Lunedì – Giovedì della XX settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
IL LIBRO DEI GIUDICI
P. Francesco Rossi de Gasperis
Settima riflessione
(…) Nella pagina che leggeremo oggi c’è una sfida particolare. Incontriamo una storia diversa dalle altre, tant’è vero che occupa quattro capitoli (cc. 13-14-15-16). È certamente la storia più lunga e più densa tra quelle offerte dal libro dei Giudici, ed è la storia di Sansone.
Dovremo innanzitutto capire perché questa vicenda sia così importante, perché i redattori della Bibbia le abbiano dato tanto rilievo e tanta estensione. Una seconda domanda, poi, riguarda che cosa dice a noi questa storia, partendo dal Nuovo Testamento. In altre parole: che relazione ha Gesù con questa storia? In che senso Gesù ci dice di esserne il compimento? Il compimento non significa che essa viene cancellata, ma che ne viene espresso tutto il significato.
È davvero importante capire bene il termine ‘compiere’. Portare a compimento vuol dire rivelare tutto il senso di questa storia contemplata nell’insieme dell’intera storia biblica, di tutta la storia della salvezza. Fin dal primo giorno abbiamo fatto cenno alla lettera agli Ebrei, che oggi va ripresa per le avventure di Sansone. Dopo averci ricordato i patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe, l’autore della lettera dice: «E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo se volessi narrare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti» (Eb 11,32). Ci sono parecchi passi, in questo testo, che riguardano direttamente Sansone, come, ad esempio: «Per fede essi conquistarono regni, esercitarono la giustizia, ottennero ciò che era stato promesso, chiusero le fauci dei leoni, spensero la violenza del fuoco, sfuggirono alla lama della spada, trassero vigore dalla loro debolezza, divennero forti in guerra…» (vv. 33- 34). Tutto è fatto per fede, e questa fede è compiuta nella fede di Gesù.
Cominciamo a leggere questa storia di Sansone per intero, perché ci viene presentata dalla sua nascita alla sua morte, poi ci domanderemo che senso abbia, sia nella composizione del libro, sia nella lettura cristiana, quella stessa lettura che ha fatto Gesù ai due viandanti di Emmaus: «Cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24,27).
L’itinerario è sempre lo stesso e parte dal peccato di Israele. Siamo al cap. 13,1ss: «Gli Israeliti tornarono a fare quello che è male agli occhi del Signore e il Signore li consegnò nelle mani dei Filistei per quarant’anni». Innanzitutto bisogna notare i numeri presenti in questa storia: sono numeri di pienezza, come il ‘quarant’anni’ che indica un lungo tempo. Ricordano i quarant’anni dell’esodo nel deserto). Poi incontriamo un popolo nuovo, mai menzionato prima: i Filistei. Essi sono stati i nemici più minacciosi e temibili per Israele.
Finora abbiamo visto che per Israele i pericoli vengono da est, dall’oriente, cioè dal deserto, la zona che oggi è la Transgiordania (Madianiti, Ammoniti, Moabiti). Sono popoli nomadi e sono pericolosi perché, non avendo un loro territorio, vanno razziando nei territori che attraversano; sono popoli primitivi che non vivono di coltivazione della terra, ma nella stagione buona depredano i prodotti agricoli delle popolazioni stanziali, aggredendo e uccidendo.
Ma i Filistei sono diversi: vengono da occidente, dal Mar Mediterraneo, e sono delle popolazioni greche cacciate dai movimenti dei popoli dei Balcani, soprattutto dai Dorici. Sono emigrate nei paesi più vicini, e la terra d’Israele (geograficamente la Palestina) è uno di questi. ‘Filistei’ è il termine da cui verrà poi ‘Palestinesi’.
