III Domenica – Tempo ordinario – B
Marco 1,14-20

Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini

L’ora della vocazione
Commento al Vangelo di Enzo Bianchi

Ognuno di noi, soprattutto se anziano ma non colpito da demenza senile, va sovente con i suoi ricordi al passato, in particolare a quello che è stato l’inizio, il cominciare di una vicenda, di un amore che lo ha segnato per tutta la vita. Anche il cristiano fa questa operazione di cercare nel passato, quasi per riviverla, l’ora della conversione; o meglio, per moltissimi l’ora della vocazione, quando si è diventati consapevoli con il cuore che forse ci era rivolto un monito, che forse il Signore voleva che fossimo coinvolti nella sua vita più di quanto lo eravamo stati fino ad allora. Noi la chiamiamo, appunto, ora della vocazione.

La pagina del vangelo di questa domenica vuole essere proprio un racconto di vocazione in cui può specchiarsi chi predispone tutto per ascoltare la chiamata di Gesù, oppure può essere l’occasione per ricordarla come un evento del passato, che può avere ancora o non avere più forza, addirittura significato. Gesù torna in Galilea, la terra della sua infanzia, per iniziare a proclamare un messaggio che sentiva dentro di sé come una missione da parte di Dio Padre. Incomincia questa vita di predicazione e di itineranza dopo che Giovanni, il suo rabbi, il suo maestro, colui che lo ha educato nella vita conforme all’alleanza con Dio e lo ha anche immerso nelle acque del Giordano (cf. Mc 1,9), è stato messo in prigione da Erode. È la fine di chi è profeta, e Gesù subito se la trova davanti come necessitas umana: se egli continuerà sulla strada del suo maestro, prima o poi conoscerà la persecuzione e la morte violenta.

Gesù inizia a proclamare la buona notizia, il Vangelo di Dio, nella consapevolezza che il tempo della preparazione, per Israele tempo dell’attesa dei profeti, che il tempo della pazienza di Dio ha raggiunto il suo compimento, come il tempo di una donna gravida. Alla fine della gravidanza c’è il parto, e così Gesù annuncia: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio si è fatto vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”. Ecco la sintesi della sua predicazione: c’è l’inizio di un tempo nuovo in cui è possibile far regnare Dio nella vita degli uomini; affinché questo avvenga occorre convertirsi, ritornare a Dio, e poi credere alla buona notizia che è la presenza e la parola di Gesù stesso. Sì, è solo un versetto che dice questa novità, eppure è l’inizio di un tempo che dura ancora oggi e qui: è possibile che Dio regni su di me, su di te, su di noi, e così avviene che il regno di Dio è venuto.

Di fronte a questa gioiosa notizia, ma anche a questa nuova possibilità offerta dalla presenza di Gesù, ci siamo noi uomini e donne, che ancora oggi ascoltiamo il Vangelo. Che cosa facciamo? Come reagiamo? Stiamo forse vivendo quotidianamente, intenti al nostro lavoro, alla nostra occupazione quotidiana per guadagnarci da vivere, poco importa quale sia; oppure siamo in un momento di pausa; oppure siamo con altri a discorrere… Non c’è un’ora prestabilita: di colpo nel nostro cuore, senza che gli altri si accorgano di nulla, si accende una fiammella. “Chissà? Chissà se sento una voce? Riuscirò a rispondere ‘sì’? Sarà per me questa voce che mi chiama ad andare? Dove? A seguire chi? Gesù? E come faccio? Sarà possibile?”. Tante domande che si intersecano, che svaniscono e ritornano, ma se sono ascoltate con attenzione allora può darsi che in esse si ascolti una voce più profonda di noi stessi, una voce che vien da un aldilà di noi stessi, eppure attraverso noi stessi: la voce del Signore Gesù! È così che inizia un rapporto tra ciascuno di noi e lui, sì, lui, il Signore, presenza invisibile ma viva, presenza che non parla in modo sonoro ma attrae…

Qui nel vangelo secondo Marco questo processo di vocazione è sintetizzato e per così dire stilizzato dall’autore, che narra solo l’essenziale: Gesù passa, vede e chiama; qualcuno ascolta e prende sul serio la sua parola “Seguimi!” e si coinvolge nella sua vita. È ciò che è vero per tutti ed è inutile dire di più: sarebbe solo un inseguire processi psicologici… Ma l’essenziale è stato detto, una volta per tutte: accolta la vocazione, si abbandonano le reti, cioè il mestiere, si abbandonano il padre e la barca, cioè l’impresa famigliare, e così ci si spoglia e si segue Gesù.

