I-IV Settimana del Tempo Ordinario (anno dispari)
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Lettera agli Ebrei (2)
Le esortazioni nella Lettera agli Ebrei
Meditazioni bibliche di don Claudio Doglio
Crescere nella fede (Eb 4,12 – 6,20)
Affrettiamoci dunque a entrare in quel riposo perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza. Il riposo di cui l’autore della Lettera agli Ebrei parla credo che possa essere identificato con la serenità della nostra vita. Un atteggiamento equilibrato di vita dove in qualunque situazione, nel momento presente, nonostante tutte le difficoltà che possono esserci, c’è quella pace profonda e quella soddisfazione nelle cose che si fanno. Questa situazione umana di pace, gioia e serenità interiore è legata profondamente a Dio, è il riposo di Dio, non è semplicemente la quiete pigra del mio carattere; entrare nel riposo di Dio significa lasciare che Dio abbia davvero il primato nella mia esistenza, prenda in mano lui le redini della mia vita.
La parola di Dio: una spada affilata
4,12Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. 13Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto.
La parola di Dio è paragonata a una spada, una spada che trapassa la persona. Avete probabilmente in mente l’immagine tradizionale della Addolorata con la spada nel cuore; deriva dalla profezia di Simeone: “A te una spada trapasserà l’anima” (Lc 2,35). Molto probabilmente il riferimento è proprio alla parola di Dio, è l’esperienza stessa della fede di Maria, dell’accoglienza della parola che ha trapassato la sua anima. Non si tratta semplicemente del dolore, si tratta della capacità di affrontare una situazione difficile, contraria alle proprie aspettative. In molti modi Maria ha dovuto affrontare una situazione differente da quella che si aspettava, dall’inizio alla fine.
La parola di Dio è una spada affilata a doppio taglio, taglia da tutte le parti; non è un discorso così semplice, piacevole e irenico.
L’ascolto della parola di Dio prima di dare quiete e pace dà sofferenza, la parola di Dio taglia, è una parola tagliente, ma noi non dobbiamo avere paura di lasciare che la parola di Dio tagli la nostra vita. Se ne smussiamo il filo e la rendiamo non più tagliente diventa inutile. Essa è viva ed efficace nel senso che ha una sua vitalità e produce degli effetti.
Non possiamo nasconderci, è inutile che tentiamo vanamente di coprire la nostra persona con le nostre idee, con i nostri schemi, con le illusioni, le fissazioni che abbiamo noi come se la parola di Dio non potesse raggiungerci. Arriva infatti fino al profondo del nostro essere, là dove neanche noi sappiamo andare. Dio ci conosce meglio di quanto ciascuno di noi conosca se stesso e non possiamo nasconderci davanti a lui. Tutto è scoperto ai suoi occhi, egli sa come siamo, conosce tutto di noi; conosce anche tutti i pensieri reconditi, conosce quanto siamo malati dentro, conosce la deformazione della nostra persona.
Per colmare la sua predica l’autore aggiunge: “a lui noi dobbiamo rendere conto” e non è un giudice che abbia bisogno di interrogare per venire a conoscere la verità, la sa già. Non è neppure indifferente il fatto che Dio conosca tutti i nostri limiti e difetti perché questo porta a una consapevolezza di resa dei conti.
Di fronte a questo discorso – che sembra quello del Dio giudice severo e incorruttibile – si pone proprio il grande annuncio che l’autore della Lettera agli Ebrei trasmette a noi. Di fronte però a questo giudizio severo si pone innanzitutto il grande sommo sacerdote che noi abbiamo: Gesù Figlio di Dio.
14Dunque, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. 15Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità: essendo stato lui stesso provato in ogni cosa come noi, escluso il peccato. 16Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, ed essere aiutati al momento opportuno.
Notiamo come è cambiato il tono. Per poter cogliere la misericordia di Dio dobbiamo però avere chiaro il ruolo di Dio e la nostra indegnità; se noi appiattiamo il tutto sviamo anche la misericordia di Dio. Dio è buono con noi nonostante ci conosca bene, Dio è misericordioso nonostante sappia quali profondi difetti abbiamo dentro di noi, quali sono i limiti del nostro carattere, qual è la nostra pigrizia. Egli conosce bene la nostra testa dura e ci vuole bene; non dice “non è vero che sei una testa dura”, non dice “lasciamo perdere”, ma prende in considerazione tutti i limiti, i vuoti, i buchi che ho.