I Filistei, dunque, sbarcano sulla costa mediterranea della Palestina, in una zona che appartiene all’Egitto – perché è proprio il corridoio che unisce l’Egitto con l’Asia –, e rimangono sempre vassalli degli Egiziani. Sono praticamente delle popolazioni greche, e quindi occidentali, di cui gli Egiziani si servono per dominare quella vallata lungo la costa marittima. È un territorio molto conteso perché è una via commerciale e politica di primaria importanza tra l’Africa e l’Asia. Viene chiamato “via del mare”, anche se non è una strada. In questo paese le strade le hanno costruite solo più tardi i Romani e prima la ‘strada’ era un passaggio in una valle o in una pianura. La via del mare giungeva in Galilea, sopra e sotto il lago, e da Damasco si arrivava a Babilonia e da Babilonia all’India. Per questo motivo è stata una delle vie di transito più importanti del mondo antico, fino all’invasione araba, che ha rotto le comunicazioni tra l’Africa e l’Asia e tra l’Europa e l’Asia (VII-VIII secolo d.C).
I filistei erano più progrediti degli israeliti, più evoluti e quindi più potenti. Il primo libro di Samuele, riferendosi al tempo della monarchia di Saul dice: «Allora non si trovava un fabbro in tutta la terra d’Israele, “perché – così dicevano i Filistei – gli Ebrei non fabbrichino spade o lance”. Così gli Israeliti dovevano sempre scendere dai Filistei per affilare ognuno l’aratro o la zappa o la scure o il vomere dell’aratro. Il prezzo era di un pim per l’aratro e le zappe, e di un terzo di siclo per le scuri e per raddrizzare il pungolo. Nel giorno della battaglia, tra tutta la gente che stava con Saul e Giònata non si trovò in mano ad alcuno né spada né lancia. Se ne trovò solo per Saul e suo figlio Giònata» (1Sam 13,19-22). Quindi dalla parte degli israeliti solo il re e il principe avevano una spada di ferro, mentre gli altri avevano armi di bronzo o di ottone. Era quindi già una situazione di prevalenza dei filistei sugli israeliti, perché quelli conoscevano la lavorazione del ferro.
Siamo appunto nell’età del ferro (1200-1100 a.C.), al tempo delle invasioni greche sulle coste mediterranee. I filistei avevano fondato una ‘pentapoli’, cioè cinque città lungo la costa, sotto il loro dominio, e controllavano questo passaggio per conto dell’Egitto.
La storia di Sansone concerne un territorio che va dalla costa alle colline dell’interno. (Oggi corrisponderebbe alla zona dell’aeroporto: Tel-Aviv, Gaza…). È la pianura più fertile. All’interno poi comincia la salita a 15 chilometri dal mare, salita che va verso i monti della Giudea fino ai 1000 metri, dove ci sono Gerusalemme, Betlemme, Sichem.
Secondo il libro di Giosuè gli israeliti si sono divisi il paese secondo le dodici tribù, ma nel libro dei Giudici abbiamo letto che queste dodici tribù non sono mai riuscite ad occupare tutto il loro territorio, perché le popolazioni precedenti, i Cananei, sono rimaste come un pungolo nel fianco del popolo di Dio. Ma qui il pungolo non viene soltanto dalle popolazioni precedenti, ma anche dagli invasori che arrivano dall’occidente. La tribù di Dan aveva ricevuto da Giosuè proprio la zona dalla costa all’interno, ma pare che non abbia mai occupato questo territorio perché era già occupato da altri. Si leggerà più avanti che la tribù di Dan si sposterà a nord, non riuscendo a conquistare la terra che le era stata destinata.
Nel passo che stiamo leggendo, vediamo che gli israeliti sono stati dominati dai filistei per quarant’anni, cioè per un lungo periodo. Molto probabilmente la storia di Sansone suppone già che tutta la tribù di Dan si è mossa verso il nord, ma la cosa non è chiara. Pare che Sansone viva in una parte della tribù di Dan rimasta assoggettata ai filistei, in un territorio collinoso tra la pianura e la montagna chiamato con un termine che significa “la zona bassa”, cioè la zona delle colline basse.
I filistei, dopo aver occupato la pianura, puntano a stendere il loro dominio verso la montagna, che invece è occupata dagli israeliti che vorrebbero scendere nella pianura. È sulla linea di confine che si svolge questa lotta terribile tra israeliti e filistei, lotta che continuerà poi al tempo di Saul e di Davide. Ci sono tante ragioni di contatto tra questi due popoli così diversamente evoluti.