Attenzione però: la vocazione è un’avventura piena di grandezza ma anche di miseria! Per comprenderlo, è sufficiente seguire nei vangeli la vicenda di questi primi quattro chiamati. Il primo, Pietro, sul quale Gesù aveva riposto molta fiducia, vivendo vicino a lui spesso non capisce nulla di lui (cf. Mc 8,32; Mt 16,22), al punto che Gesù è costretto a chiamarlo “Satana” (Mc 8,33; Mt 16,23); a volte è distante da Gesù fino a contraddirlo (cf. Gv 13,8); a volte lo abbandona per dormire (cf. Mc 14,37-41 e par.); e infine lo rinnega, dice di conoscere se stesso e di non avere mai conosciuto Gesù (cf. Mc 14,66-72 e par.; Gv 18,17.25-27). Andrea, Giacomo e Giovanni in molte situazioni non capiscono Gesù, lo fraintendono e non conoscono il suo cuore; i due figli di Zebedeo, in particolare, sono rimproverati aspramente da Gesù quando invocano un fuoco dal cielo per punire chi non li ha accolti (cf. Lc 9,54-55); e sempre essi, al Getsemani, dormono insieme a Pietro. Ma c’è di più, e Marco lo sottolinea in modo implacabile: coloro che qui, “abbandonato tutto seguirono Gesù”, nell’ora della passione, “abbandonato Gesù, fuggirono tutti” (Mc 14,50)…

Povera sequela! Sì, la mia sequela, la tua sequela, caro lettore. Non abbiamo davvero molto di cui vantarci… Dobbiamo solo invocare da parte di Dio tanta misericordia e ringraziarlo perché, nonostante tutto, stiamo ancora dietro a Gesù e tentiamo ancora, giorno dopo giorno, di vivere con lui.

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Attorno ad un sogno
Commento di Don Antonio Savone

Passando… vide… chiamò…

La storia dell’uomo, di ogni uomo sotto il cielo, potrebbe essere letta secondo la categoria della chiamata, ne sia consapevole o meno. Non è forse così per il venire alla luce? Nessuno ha deciso da sé tempi e modi di venire al mondo. E tuttavia, se nessuno ha scelto di venire al mondo perché Qualcuno ci ha chiamati all’esistenza, è altrettanto vero che al mondo non ci si resta se non decidendo di rimanerci e come rimanerci.

Si decide di rimanerci quando si lasciano parlare avvenimenti e incontri (la cui lettura non è univoca ma sempre personale), quando si conferisce diritto di parola persino a uno sguardo, a un gesto, a un atteggiamento, al tono della voce, quando nulla è letto come irrilevante o banale. Ripenso alla mia vocazione: nulla di eclatante o di fulmineo. Avevo poco più di 5 anni quando un giorno rimasi colpito dal mio parroco venuto a casa con uno stuolo di ragazzi per la benedizione delle famiglie. Avrei voluto essere anch’io tra di loro e lui me lo permise. E da lì…

Cosa avrà avuto di diverso quell’uomo di Nazareth rispetto ad altri che pure erano passati nella vita dei primi quattro chiamati? Apparentemente nulla. Eppure, quel suo sguardo registrato nella memoria del cuore dei discepoli, prima ancora che nella pagina evangelica, deve aver avuto un che di diverso. Ci sono sguardi e sguardi: c’è lo sguardo che fulmina, inchioda, condanna e c’è lo sguardo che dà fiducia, promuove, riscatta, riabilita.

Quello sguardo ha detto molto più di qualsiasi dichiarazione. E i quattro hanno colto in quello sguardo una chiamata per loro. Quello sguardo deve aver visto non solo ciò che essi erano ma ciò che potevano diventare. Ed essi si sono lasciati interpellare da quello sguardo. Lasciar parlare lo sguardo. Non accadrà lo stesso a un altro giovane del vangelo, che pure sarà guardato alla stessa maniera, ma preferirà rimanere attaccato alle sue cose.

Passando… vide… chiamò…

Un bel giorno, come d’improvviso, si ritrovano strappati alle loro occupazioni quotidiane mentre danno corso a un invito alla sequela di cui probabilmente comprendono ben poco. Cosa vorrà dire, infatti, quella promessa da parte di Gesù, di diventare pescatori di uomini invece che di pesci? Seguono senza chiedere spiegazioni e senza esigere garanzie. Il seguito del vangelo, infatti, non tacerà la loro fatica a comprendere, eppure osano aprire un credito di fiducia. Evidentemente occorre molto coraggio per lasciare un già e affidarsi all’oscurità di qualcosa di incerto.

Lasciare, perdere, andare, sono verbi che coniughiamo a fatica, eppure sono i verbi che il vangelo più mette a tema, sono i verbi che fa propri chi riconosce che la vita è una chiamata continua, chi non si accontenta di ciò che ha raggiunto, chi continua a esplorare i territori dell’inedito, chi appartiene alla razza degli scopritori: Beati gli inquieti, diventeranno scopritori di tesori! Solo degli uomini capaci di custodire un’attesa nel loro cuore, potevano credere che quello fosse il momento di fidarsi affidandosi.

Quei quattro dovevano essere persone che sapevano far parlare la vita (il mestiere più difficile) se saranno disposti a lasciare le reti, non soltanto quelle del loro mestiere ma quelle del buon senso, del calcolo, della prudenza.

