servo fu guarito.

L’espressione come hai creduto non arriva a dire che la guarigione sia il risultato della fede del centurione. Ma può esprimere l’idea che le cose andranno come il centurione ha sperato e richiesto.

14Entrato nella casa di Pietro, Gesù vide la suocera di lui che era a letto con la febbre.

La scena cambia. Rispetto al brano parallelo di Marco (1,29-30) sono omessi diversi particolari. Gesù usciva dalla sinagoga accompagnato da quattro apostoli, che lo avevano informato sulla malattia della suocera di Pietro. Queste omissioni hanno lo scopo di attirare l’attenzione direttamente su Gesù. L’omissione della sinagoga sarebbe un sintomo dell’ostilità che Matteo provava per i capi giudaici e “le loro sinagoghe” (cf. Mt 23,34).

15Le toccò la mano e la febbre la lasciò; poi ella si alzò e lo serviva.

La guarigione della donna è immediata e completa. La guarigione è descritta con il termine riservato alla risurrezione di Gesù (egerthe). Mentre in Marco la donna serve “loro”, qui serve solo “lui”. Il verbo servire è diakoneo, un termine tecnico all’interno della comunità, il compito dei diaconi.

16Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati,

La sera del sabato veniva meno il divieto di lavorare e di percorrere distanze troppo grandi. Matteo mette in evidenza che Gesù scaccia soprattutto i demoni con la parola. E’ una ripresa dell’episodio del centurione, che chiedeva solo una parola affinché il suo servo fosse guarito.

17perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie.

Matteo non rinuncia a citare l’Antico Testamento e a sottolinearne il suo compimento nella persona di Gesù. Questa citazione è di Is 53,4, il famoso testo del Servo sofferente. L’assumersi di infermità e malattie da parte del Servo fa parte della sua sofferenza. Pertanto la citazione mette la missione guaritrice di Gesù nel contesto della sua passione; non è solo per dare una dimostrazione del suo potere.

Mt 8,18-22

18Vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all’altra riva. 19Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, ti seguirò dovunque tu vada». 20Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 21E un altro dei suoi discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 22Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».

18Vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all’altra riva.

Troppa gente ormai seguiva Gesù poiché aveva guarito molti malati, quindi Gesù ordina ai suoi di passare dall’altra parte del Mare di Galilea, cioè sulla costa orientale.

19Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, ti seguirò dovunque tu vada».

Normalmente gli scribi (con i farisei) rappresentano gli oppositori di Gesù, ma questo particolare scriba sembra inizialmente sincero nel suo desiderio di diventare un discepolo di Gesù. Anche chiamare Maestro Gesù sembra essere sincero, sebbene questo titolo venga usato spesso dagli avversari di Gesù, e anche da Giuda nel momento in cui lo tradì. Dire “ti seguirò ovunque tu vada” equivale a “voglio diventare tuo discepolo”.

20Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».

In risposta allo scriba, che si dedicava al suo lavoro nella tranquillità di una casa, Gesù offre solo la vita di un predicatore itinerante. Il Figlio dell’uomo si riferisce precisamente a Gesù. Il detto non è una generalizzazione della condizione umana, ma si riferisce allo stile di vita di Gesù e dei suoi seguaci.

21E un altro dei suoi discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre».

Qui interviene uno che è già discepolo di Gesù. Egli chiede di andare a seppellire il padre, prima di seguirlo. La sepoltura dei genitori era un obbligo molto importante nella cultura ebraica, veniva prima dell’obbligo di recitare le preghiere giornaliere alle ore prescritte. Qualche studioso pensa che questa sepoltura sia la sepoltura secondaria, cioè la raccolta delle ossa inaridite dopo la consumazione dei tessuti e la loro sepoltura in un altro luogo. Questo avveniva diverso tempo dopo la morte e faceva parte dei doveri dei figli, i quali però non dovevano farlo in prima persona, per non contaminarsi. La domanda perciò richiedeva un tempo lungo, anche più di un anno.

22Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».

Qualunque fosse il tipo di sepoltura a cui il discepolo doveva attendere, la risposta di Gesù è categorica. Per seguire Gesù e condividere il suo ministero di predicazione e guarigioni viene prima perfino di un obbligo solenne qual è quello di seppellire il proprio padre. Chiaramente il detto è in forma di iperbole intesa a provocare negli ascoltatori una forte impressione.

Mt 8,23-27

23Salito sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. 24Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva. 25Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». 26Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia. 27Tutti, pieni di stupore, dicevano: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?».

23Salito sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono.

Termina la breve parentesi in cui due uomini chiedono a Gesù di seguirlo ed egli pone davanti a loro le esigenze, anche molto forti della sequela. Quelli che accompagnano Gesù hanno già preso la loro decisione riguardo alle sfide proposte da Gesù. Il verbo akoloutho è il termine tecnico per indicare questa sequela.

24Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva.

Il termine seismos, tradotto come sconvolgimento indica il terremoto. Vi sono delle suggestioni apocalittiche, il grande terremoto che vi sarà alla fine dei tempi (Ez 38,19). La barca in balia delle onde diventerà poi simbolo della Chiesa ma è difficile sapere se i lettori di Matteo applicassero già tale simbolismo. Il dormire di Gesù è segno di fiducia in Dio, non di disinteresse o insensibilità. I lettori di Matteo trovano in questo particolare un riferimento alla storia di Giona. Vi è un certo parallelismo (con le dovute differenze) tra Gesù e Giona. Anche Gesù si sta dirigendo verso i pagani, anche lui dorme nel bel mezzo della tempesta. Come Giona fu gettato in mare prima di annunciare la Parola di Dio ai pagani, anche Gesù dovrà morire prima che il Vangelo sia annunciato ai pagani.

25Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!».