Ognuna delle città della pentapoli ha il suo re, il suo esercito ben armato. Gli israeliti sono sulle colline e vivono in modo molto precario a causa di un’occupazione esposta alla presenza delle popolazioni precedenti.
«C’era allora un uomo di Sorea, della tribù dei Daniti, chiamato Manòach» (Gdc 13,2). Nella Bibbia sono molto importanti i nomi; questo ricorda Nòach, cioè Noè. E ‘Noè’, nell’etimologia popolare, indicava una persona che dava pace al suo popolo («Costui ci consolerà del nostro lavoro e della fatica delle nostre mani, a causa del suolo che il Signore ha maledetto» – Gen 5,29). Noè vuol dire ‘pace’, e Manòach è lo stesso nome. Il papà di Sansone, quindi, ha un nome di pace.
«Sua moglie era sterile e non aveva avuto figli» (Gdc 13,3ss). Con questo richiamo siamo riportati a tutte le mogli dei patriarchi, che erano sterili o avevano difficoltà ad avere figli (Sara, Rachele, Rebecca… soltanto Lia aveva facilità nel generare figli a Giacobbe).
«L’angelo del Signore…». È Dio stesso che si fa messaggero. Quando celebriamo la Festa degli Angeli, la Chiesa ci spiega che Michele, Raffaele, Gabriele si chiamano così soltanto in quanto portatori di notizie. “Angelo” vuol dire proprio ‘annunciatore’. «… apparve a questa donna e le disse: “Ecco, tu sei sterile e non hai avuto figli, ma concepirai e partorirai un figlio. Ora guàrdati dal bere vino o bevanda inebriante e non mangiare nulla d’impuro. Poiché, ecco, tu concepirai e partorirai un figlio sulla cui testa non passerà rasoio, perché il fanciullo sarà un nazireo di Dio fin dal seno materno; egli comincerà a salvare Israele dalle mani dei Filistei”».
Si comincia subito a capire che la storia è importante perché il bambino che nascerà da questa donna sterile comincerà a salvare il popolo dai filistei. Noi sappiamo che sarà Saul e soprattutto Davide che li sottometterà; non li caccerà, ma li inserirà al suo servizio, nel suo regno. Tuttavia si incomincia con questo bambino, che sarà un nazireo del Signore.
“Nazireo” non ha niente a che vedere con Nazaret, ma è un termine che significa ‘consacrato’ e che si usa ancora oggi per indicare le persone religiose/consacrate. Era allora una specie di stato religioso di gente consacrata al Signore non con voti liberamente fatti. Questo bambino, ad esempio, non è ancora nato e già è destinato al Signore; in qualche modo ha già scritto su di sé il nome del Signore, che lo ha scelto perché sia suo testimone.
Tutto questo, nel momento primitivo della civilizzazione, non riguarda la condotta religiosa o morale di questo ragazzo (e poi uomo), ma piuttosto un fatto cultuale: non deve bere vino o bevande inebrianti (esattamente come la madre incinta) e non si deve tagliare i capelli. È quindi un atteggiamento esteriore. Ricordo che c’è stato un tempo in cui in alcune parti d’Italia le mamme dedicavano al Signore il loro bambino, forse per le difficoltà incontrate durante il parto o nella crescita del piccolo. Facevano un voto e vestivano il figlio come un fraticello per due o tre anni.
«La donna andò a dire al marito: “Un uomo di Dio è venuto da me; aveva l’aspetto di un angelo di Dio, un aspetto maestoso. Io non gli ho domandato da dove veniva ed egli non mi ha rivelato il suo nome, ma mi ha detto: Ecco, tu concepirai e partorirai un figlio; ora non bere vino né bevanda inebriante e non mangiare nulla d’impuro, perché il fanciullo sarà un nazireo di Dio dal seno materno fino al giorno della sua morte”» (vv. 6-7).
Viene in mente immediatamente l’annunciazione, a Zaccaria, della nascita di Giovanni il Battista: «L’angelo gli disse: “Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua nascita, perché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio”» (Lc 1,13-16). Qui si fa un passo avanti, perché il bambino sarà pieno di Spirito Santo: è un fatto interiore, comunque è anche lui consacrato al Signore.
