Lettura orante del Vangelo di Marco (4)
Claudio Doglio
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«Annuncia ciò che il Signore ti ha fatto» (5,1-20)
L’evangelista Marco dedica la prima parte del suo racconto al cammino che Gesù ha fatto fare agli apostoli perché possano comprendere il suo ruolo messianico.
Abbiamo già visto come questa parte sia stata strutturata in tre momenti che iniziano con un sommario e terminano con un atteggiamento di ostilità. Siamo poi passati alla seconda sezione dove abbiamo incontrato dapprima (cap.3) episodi di contrasto con Gesù: incomprensione e rifiuti. Poi l’evangelista ha raccolto una antologia di parabole e quindi una antologia di racconti di miracoli. Uno ha chiuso l’episodio delle parabole – la tempesta sedata – e gli altri seguono nel capitolo 5.
Sono proprio i testi che prendiamo in considerazione oggi. Leggeremo infatti integralmente il capitolo 5 perché si compone di due lunghi racconti. Il primo è l’episodio della guarigione dell’indemoniato nella regione straniera dei Geraseni. Rispetto alla mentalità di Israele siamo all’estero. Gesù è uscito fuori dai confini della terra santa. Quella sera, con la barca, lui e i discepoli hanno iniziato l’attraversamento del lago e Gesù, nonostante dormisse, era presente e la sua presenza ha creato la pace superando la tempesta di vento e di acqua.
41E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?».
Così finisce il capitolo 4 con una domanda a cui non c’è risposta.
Chi è dunque costui? Subito dopo, al capitolo 5, inizia un racconto molto dettagliato dove si narra la storia di un uomo. È qualificato proprio come «ànthropos», termine generico per definire un uomo, l’uomo in genere. In qualche modo potrebbe essere la storia dell’uomo, la storia dell’umanità.
Il testo e lo stile di Marco
Marco ha la capacità di raccontare con molti particolari, con una abbondanza di descrizioni e sottolineature che mancano ad esempio in Matteo. Purtroppo Marco è stato danneggiato, per così dire, nella fama e nell’uso del suo testo dal giudizio che ne hanno dato gli antichi, in modo particolare Agostino che lo ha qualificato come “Breviator Matthei” cioè abbreviatore di Matteo.
Se Marco è un riassunto di Matteo, è logico che non conviene leggere il riassunto, noi vogliamo legge il testo più completo. Sarebbe come leggere il “bignami” al posto del testo del Manzoni. Non è invece così; questo è un giudizio sbagliato di Agostino.
Marco non è affatto il compendio di Matteo, Marco è stato scritto prima di Matteo e contiene molto materiale in meno, è vero, ma non è uno riassunto. Per verificare questo vi invito a confrontare bene il testo di Marco – che stiamo per meditare – con il testo parallelo di Matteo che si trova al capitolo 8 versetto 28. Anche una veloce lettura ci dà subito l’impressione che non si tratti affatto di un riassunto.