Passando… vide… chiamò…

Continua a passare e chiama. Chiama attraverso l’intuizione che abita il tuo cuore; chiama mentre ti apri con fiducia al dono dell’amicizia, alla forza di un legame; chiama mentre un’angoscia visita i tuoi pensieri; chiama mentre un momento di stanchezza o di fatica ti visita; chiama mentre ti è portato via qualcuno su cui contavi; chiama nel momento in cui devi sciogliere le vele.

Ne sente la voce chi è capace di slanci audaci e non già di attaccamenti impauriti, chi è disposto a condividere e non già ad accumulare per sé, chi non è vittima di abbarbicamenti o di preoccupazioni affannate, chi è capace di fondare la consistenza della propria vita su qualcosa che non marcisce e non si consuma.

L’opera di Dio si compie laddove ci sono persone capaci di lasciare il porto sicuro del passato per esplorare le vie evangeliche del sogno di Dio.

Forse quel giorno non fu difficile lasciare le reti e il padre. A mano a mano che condivideranno la vita con il Maestro, verrà chiesto loro molto di più: abbandonare la loro idea su Dio, che era proprio quella per cui avevano abbandonato tutto. Dovranno abbandonare i propri progetti e “lasciarsi sorprendere e plasmare dall’inatteso di Dio, nelle cui mani affidabili soltanto sta il segreto di ogni vita”. Mai conclusa, infatti, l’operazione di vendita dei propri beni per acquistare la perla di grande valore che è Gesù Cristo e il suo sogno sul mondo. Fino alla fine ci sarà da lasciare qualcosa.

Probabilmente, accostando il vangelo, ci vien quasi da sorridere nel constatare quanto infruttuoso sia stato l’insegnamento di Gesù nei confronti dei discepoli. Ci sembrano degli irriducibili ottusi. E tuttavia, la loro vicenda mette a tema il nostro giocare al cristianesimo, come Kierkegaard definirà brillantemente.

Noi conosciamo sin da subito ciò che essi impareranno a fatica. Apparteniamo alla categoria di quelli che sanno tutto su Gesù, sul vangelo, ma apparteniamo altrettanto a quelli che credono? Noi capiamo ciò che invece sfugge ai discepoli, ma forse seguiamo?

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Il Regno e la guarigione dal male di vivere
Il Vangelo, a cura di Ermes Ronchi

Marco ci conduce al momento sorgivo e fresco del Vangelo, a quando una notizia bella inizia a correre per la Galilea, annunciando con la prima parola: il tempo è compiuto, il regno di Dio è qui. Gesù non dimostra il Regno, lo mostra e lo fa fiorire dalle sue mani: libera, guarisce, perdona, toglie barriere, ridona pienezza di relazione a tutti, a cominciare dagli ultimi della fila. Il Regno è Dio venuto come guarigione dal male di vivere, come fioritura della vita in tutte le sue forme.

La seconda parola di Gesù chiede di prendere posizione: convertitevi, giratevi verso il Regno. C’è un’idea di movimento nella conversione, come nel moto del girasole che ogni mattino rialza la sua corolla e la mette in cammino sui sentieri del sole. Allora: “convertitevi” cioè “giratevi verso la luce perché la luce è già qui”. Ogni mattino, ad ogni risveglio, posso anch’io “convertirmi”, muovere pensieri e sentimenti e scelte verso una stella polare del vivere, verso la buona notizia che Dio oggi è più vicino, è entrato di più nel cuore del mondo e nel mio, all’opera con mite e possente energia per cieli nuovi e terra nuova. Anch’io posso costruire la mia giornata su questo lieta certezza, non tenere più gli occhi bassi sui miei mille problemi, ma alzare il capo verso la luce, verso il Signore che mi assicura: io sono con te, non ti lascio più, non sarai mai più abbandonato. Credete “nel” Vangelo. Non al, ma nel Vangelo. Non basta aderire ad una dottrina, occorre buttarsi dentro, immergervi la vita, derivarne le scelte.

Camminando lungo il lago, Gesù vide… Vede Simone e in lui intuisce Pietro, la Roccia. Vede Giovanni e in lui indovina il discepolo dalle più belle parole d’amore. Un giorno, guarderà l’adultera trascinata a forza davanti a lui, e in lei vedrà la donna capace di amare bene di nuovo. Il Maestro guarda anche me, nei miei inverni vede grano che germina, generosità che non sapevo di avere, capacità che non sospettavo, lo sguardo di Gesù rende il cuore spazioso. Dio ha verso di me la fiducia di chi contempla le stelle prima ancora che sorgano.

Seguitemi, venite dietro a me. Gesù non si dilunga in motivazioni, perché il motivo è lui, che ti mette il Regno appena nato fra le mani. E lo dice con una frase inedita: Vi farò pescatori di uomini. Come se dicesse: “vi farò cercatori di tesori”. Mio e vostro tesoro sono gli uomini. Li tirerete fuori dall’oscurità, come pesci da sotto la superficie delle acque, come neonati dalle acque materne, come tesoro dissepolto dal campo. Li porterete dalla vita sommersa alla vita nel sole. Mostrerete che è possibile vivere meglio, per tutti, e che il Vangelo ne possiede la chiave.