Per Sansone non è come per i leviti, cioè coloro che nascono nella tribù di Levi e saranno sacerdoti di Dio per diritto di tribù. No, qui c’è proprio una vocazione religiosa personale. I nazirei conducevano una vita laica, ma destinata al Signore.
Gdc 13,9ss: «Allora Manòach pregò il Signore e disse: “Perdona, mio Signore, l’uomo di Dio mandato da te venga di nuovo da noi e c’insegni quello che dobbiamo fare per il nascituro”. Dio ascoltò la preghiera di Manòach e l’angelo di Dio tornò ancora dalla donna, mentre stava nel campo; ma Manòach, suo marito, non era con lei». Sono interessanti queste annunciazioni di nascita che riguardano prima di tutto la donna, anche se poi chi parla con il visitatore è il marito, secondo la cultura maschilista: «La donna corse in fretta a informare il marito e gli disse: “Ecco, mi è apparso quell’uomo che venne da me l’altro giorno”. Manòach si alzò, seguì la moglie e, giunto da quell’uomo, gli disse: “Sei tu l’uomo che ha parlato a questa donna?”. Quegli rispose: “Sono io”. Manòach gli disse: “Quando la tua parola si sarà avverata, quale sarà la norma da seguire per il bambino e che cosa dovrà fare?”. L’angelo del Signore rispose a Manòach: “Si astenga la donna da quanto le ho detto: non mangi nessun prodotto della vigna, né beva vino o bevanda inebriante e non mangi nulla d’impuro; osservi quanto le ho comandato”». I cibi puri o impuri riguardano sempre concetti cultuali. Per gli israeliti il cibo impuro appartiene a determinate categorie alimentari; ad esempio, i frutti di mare perché non hanno spina dorsale e non sanno reggersi diritti, oppure i suini o altro.
«Manòach disse all’angelo del Signore: “Permettici di trattenerti e di prepararti un capretto!”. L’angelo del Signore rispose a Manòach: “Anche se tu mi trattenessi, non mangerei il tuo cibo; ma se vuoi fare un olocausto, offrilo al Signore”. Manòach non sapeva che quello era l’angelo del Signore. Manòach disse all’angelo del Signore: “Come ti chiami, perché ti rendiamo onore quando si sarà avverata la tua parola?”. L’angelo del Signore gli rispose: “Perché mi chiedi il mio nome? Esso è misterioso”». Siamo rimandati all’angelo di Giacobbe e alla lotta presso lo Iabbok.
«Manòach prese il capretto e l’offerta e sulla pietra li offrì in olocausto al Signore che opera cose misteriose. Manòach e la moglie stavano guardando: mentre la fiamma saliva dall’altare al cielo, l’angelo del Signore salì con la fiamma dell’altare. Manòach e la moglie, che stavano guardando, si gettarono allora con la faccia a terra e l’angelo del Signore non apparve più né a Manòach né alla moglie. Allora Manòach comprese che quello era l’angelo del Signore. Manòach disse alla moglie: “Moriremo certamente, perché abbiamo visto Dio”. Ma sua moglie gli disse: “Se il Signore avesse voluto farci morire, non avrebbe accettato dalle nostre mani l’olocausto e l’offerta, non ci avrebbe mostrato tutte queste cose né ci avrebbe fatto udire proprio ora cose come queste”. E la donna partorì un figlio che chiamò Sansone [Shimshon: ‘piccolo sole’, da Shmsh, sole]. Il bambino crebbe e il Signore lo benedisse. Lo spirito del Signore cominciò ad agire su di lui quando era nell’Accampamento di Dan, fra Sorea ed Estaòl».
Questo è certamente un bambino voluto da Dio, e se ci troviamo nel libro dei Giudici significa che è stato da Lui voluto per la liberazione d’Israele, perché faccia giustizia per il suo popolo oppresso dai Filistei.
Siamo giunti al cap. 14. Il ragazzo, ormai cresciuto, comincia a dare dei grattacapi. «Sansone scese a Timna, e a Timna vide una donna tra le figlie dei Filistei. Tornato a casa, disse al padre e alla madre: “Ho visto a Timna una donna, una figlia dei Filistei; prendetemela in moglie”. Suo padre e sua madre gli dissero: “Non c’è una donna tra le figlie dei tuoi fratelli e in tutto il nostro popolo, perché tu vada a prenderti una moglie tra i Filistei non circoncisi?”».