Un interessante confronto sinottico
Matteo 8,28-34 |
Marco 5,1-20 |
8,28Giunto all’altra riva, nel paese dei Gadarèni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli vennero incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva più passare per quella strada. 29Cominciarono a gridare: «Che cosa abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?». 30A qualche distanza da loro c’era una numerosa mandria di porci a pascolare; 31e i demòni presero a scongiurarlo dicendo: «Se ci scacci, mandaci in quella mandria». 32Egli disse loro: «Andate!». Ed essi, usciti dai corpi degli uomini, entrarono in quelli dei porci: ed ecco tutta la mandria si precipitò dal dirupo nel mare e perì nei flutti. 33I mandriani allora fuggirono ed entrati in città raccontarono ogni cosa e il fatto degli indemoniati. 34Tutta la città allora uscì incontro a Gesù e, vistolo, lo pregarono che si allontanasse dal loro territorio. |
5,1Intanto giunsero all’altra riva del mare, nella regione dei Gerasèni. 2Come scese dalla barca, gli venne incontro dai sepolcri un uomo posseduto da uno spirito immondo. 3Egli aveva la sua dimora nei sepolcri e nessuno più riusciva a tenerlo legato neanche con catene, 4perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva sempre spezzato le catene e infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a domarlo. 5Continuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. 6Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi, 7e urlando a gran voce disse: «Che hai tu in comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». 8Gli diceva infatti: «Esci, spirito immondo, da quest’uomo!». 9E gli domandò: «Come ti chiami?». «Mi chiamo Legione, gli rispose, perché siamo in molti». 10E prese a scongiurarlo con insistenza perché non lo cacciasse fuori da quella regione. 11Ora c’era là, sul monte, un numeroso branco di porci al pascolo. 12E gli spiriti lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». 13Glielo permise. E gli spiriti immondi uscirono ed entrarono nei porci e il branco si precipitò dal burrone nel mare; erano circa duemila e affogarono uno dopo l’altro nel mare. 14I mandriani allora fuggirono, portarono la notizia in città e nella campagna e la gente si mosse a vedere che cosa fosse accaduto. 15Giunti che furono da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. 16Quelli che avevano visto tutto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. 17Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. 18Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo pregava di permettergli di stare con lui. 19Non glielo permise, ma gli disse: «Và nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato». 20Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli ciò che Gesù gli aveva fatto, e tutti ne erano meravigliati. |
L’indemoniato di Gerasa
Mt 8,28Giunto all’altra riva, nel paese dei Gadarèni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli vennero incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva più passare per quella strada. 29Cominciarono a gridare:
L’aspetto strano che colpisce subito la nostra fantasia è che in Matteo gli indemoniati sono due. È uno strano fenomeno, così come anche i ciechi sono due. Matteo ha l’abitudine di raddoppiare, forse c’è qualche intento narrativo particolare, ma sicuramente c’è una sobrietà nel racconto. Lo notiamo sentendo Marco raccontare lo stesso episodio.
Mc 5,1Intanto giunsero all’altra riva del mare, nella regione dei Gerasèni.
Notate che cambia il nome? Gadareni o Geraseni? Sono due nomi di città diverse: Gadàra e Geràsa. Se avete una cartina potete andare a cercarle e identificarle; sono due città importanti della Decapoli, una specie di confederazione ellenista di dieci città autonome. Gadàra è proprio in alto, sul lago di Galilea, Geràsa è un po’ più arretrata ed è la città principale della regione del Giordano. Allora, due nomi diversi non fanno nessun problema perché la zona è quella. Dire Bergamo o dire Brescia, se si indica quella regione, significa la stessa cosa perché si indica una parte della stessa regione e allora la regione dei Gadareni e la regione dei Geraseni si identificano.
Questa differenza tra i due racconti ci ha però detto che c’è una tradizione orale con delle inevitabili sfumature dovute proprio alla trasmissione orale.
Così continua Marco:
2Come scese dalla barca, gli venne incontro dai sepolcri un uomo posseduto da uno spirito immondo. 3Egli aveva la sua dimora nei sepolcri e nessuno più riusciva a tenerlo legato neanche con catene, 4perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva sempre spezzato le catene e infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a domarlo. 5Continuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. 6Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi, 7e urlando a gran voce disse: «Che hai tu in comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!».
Vi sembra proprio che Marco sia un riassunto di Matteo? Questo testo vi sembra forse il riassunto di quell’altro? Certamente no! Marco, dunque, è decisamente originale nella stesura di questi testi con l’intenzione di sottolineare i particolari e rendere vivace il racconto.
Come ha caratterizzato quest’uomo indemoniato? O, meglio, posseduto dallo spirito immondo, impuro? Immondo è il contrario di santo e lo spirito immondo è il contrario dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo è lo spirito di Dio e qui c’è invece un altro spirito, un’altra mentalità, un altro principio dell’azione. Il riferimento è al demonio, ma in senso di mentalità contraria a Dio.