A differenza del parallelo di Marco, in cui i discepoli sembrano rimproverare Gesù, qui lo invocano con una preghiera, che può valere anche al di là del momento contingente di pericolo.

26Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia.

Matteo attenua il rimprovero di Gesù ai suoi discepoli (non avete ancora fede?). Dice loro che hanno un po’ di fede ma che la loro fede è lontana dall’essere perfetta. Poi fa quello che il salmo 107 attribuisce a JHWH: “ridusse la tempesta alla calma, tacquero i flutti del mare”.

27Tutti, pieni di stupore, dicevano: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?».

Il suo intervento fa sorgere la domanda su chi sia costui. Una traduzione più letterale suggerisce il senso “che tipo di Messia sarà Gesù?”.

Mt 8,28-34

28Giunto all’altra riva, nel paese dei Gadarèni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli andarono incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva passare per quella strada. 29Ed ecco, si misero a gridare: «Che vuoi da noi, Figlio di Dio? Sei venuto qui a tormentarci prima del tempo?». 30A qualche distanza da loro c’era una numerosa mandria di porci al pascolo; 31e i demòni lo scongiuravano dicendo: «Se ci scacci, mandaci nella mandria dei porci». 32Egli disse loro:

«Andate!». Ed essi uscirono, ed entrarono nei porci: ed ecco, tutta la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare e morirono nelle acque.

33I mandriani allora fuggirono e, entrati in città, raccontarono ogni cosa e anche il fatto degli indemoniati. 34Tutta la città allora uscì incontro a Gesù: quando lo videro, lo pregarono di allontanarsi dal loro territorio.

28Giunto all’altra riva, nel paese dei Gadarèni, due indemoniati,

Questo episodio è raccontato anche da Marco e da Luca, ma ci sono discordanze sul luogo in cui avvenne. Per Matteo si tratta del territorio dei Gadareni, che si trovava nella Decapoli. Non era poi una terra tanto straniera, poiché in Gs 13,8-19,49 questa regione era destinata alla tribù di Manasse e quindi faceva parte della Terra Promessa. Gesù vorrebbe dunque recuperare le pecore disperse del suo popolo. Questo miracolo non sarebbe solo una guarigione, ma anche una purificazione.

Mentre gli altri due sinottici parlano di un indemoniato solo, Matteo ne ricorda due, come nel caso dei ciechi di Gerico. Gli studiosi non hanno ancora trovato una spiegazione convincente per questa scelta. Può darsi che Matteo attingesse a una tradizione che con il tempo aveva raddoppiato i personaggi di questi due miracoli.

uscendo dai sepolcri, gli andarono incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva passare per quella strada.

L’abitare nei sepolcri potrebbe suggerire una certa comunanza tra i morti e gli spiriti maligni. Comunque i due vivevano in una situazione disumana. Lo stare tra le tombe era già una specie di morte. Possiamo vedere in questa descrizione un riferimento a Is 65,4, in cui si descrive il popolo di Israele schiavo dell’idolatria. I due indemoniati poi sono talmente in balia della forza che li abita da non riuscire ad entrare in contatto con gli altri se non con la violenza.

29Ed ecco, si misero a gridare: «Che vuoi da noi, Figlio di Dio? Sei venuto qui a tormentarci prima del tempo?».

Era opinione comune che la sconfitta delle forze demoniache fosse riservata agli avvenimenti degli ultimi tempi. I demoni riconoscono Gesù come Figlio di Dio ma non riescono a spiegarsi perché voglia anticipare la venuta del regno di Dio con i suoi esorcismi.

30A qualche distanza da loro c’era una numerosa mandria di porci al pascolo;

Il termine choiros significa cinghiale o maiale selvatico, in riferimento all’ebraico hazir, che nella letteratura rabbinica è un riferimento ai Romani. Il cinghiale era il simbolo della legione X Fretensis, che combattè in Palestina, come anche di altre legioni romane.

Già porci per i Giudei erano animali immondi, in questo brano vi è anche un riferimento velato ai Romani, i dominatori della Palestina. In Marco il riferimento era molto più esplicito, poiché l’indemoniato diceva di chiamarsi Legione.

31e i demòni lo scongiuravano dicendo: «Se ci scacci, mandaci nella mandria dei porci».

I demoni avevano bisogno di un posto dove abitare e scatenare la loro energia distruttiva.

32Egli disse loro: «Andate!». Ed essi uscirono, ed entrarono nei porci: ed ecco, tutta la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare e morirono nelle acque.

Rimane il problema della distanza tra Gadara e il Mare di Galilea. Bisogna supporre che con l’annegamento di porci siano periti anche i demoni o che almeno la loro forza si fosse esaurita. Che Gesù si sia prestato a distruggere la proprietà altrui è sempre stato un motivo di scandalo. Ma per i

Giudei la perdita di una mandria di porci sarebbe stata qualcosa come la distruzione di topi al giorno d’oggi.

33I mandriani allora fuggirono e, entrati in città, raccontarono ogni cosa e anche il fatto degli indemoniati. 34Tutta la città allora uscì incontro a Gesù: quando lo videro, lo pregarono di allontanarsi dal loro territorio.

Matteo tralascia la descrizione che fa invece Marco dell’indemoniato guarito. Agli indemoniati dedica solo un accenno per giustificare il comportamento dei mandriani. Ciò che conta per Matteo è sottolineare la sua potenza nei confronti dei demoni.

Anche Matteo, come Marco, registra il fatto che gli abitanti del paese chiedono a Gesù di lasciare il territorio. Questo miracolo rimane un gesto simbolico, ma i tempi non sono ancora maturi perché i pagani accolgano la parola del Vangelo.

Lectio divina preparata dalle monache del Monastero Matris Domini
http://www.matrisdomini.org