Sansone è particolarmente sensibile alla bellezza delle giovani filistee. Io ho vissuto trentacinque anni a Gerusalemme e questo è un fatto molto frequente nelle relazioni tra israeliani e palestinesi.
I palestinesi, come tutto il mondo arabo, vivono ancora oggi con regole di comportamento molto strette. I dipendenti della nostra casa, ad esempio, che sono quasi tutti arabi cristiani, non fanno mai le vacanze con le loro mogli, ma vanno soltanto gli uomini mentre le mogli restano a casa: gli uomini con gli uomini, le donne con le donne! Le regole sono assai severe e, per fare un altro esempio, a Betlemme uno non può andare sottobraccio con una ragazza, perché se si fa vedere in compagnia di una donna, la deve sposare. Allora succede che i ragazzi palestinesi vanno molto volentieri in Israele, perché sono più liberi: possono andare al cinema con la loro fidanzata, possono partecipare a feste di ragazzi e ragazze insieme. E lo dicono apertamente.
Si può capire quindi che si stabilisca un confronto tra due popolazioni di civilizzazione così diversa, e Sansone preferisce le donne dei filistei. Forse si presentano meglio, forse si truccano gli occhi o si tingono i capelli… Fatto sta che i due genitori non riescono a dissuaderlo, e il motivo è molto semplice: «Prendimi quella, perché mi piace»! Incontriamo subito un giovane istintivo, che da una parte osserva le regole del suo clan chiedendo ai genitori di prendergli moglie, però vuole che gli prendano quella che piace a lui.
«Suo padre e sua madre non sapevano che questo veniva dal Signore, il quale cercava un motivo di scontro con i Filistei. In quel tempo i Filistei dominavano Israele». L’interpretazione dell’autore è che questa simpatia di Sansone per una giovane filistea serviva al piano di Dio, che era quello dei contatti tra israeliti e filistei. (…) Come cominciano le relazioni? Esattamente con i matrimoni. È stato così anche per gli antichi latini e germanici, con le invasioni barbariche nell’impero romano, che è uscito distrutto.
Il che ci fa considerare che il matrimonio è anche un modo con cui il Signore vuole realizzare la comunione di tutta l’umanità. Sappiamo che i romani sposavano molto più volentieri le donne ebree (addirittura la moglie di Nerone era un’ebrea) e in questa maniera si è avuta la diffusione di un certo costume, perché le donne ebree erano più morali di quelle latine. A ciò si deve anche la diffusione della conoscenza del giudaismo al tempo di Gesù, che poi ha facilitato l’evangelizzazione.
Alla fine, dunque, il matrimonio di Sansone viene accettato: «Sansone scese con il padre e con la madre a Timna; quando furono giunti alle vigne di Timna, ecco un leoncello venirgli incontro ruggendo. Lo spirito del Signore irruppe su di lui, ed egli, senza niente in mano, squarciò il leone come si squarcia un capretto. Ma di ciò che aveva fatto non disse nulla al padre e alla madre. Scese dunque, parlò alla donna e questa gli piacque. Dopo qualche tempo tornò per prenderla e uscì dalla strada per vedere la carcassa del leone: ecco, nel corpo del leone c’era uno sciame d’api e del miele. Egli ne prese nel cavo delle mani e si mise a mangiarlo camminando. Quand’ebbe raggiunto il padre e la madre, ne diede loro ed essi ne mangiarono; ma non disse loro che aveva preso il miele dal corpo del leone. Suo padre scese dunque da quella donna e Sansone fece là un banchetto, perché così usavano fare i giovani. Quando lo ebbero visto, presero trenta compagni perché stessero con lui». Erano i testimoni del matrimonio, e secondo l’usanza venivano forniti dalla famiglia della sposa. Sono perciò trenta filistei che partecipano a questa festa nuziale.