È un uomo dominato da uno spirito apposto a Dio e quest’uomo è caratterizzato dai sepolcri. Vive nei sepolcri, ha la sua dimora in un ambiente di morte ed è isolato dal consorzio umano; è anche violento e pericoloso. Hanno tentato di legarlo; è il classico matto da legare. Ma talmente forte e infuriato che nessuno può legarlo.
Marco ha insistito quasi raccontando una storia di tentativi falliti. Ma che cosa hanno tentato di fare nei confronti di quell’uomo? Legarlo, bloccarlo, domarlo, non liberarlo. Hanno tentato con ceppi e catene, ma lui è stato più forte di tutti questi legami; hanno cercato di bloccarlo, ma niente lo ha domato, niente lo ha fermato. Ha spezzato le catene e ha infranto i ceppi. È un uomo che fa problema agli altri uomini e gli altri uomini pensano di sopprimerlo, di bloccarlo, di impedirgli l’azione, ma lui continuamente, notte e giorno, gridava e si percuoteva con pietre.
Doveva essere un personaggio noto in quell’ambiente, una figura strana che si sentiva gridare anche da lontano. È un’immagine che Marco ha sottolineato per evidenziare il dramma dell’uomo lontano da Dio, dell’uomo morto che dimora nei sepolcri, dell’uomo posseduto dallo spirito della morte. Quel grido dice un affanno, un’angoscia, una paura, una rabbia e il ripercuotersi con pietre dice una accanimento contro di sé. È un uomo che si sta rovinando, si sta danneggiando; è già compagno dei morti e il ripercuotersi con pietre dice un desiderio di auto– distruzione.
Questa scena tragica e macabra di quest’uomo già morto si incontra con la quiete di Gesù appena uscito dalla tempesta. È finita una notte di tempesta in cui gli apostoli erano agitati, spaventati, impauriti poi loro, sereni e contenti, sbarcano sulla riva e improvvisamente incontrano questa scena tremenda: quest’uomo disumano che però corre incontro. Avendo visto Gesù da lontano accorse e gli si gettò ai piedi.
Compie un gesto di prostrazione: «prosekýnesen»; è il verbo che indica il mettersi in ginocchio e appoggiare la testa al pavimento. È l’atto di prostrazione, di adorazione che si riserva a Dio solo. Quest’uomo indemoniato e fuori di testa corre da Gesù, gli si mette in ginocchio davanti e non gli urla una preghiera, ma uno scongiuro:
Il testo greco letteralmente dice: «Che cosa a me e a te» Ma questa è la stessa frase, se ben vi ricordate, che Gesù disse alla madre alle nozze di Cana: «che cosa a me e a te?, che c’è fra di noi?». È una domanda di tipo semitico per indicare il rapporto che lega due persone. Sarebbe come dire: come ti poni nei miei confronti, che ruolo hai nella mia vita, che cosa vuoi dalla mia vita? Che cosa c’entri con me, c’entri o non c’entri? Che hai a che fare con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo?
Giustamente avete sicuramente notato che gli unici che riconoscono la divinità di Gesù sono i dèmoni, ma non è una testimonianza che conti, che valga. Lo riconoscono e non lo accettano: non è un atto di fede. Si può riconoscere una dottrina teologica senza aderirvi con il cuore. «Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!».
L’esorcismo, una realtà attuale
Il verbo greco che rende «ti scongiuro» è «orkìzo». È il verbo da cui deriva il nostro “esorcismo”, però c’è una cosa stranissima: è l’indemoniato, infatti, che cerca di esorcizzare Gesù.
Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». 8Gesù gli diceva infatti: «Esci, spirito immondo, da quest’uomo!».
Notate l’abilità di Marco che ha messo prima la reazione dell’uomo e poi quello che diceva a Gesù, notando che però la parola di Gesù era stata detta prima.