Dalla nostra parte abbiamo però il grande sacerdote che ha sperimentato la nostra infermità, la nostra debolezza ed è dalla nostra parte. Quindi con fiducia possiamo accostarci al trono della grazia, non il trono della verifica della nostra fedeltà, del giudizio tremendo, ma il trono della grazia e possiamo accostarci con fiducia, con piena fiducia sicuri di trovare misericordia e venire aiutati al momento giusto, secondo il suo modo di gestire il tempo. Dopo aver dedicato alcuni versetti per sottolineare l‟aspetto misericordioso del sommo sacerdote Gesù, l’autore riprende l’esortazione.
Siete tornati bambini
Nella struttura della Lettera agli Ebrei qui inizia la terza parte, il grande discorso centrale su sacerdozio di Cristo e difatti l’autore lo introduce proprio con il sistema retorico.
5,11Su questo argomento abbiamo molte cose da dire, difficili da spiegare perché siete diventati lenti a capire.
Non risparmia la frecciata al suo uditorio e la prendiamo anche noi come frecciata pedagogica. “Siete diventati lenti nell’ascolto”. Non dice che siamo tardi di comprendonio, non dice che di natura siamo nella difficoltà di capire, ma sottolinea il peggioramento rispetto a una volta; ci dice che negli ultimi tempi siamo peggiorati. È lo Spirito Santo, è la parola tagliente che Dio rivolge a noi e ci dice che la difficoltà di questo mistero del sacerdozio misericordioso di Cristo sta nel fatto che noi siamo diventati pigri nell’ascoltare.
12Infatti mentre dovreste essere ormai maestri per ragioni di tempo, avete di nuovo bisogno che qualcuno v’insegni i primi elementi degli oracoli di Dio e siete diventati bisognosi di latte e non di cibo solido.
Anziché andare avanti siete tornati indietro, avreste dovuto essere maestri. In un impegno di crescita, dopo lungo tempo di vita cristiana o di vita religiosa, dovreste aver raggiunto un buon livello, invece siete tornati indietro. C’è sempre bisogno di ricominciare da capo. È possibile? Avete bisogno di latte come i bambini?
13Ora, chi si nutre ancora di latte è ignaro della dottrina della giustizia, perché è ancora un bambino. 14Il nutrimento solido invece è per gli adulti che, per la pratica, hanno le facoltà esercitate a distinguere il buono dal cattivo.
Se nei vangeli si sottolinea la necessità di essere bambini di fronte al regno di Dio, si intende una qualità del bambino, ma non in senso totale; in questo caso infatti il tornare bambini corrisponde molto bene a quello che noi chiamiamo rimbambimento e non è una virtù evangelica essere rimbambiti. L’autore vuole proprio dire tornare bambini, è una degenerazione della mente umana; gli anziani tornano un po’ bambini e se c’è una perdita anche delle facoltà dell’intelligenza si rimbambisce.
Qui l’autore sta utilizzando questo tipo di rimprovero, sta dicendo infatti alla sua gente “siete rimbambiti”, avete preso gli atteggiamenti negativi dei bambini: l’insicurezza, la leggerezza, l’incostanza; è quell’atteggiamento che noi chiamiamo infantilismo e non è una virtù. Può essere anche l’atteggiamento capriccioso del bambino e anche questo è infantilismo.
La fiducia e l’abbandono nelle mani del papà o della mamma è un aspetto positivo del bambino, la tensione al futuro come dimensione della crescita è un altro aspetto positivo del bambino, ma il bambino ha anche tante caratteristiche negative, proprio quello che qualifichiamo come atteggiamento infantile di un adulto: la non responsabilità, la non maturità, l’incapacità di controllo, di temperanza, di sopportazione.
Qui la parola di Dio sta tagliando la nostra carne rimproverandoci di essere infantili e molte volte questo è un rischio autentico proprio dei nostri ambienti religiosi. Un problema di fondo, secondo me, è l’immaturità umana. Per essere un buon prete bisogna innanzitutto essere un uomo maturo, ugualmente per essere una buona suora bisogna innanzitutto essere una donna matura; se non c’è l’umanità, la femminilità matura, da grande – non da bambina semplicemente invecchiata – non c’è la possibilità di una autentica vita religiosa. A volte ci può essere il gioco infantile che comporta certi riti, certi atteggiamenti, con tutti i problemi che una situazione comporta, perché bambini non lo siamo più. Un atteggiamento infantile in un contesto di adulti produce quindi solo sofferenza. Io temo che di fronte agli autentici problemi che il nostro mondo ha, di fronte alla situazione dolorosa e faticosa che tante persone devono affrontare nel mondo, noi rischiamo di perderci dietro a delle sciocchezze e a far diventare problemi delle banalità, per cui assolutizziamo delle piccole cose che fanno parte della nostra vita, della comunità, della situazione normale e le facciamo diventare dei castelli molto gravi e pericolosi.
Con l’idea che dobbiamo far bene tutte le piccole cose di ogni giorno diamo talmente peso alle piccole cose che non ci accorgiamo più delle grandi. Dobbiamo stare attenti che non si realizzi per noi quello che Gesù dice ai farisei “filtrate il moscerino e ingoiate il cammello”. Rischiamo infatti di filtrare i moscerini, di essere pignoli e minuziosi nelle piccole cose, nel fare la punta a tutto: “mi ha guardato male, mi ha risposto con quella parola che non doveva”. Filtriamo il moscerino e poi ingoiamo cammelli interi. Sentiamolo su di noi il rimprovero autentico e cogliamo l’occasione di una revisione di vita.
Se però è vero che siamo infantili, da soli non ce ne accorgiamo; dobbiamo quindi lasciarci aiutare e il primo passo per accogliere davvero un invito del Signore a maturare è quello di accettare la correzione fraterna, di lasciare che gli altri ci aiutino a crescere: lasciare che gli altri influenzino la mia vita, che la formino. Non è detto che si atteggino proprio a maestri, ma è sufficiente qualche cosa che mi viene detto, che mi tocchi e che resti come un messaggio formatore.
C’è invece il rischio che tutto passi nella nostra vita come acqua sul marmo, che tutto entri da un orecchio ed esca dall’altro e tutto resti sempre come prima, tutto sempre uguale, immutabile: belle parole, ma solo parole. Gli esercizi allora sono quella cosa che dopo una settimana si è come prima. Se la nostra persona non matura niente serve, non servono a nulla tutte le messe che celebriamo, tutte le preghiere che diciamo e non serve a niente tutta l’attività che facciamo. La colpa non è però della messa, o della preghiera o dell’attività, la colpa è mia, perché mi sono rimbambito, mi sono chiuso nel mio atteggiamento infantile da cui non voglio uscire. Non so distinguere il buono dal cattivo: è l’atteggiamento, l’elemento caratteristico della maturità distinguere il bene dal male.
Un monito fortissimo
6,1 Perciò, lasciata da parte l’istruzione iniziale su Cristo, passiamo a ciò che è più completo, senza gettare di nuovo le fondamenta della rinuncia alle opere morte e della fede in Dio, 2della dottrina dei battesimi, dell’imposizione delle mani, della risurrezione dei morti e del giudizio eterno. 3Questo noi intendiamo fare, se Dio lo permette.
L’autore sta dicendo di voler affrontare un argomento nuovo e chiede una capacità di attenzione, di crescita, di disponibilità perché non vuole ripartire dagli elementi di base della predicazione evangelica.
Voglio sottolineare un solo aspetto, quello del plurale della parola battesimo: “la dottrina dei battesimi”. È possibile proprio che – strettamente legata alla rinuncia delle opere morte e della fede in Dio – l’autore faccia riferimento a quelli che poi nella tradizione patristica saranno chiamati i due battesimi: il battesimo dell’acqua e il battesimo delle lacrime, cioè della penitenza come il secondo battesimo, la reiterazione del battesimo.
Subito dopo, però, dà una indicazione molto dura. Questi versetti dobbiamo leggerli con attenzione e lasciarci anche un po’ spaventare da queste frasi. Non sempre la parola di Dio consola, questa spaventa.
4Quelli che furono una volta illuminati, gustarono il dono celeste, diventarono partecipi dello Spirito Santo 5e gustarono la buona parola di Dio e le meraviglie del mondo futuro 6e che tuttavia sono caduti, è impossibile rinnovarli una seconda volta portandoli alla conversione, dal momento che per loro conto essi crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all’infamia.
Il versetto 4 nell’originale greco inizia proprio con l’espressione: «adýnaton» “impossibile”. Poi troviamo una descrizione per sommi capi della iniziazione cristiana. Gli illuminati sono coloro che hanno ricevuto il battesimo, che hanno ricevuto la luce della vita nuova, che hanno gustato il dono celeste. Il riferimento è chiaramente all’eucaristia per cui costoro sono diventati partecipi dello Spirito Santo, della cresima, i sacramenti della iniziazione che hanno permesso di gustare la buona parola di Dio. Hanno trovato gusto nella parola, si sono entusiasmati, innamorati della parola e hanno gustato le meraviglie del mondo futuro, hanno cominciato ad assaporare la bellezza del compimento che Dio sta preparando.