Gesù non si rivolge a quell’uomo, ma allo spirito immondo; c’è un contrasto, una lotta. L’idea della lotta fra Gesù e il male è stata evocata da Marco, in moto splendido, con quelle descrizioni dei ceppi e delle catene. C’è stata una lotta e tutti l’hanno persa perché quell’uomo, dominato dal male, era più forte, ma adesso ha incontrato colui che davvero è più forte. Gesù dimostra di essere più forte del male.
L’imperativo di Gesù è “Esci!”; lo avevamo già trovato nel primo racconto di esorcismo. Gesù fa fare un esodo, una uscita.
Non soffermiamoci solo sul caso strano dell’indemoniato perché questi episodi sono stati scelti e raccontati proprio perché simboleggiano bene la condizione dell’umanità che ha bisogno di essere liberata dal potere del male. Senza arrivare alle situazione eccessiva, oggettivamente rara della possessione diabolica, ogni persona umana in qualche modo è dominata dal male, tanto è vero che l’esorcismo è una prassi comune nella vita della Chiesa ed è inserita nel rito del battesimo.
La celebrazione del battesimo comporta l’esorcismo; se è fatto con un adulto assume un significato molto più forte e quindi, nel momento in cui si battezza un adulto, prima si compie l’esorcismo perché si intende che ci sia un dominio del male in quella persona e il battesimo equivale proprio a un intervento di liberazione. Dunque, l’episodio noi dobbiamo leggerlo andando oltre il caso strano ed eccessivo, vedendo quest’uomo come la figura dell’uomo in genere, di ogni uomo, di ogni persona vittima del male, dominata da uno spirito che non è quello divino.
Il compito di Gesù è quello di liberare l’uomo, non ti incatenarlo. La soluzione che in genere si trova è quella di controllare gli eccessi, di dominare le stranezze, di legare in ceppi e catene, di mettere dentro i delinquenti. È la soluzione: il delinquente bisogna incarcerarlo. Siamo convinti che sia la logica più giusta. Al contrario, nella prospettiva di Gesù il delinquente deve essere liberato, non chiuso. Non è chiudendolo che lo salvi, ma è liberandolo dal potere del male che lo domina. Non è un discorso di sociologia o di comportamento giudiziario che sto facendo: è un ragionamento spirituale che deve essere applicato a noi.
L’uomo, nella sua naturalità, ma nella sua corruzione naturale, è attratto dal Cristo e spaventato dal Cristo; non è Gesù che lo va a cercare, è lui che andato da Gesù. Strano il comportamento. Poteva starsene sui monti, in mezzo ai sepolcri, girare alla larga e invece… avendolo visto da lontano corse da Gesù, gli si inginocchia davanti e gli dice “lasciami stare”.
Gesù tormenta l’uomo
Se avesse davvero voluto essere lasciato stare se ne sarebbe stato lontano; invece sta chiedendo l’opposto di quel che desidera. Detto in altri termini: “Gesù tormenta l’uomo”. Lo diceva già don Abbondio parlando del Cardinal Federigo Borromeo: «sarà un santo, ma che tormento!». Gesù è il santo di Dio, ma che tormento! Gesù è un autentico tormento. Tormenta la nostra vita, non ci lascia stare, vuole scacciare quello spirito immondo che ci domina; ci dà fastidio perché ci contesta, ci critica, ci rimprovera, ci fa sentire in colpa… eppure ci attrae.
Di fronte alla predicazione di Gesù l’uomo naturale è attratto e respinto; ha paura eppure lo desidera. Non pensiate che si possa avvicinare qualcuno con un Gesù “di marmellata”, semplicemente facendo le cose dolci, facili, e presentando il Gesù buono a cui va bene tutto. Affascina molto di più il Gesù esigente, grande nella sua richiesta, inarrivabile nella sua santità. È proprio la grandezza, la santità di Gesù che affascina, che fa sentire l’uomo peccatore; si sente tormentato eppure affascinato e richiamato.