“Costoro, una volta che sono caduti, non possono più essere rinnovati a conversione”. Non intende dire – io penso, secondo la tradizione della chiesa – che chi commette un grave peccato dopo il battesimo non può più essere perdonato; anche la chiesa antica dava una possibilità di celebrazione della penitenza pubblica. Se uno sbagliava gravemente una seconda volta poteva solo affidarsi alla misericordia di Dio, ma dalla chiesa veniva escluso per sempre. Qui l’autore sembra voler dire: non c’è possibilità di rinnovamento in un altro modo; se non è servito tutto l’itinerario sacramentale che abbiamo già fatto, non illudiamoci che ci siano altre strade che ci possano cambiare.
Qual è il metodo per trovare la soluzione? È quello del battesimo, della cresima, della eucaristia, è il metodo vecchio, c’è già quello e se non è servito quello non c’è nient’altro. Non ce lo dirà nessun predicatore, nessuno avrà il segreto; se i doni sacramentali che abbiamo già ricevuto non operano in bene come trasformazione della nostra vita, non serve nient’altro, non c’è altra strada. È impossibile rinnovarli, renderli nuovi portandoli a una conversione se, nonostante questi doni di grazia, i peccatori recidivi non si lasciano profondamente cambiare. Questo significa che abbiamo già tutto quello che è necessario per la salvezza. Tutti i doni di grazia necessari per diventare santi li abbiamo già; non abbiamo da aspettare ancora qualche cosa di più, non andiamo a cercare nuove rivelazioni, nuove energie, nuove potenzialità, abbiamo già il massimo.
C’è però il rischio che noi stessi, illuminati, partecipi dello Spirito, dopo aver gustato il dono celeste, crocifiggiamo per conto nostro il Figlio di Dio esponendolo all’infamia, deridendolo pubblicamente. Una parola del genere deve farci paura, perché non stiamo giocando, stiamo vivendo una questione seria, fondamentale: è una questione di vita o di morte. Proprio come comunità cristiana rischiamo di prendere in giro Gesù Cristo, rischiamo di presentarlo in modo falso, rischiamo di metterlo in croce. Era un luogo comune, molto utilizzato da tanti predicatori, quello del rimettere in croce il Cristo con i nostri peccati. Può essere banalizzato o può anche essere preso sul serio; non è il mio peccato, il mio atteggiamento, la piccola cosa che posso compiere, ma è l’insieme della nostra vita che può comportare un rifiuto del Cristo, un nostro rinnegamento dell’alleanza.
7Quando infatti una terra imbevuta della pioggia abbondante produce erbe utili a quanti la coltivano, viene a godere della benedizione da parte di Dio; 8ma se produce pruni e spine, non ha alcun valore ed è prossima alla maledizione: sarà infine arsa dal fuoco!
Noi abbiamo ricevuto abbondante pioggia, ma il nostro terreno produce erba, è diventato un bel prato o ha prodotto pruni e spine? Che cosa sta producendo la nostra vita? Chi ci incontra percepisce la bellezza del prato fiorito o del roveto di spine? Chi vive con noi, fa l’esperienza di una vita serena, feconda, amabile o fa l’esperienza di una acidità, di una tensione, di un atteggiamento spinoso e pungente? Quante spine ci sono nelle nostre comunità, quante frecciate. Diceva un mio amico – commentando il salmo che dice “Beato l’uomo che piena ne ha la faretra” – ne ho piena la faretra, per questo tiro molte frecciate”. Ma allora a che punto siamo se abbiamo solo una faretra piena di frecce da tirare a destra e a sinistra? Siamo pruni e spine? I contadini bruciano, tagliano questi arbusti, danno fastidio, non servono a niente.
La pigrizia spirituale
9Quanto a voi però, carissimi, anche se parliamo così, siamo certi che ci sono in voi condizioni migliori e che portano alla salvezza.
Meno male! Ha moderato un po’ il tono; era andato giù duro, adesso dice: non generalizziamo, siamo convinti che in voi ci sono delle condizioni migliori, delle condizioni che portano alla salvezza.
10Dio infatti non è ingiusto tanto da dimenticare il vostro lavoro e la carità che avete dimostrato verso il suo nome, con i servizi che avete reso e che rendete tuttora ai santi.
Quindi tutto il bene che avete fatto e che continuate a fare il Signore lo conosce. I santi qui sono tutti i cristiani, la comunità. Fate del bene, il Signore lo sa e ne tiene conto, non l’ha dimenticato. Il rimprovero che vi viene mosso non è però per il bene che avete fatto, ma per il male che c’è ancora dentro di voi. Non nascondetevi dietro al bene che fate, come se quello fosse un paravento sufficiente per nascondere il marcio che avete dentro. Sotto gli occhi di Dio tutto è nudo e scoperto e non è che una serie di azioni fatte possano coprire l’essere. Abbiate il coraggio di andare a fondo e di guardare quello che c’è sotto: le intenzioni, le motivazioni che hanno spinto alle azioni.
11Soltanto desideriamo che ciascuno di voi dimostri il medesimo zelo perché la sua speranza abbia compimento sino alla fine,
Lo stesso zelo, lo stesso impegno che avete nel fare le cose mettetelo nella speranza, cioè nell’attesa, nella prospettiva ulteriore; non perdetevi nel temporaneo, tendete all’eterno, inserite la prospettiva dell’eterno nel tempo che vivete, non accontentatevi del fare, coprendo l’essere; è l’essere che resterà per l‟eternità. Il fare finirà, non avrete più niente da fare, resterà solo l’essere.
12perché non diventiate pigri, ma piuttosto imitatori di coloro che con la fede e la perseveranza divengono eredi delle promesse.
Il rischio della comunità a cui si rivolge l’autore della lettera è quello di diventare pigra e il nostro rischio è lo stesso. È la pigrizia spirituale che è molto pericolosa, come se, passando il tempo, fosse automatico che siamo migliorati. L’entusiasmo della santità, del raggiungimento dell’ideale, forse ci ha lasciato. È una terribile tentazione quella della pigrizia spirituale, del fermarsi, dell’andare avanti così come siamo, con l’illusione che abusa della misericordia di Dio: “Intanto il Signore è buono, intanto va bene tutto, intanto è lo stesso”. È l’atteggiamento della pigrizia spirituale che va contro la perseveranza.
La promessa di Dio è sicura
Per diventare eredi delle promesse – dice l’autore – è necessaria la fede e la perseveranza.
13Quando infatti Dio fece la promessa ad Abramo, non potendo giurare per uno superiore a sé, giurò per se stesso 14dicendo: Ti benedirò e ti moltiplicherò molto. Abramo, avendo perseverato, conseguì la promessa. 16Gli uomini infatti giurano per qualcuno maggiore di loro, e per essi il giuramento è una garanzia che pone fine a ogni controversia. 17Perciò Dio, volendo mostrare più chiaramente agli eredi della promessa l’irrevocabilità della sua decisione, intervenne con un giuramento, 18perché, grazie a due atti irrevocabili, nei quali è impossibile che Dio mentisca, noi, che abbiamo cercato rifugio in lui, avessimo un grande incoraggiamento nell’afferrarci saldamente alla speranza che ci è stata offerta.
Adesso l’autore calca la mano su questa sicurezza della promessa di Dio. Dio si è impegnato, per noi Dio si è impegnato nel battesimo in modo irrevocabile: “ha preso un impegno per la nostra santità”. Questo significa che è possibile il raggiungimento della piena maturità umana e cristiana; è possibile perché Dio si è impegnato.
Questa possibilità, che nasce dall’impegno irrevocabile di Dio, non prescinde però dalla nostra collaborazione, quindi non stanchiamoci. Questa sicurezza basata sulla promessa è un incoraggiamento alla speranza.
19In essa infatti abbiamo come un’àncora sicura e salda per la nostra vita:
Ecco l’immagine della speranza come àncora che è entrata in tanta simbologia cristiana. È un’àncora sicura e salda…
essa penetra fin nell’interno del velo del santuario,
È una immagine ardita. Il peccatore che àncora la propria barca getta l’àncora per bloccarsi, per essere saldo, fermo, sicuro. Questa àncora gettata entra nel Santo dei Santi, entra alla presenza di Dio, nel paradiso stesso. Siamo ancorati al paradiso, quindi la nostra barchetta, nonostante tutto, è ancorata saldamente. Basta tenere il capo di questa corda e tenerlo ben stretto; in questo modo possiamo arrivare. Bisogna però tirare. Dentro il santuario…
20Gesù è entrato per noi come precursore, essendo divenuto sommo sacerdote per sempre alla maniera di Melchìsedek.
Con abilità retorica l’autore termina con la parola Melchisedek e tutto il capitolo 7 sarà dedicato a Melchisedek.