Adesso inizia il dialogo, un dialogo molto umano. Gesù nel vangelo di Marco fa domande. Vi ricordate l’impegno di cercare tutte le domande? Mano a mano che leggete notatele. Anche Gesù fa domande e la prima domanda, la più elementare – che tuttavia non si trova spesso nei vangeli – viene fatta proprio qui. È la domanda che faresti anche tu quando incontri una persona per la prima volta: come ti chiami? Il Gesù di Marco non sa tutto per definizione, è un uomo capace di relazioni, capace di fare domande e attacca il discorso parlando a quell’uomo, chiedendogli il nome per poterlo chiamare per nome.
9E gli domandò: «Come ti chiami?». «Mi chiamo Legione, gli rispose, perché siamo in molti».
Questo è un testo nato a Roma perché in greco «Leghiòn» non si dice, è un greco parlato a Roma, è un greco latineggiante. La parola “legione” a Roma la capivano bene è una parola militare, indica una schiera di soldati ben organizzata, dice una serie di uomini irreggimentati, intruppati, uomini che combattono. Lui non ha un nome di persona, è una truppa, è una massa, è l’uomo massificato.
Non sono uno, siamo in molti, non ho una mia identità, sono una massa. Sicuramente vi è venuto in mente certo modo di pensare dei nostri giovani, una mentalità di massa dove per esistere bisogna essere come gli altri. È l’idea del gruppo: non sono io, sono il gruppo e io perdo la mia identità nella massa.
Il riferimento può anche essere a una grande quantità di demòni che lo occupano, ma c’è proprio l’idea della spersonalizzazione: non ho un nome sono una massa.
10E prese a scongiurarlo con insistenza perché non lo cacciasse fuori da quella regione. 11Ora c’era là, sul monte, un numeroso branco di porci al pascolo.
Vi ho detto che siamo all’estero, in Israele non ci sarebbero maiali; sono animali immondi e vietati, quindi, se non si possono mangiare, è inutile allevarli. Dall’altra parte del lago invece ci sono greci allevatori di maiali perché ne fanno grande uso commestibile. Per un semita, però, il branco di porci è qualche cosa di estremamente schifoso. Ricordate certamente quel figlio scappato di casa che, nella parabola, finisce come guardiano di porci; è il segno che è andato all’estero e peggio di così non poteva finire. È il segno del massimo degrado.
Il branco di porci è adatto per i démoni:
12E gli spiriti lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». 13Glielo permise.
Una libertà “costosa”: un problema attuale
Ormai comanda Gesù! Lo spirito immondo, per bocca dell’indemoniato, la prima volta ha chiesto “non mi tormentare”, la seconda “perlomeno non mandarmi via dalla regione”. Rimaniamo in zona, che ormai debba uscire da quell’uomo lo ha capito. Ed è Gesù che glielo permise. Gli permette di entrare nel branco di porci:
E gli spiriti immondi uscirono ed entrarono nei porci e il branco si precipitò dal burrone nel mare; erano circa duemila e affogarono uno dopo l’altro nel mare.
È una scena grandiosa e strana. Dietro a questo brano branco di porci c’è una simbologia importante: è l’immagine dell’umanità bestiale. Anche nella tradizione narrativa greca ci sono simboli del genere: pensate alla maga Circe che trasforma gli uomini amanti in porci. È l’immagine dell’abbruttimento dell’uomo, degli uomini che diventano bestie.
Questa situazione del branco di porci evoca una situazione umana di sfruttamento dell’umanità. Marco sta dicendo che liberare l’uomo danneggia gli allevatori di porci perché Gesù ha procurato un danno in quella regione, un grave danno economico, ma ha liberato l’uomo.
Possiamo fare due esempi con la nostra situazione attuale: liberare un ragazzo dall’uso di stupefacenti comporta un danno economico per gli spacciatori. Sottrarre una persona alla dipendenza da droghe ti crea dei nemici, inevitabilmente, perché rovini un commercio. È molto più comodo “usare” questi giovani deboli e vendere loro la “roba”.
Oppure pensate alla situazione tragica e così frequente nelle nostre “brave” città delle schiave, delle ragazze prese nel terzo mondo e usate come prostitute. Intervenire in quei contesti, e liberare una persona, procura dei danni economici ingenti. Chi ha organizzato quel sistema di sfruttamento ne ha un danno: ecco i mercanti di porci. Liberare l’uomo comporta un danno.
Questi sono esempi grandi, ma ce ne sono molti altri; è sempre così, in tutte le situazioni: liberare l’uomo danneggia la struttura corrotta del mondo. Il mondo preferisce legare, incatenare e bloccare. Cristo libera, ma la liberazione comporta un danno.
14 I mandriani allora fuggirono, portarono la notizia in città
Questi mandriani non sono però evangelizzatori, non portano una bella notizia, ma una brutta notizia.
portarono la notizia in città e nella campagna e la gente si mosse a vedere che cosa fosse accaduto. 15Giunti che furono da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura.
Seduto, vestito e sano di mente, tranquillo; lui che era stato matto da legare. Ebbero paura, non furono contenti.
16Quelli che avevano visto tutto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. 17Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio.
Fanno la stessa cosa che avevano fatto i demoni: pregano Gesù di non tormentarli, di andare da un’altra parte perché lì dà fastidio. Gesù dà fastidio.
18Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo pregava di permettergli di stare con lui. 19Non glielo permise,
È proprio il senso del discepolato: stare con Gesù. Quell’uomo, guarito, vuol stare con Gesù, ma Gesù non glielo permise. Ai démoni permise di entrare nei porci, a quell’uomo non permise di stare con lui…
ma gli disse: «Và nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato».
Meditazione
La lectio divina noi possiamo farla semplicemente su questo versetto 19. Possiamo dedicare tempo e intelligenza a meditare su questo. Mettiamoci noi nei panni di quell’uomo liberato. L’esorcismo che è stato fatto nel nostro battesimo ci ha liberati dalla legione, ci ha fatti diventare persone in dialogo con la persona di Gesù. Il Signore non ci ha permesso di stare con lui durante la sua vita terrena a condividere quell’esperienza pratica, ma ci ha dato una missione: «Va’ nella tua casa dai tuoi».
Evidentemente quell’uomo era uscito di casa tanto tempo prima; adesso viene rimandato nel suo ambiente vitale perché possa annunciare che cosa il Signore gli ha fatto, ovvero, la misericordia che gli ha usato.
Allora, che cosa devi fare tu, nella tua vita? Annunciare ciò che il Signore ti ha fatto. Annunciare il Vangelo vuol dire raccontare te stesso perché tu hai incontrato il Signore e il Signore ha agito nella tua vita, raccontalo! Sei un vangelo vivente.
Raccontando quello che il Signore ti ha fatto non trasmetti delle teorie che hai letto sui libri, ma comunichi la tua esperienza, la tua esperienza del Signore e chi ti ascolta si rende conto che stai raccontando qualcosa di vero, di profondo, di autentico che ti appartiene. Non ripeti una lezione imparata a memoria, ma stai dicendo qualcosa di te. È la misericordia che ti ha usato.
20Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli
regione straniera e greca, religione di porci…
ciò che Gesù gli aveva fatto, e tutti ne erano meravigliati.
Quest’uomo è predicatore prima degli apostoli, è un evangelizzatore dei greci, è uno che ha aperto la missione agli stranieri semplicemente dicendo: sono un uomo liberato da Gesù Cristo, il Signore Gesù mi ha dato la possibilità di essere un uomo, mi ha usato misericordia, mi ha liberato dallo spirito immondo.
Di dèmoni ce ne sono anche dentro di noi. Sono tutte le idee sbagliate che abbiamo, le inclinazioni del nostro carattere, le fissazioni, le manie, i difetti, i vizi. Quanti démoni devono essere ancora scacciati! Una piccola legione l’abbiamo anche noi. Lasciamoci tormentare dal Signore Gesù lasciandoci liberare e annunciamo che ci ha già liberati.