«Sansone disse loro: “Voglio proporvi un enigma. Se voi me lo spiegate entro i sette giorni del banchetto e se l’indovinate, vi darò trenta tuniche e trenta mute di vesti; ma se non sarete capaci di spiegarmelo, darete trenta tuniche e trenta mute di vesti a me”. Quelli gli risposero: “Proponi l’enigma e noi lo ascolteremo”. Egli disse loro: Da colui che mangia è uscito quel che si mangia e dal forte è uscito il dolce”. Per tre giorni quelli non riuscirono a spiegare l’enigma. Al quarto giorno dissero alla moglie di Sansone: “Induci tuo marito a spiegarti l’enigma; se no, daremo fuoco a te e alla casa di tuo padre. Ci avete invitati qui per spogliarci?”. La moglie di Sansone si mise a piangergli intorno e a dirgli: “Tu hai per me solo odio e non mi ami; hai proposto un enigma ai figli del mio popolo e non me l’hai spiegato!”. Le disse: “Ecco, non l’ho spiegato neanche a mio padre e a mia madre e dovrei spiegarlo a te?”. Ella continuò a piangergli intorno durante i sette giorni del banchetto. Il settimo giorno Sansone glielo spiegò, perché lo tormentava, e lei spiegò l’enigma ai figli del suo popolo. Gli uomini della città, il settimo giorno, prima che tramontasse il sole, dissero a Sansone: “Che c’è di più dolce del miele? Che c’è di più forte del leone?”.
Rispose loro: “Se non aveste arato con la mia giovenca, non avreste sciolto il mio enigma”. Allora lo spirito del Signore irruppe su di lui ed egli scese ad Àscalon; vi uccise trenta uomini [filistei], prese le loro spoglie e diede le mute di vesti a quelli che avevano spiegato l’enigma. Poi, acceso d’ira, risalì alla casa di suo padre, e la moglie di Sansone fu data al compagno che gli aveva fatto da amico di nozze». Quella di lasciare la moglie era un’usanza che si poteva fare, ma poi i due si incontravano amichevolmente scambiandosi dei doni. Qui non è così! Fin dall’inizio ci viene presentata una vita disordinata, caotica. Ma questa vita caotica è di uno che dispone di una forza eccezionale che fa tremare i suoi nemici. In mezzo ad un popolo sottomesso ai filistei comincia a circolare la notizia di un uomo di cui i filistei stessi hanno paura e che diventa un po’ leggendario.
Nel successivo cap. 15 vediamo i nuovi passi di Sansone: «Dopo qualche tempo, nei giorni della mietitura del grano, Sansone andò a visitare sua moglie, le portò un capretto e disse: “Voglio entrare da mia moglie nella camera”. Ma il padre di lei non gli permise di entrare e gli disse: “Credevo proprio che tu l’avessi presa in odio e perciò l’ho data al tuo compagno; la sua sorella minore non è più bella di lei? Prendila dunque al suo posto”. Ma Sansone rispose loro: “Questa volta non sarò colpevole verso i Filistei, se farò loro del male”.
Sansone se ne andò e catturò trecento volpi; prese delle fiaccole, legò coda a coda e mise una fiaccola fra le due code. Poi accese le fiaccole, lasciò andare le volpi per i campi di grano dei Filistei e bruciò i covoni ammassati, il grano ancora in piedi e perfino le vigne e gli oliveti. I Filistei chiesero: “Chi ha fatto questo?”. La risposta fu: “Sansone, il genero dell’uomo di Timna, perché costui gli ha ripreso la moglie e l’ha data al compagno di lui”. I Filistei salirono e bruciarono tra le fiamme lei e suo padre. Sansone disse loro: “Poiché agite in questo modo, io non la smetterò finché non mi sia vendicato di voi”. Li sbatté uno contro l’altro, facendone una grande strage. Poi scese e si ritirò nella caverna della rupe di Etam.
Allora i Filistei vennero, si accamparono in Giuda e fecero una scorreria fino a Lechì. Gli uomini di Giuda dissero loro: “Perché siete venuti contro di noi?”. Quelli risposero: “Siamo venuti per legare Sansone, per fare a lui quello che ha fatto a noi”. Tremila uomini di Giuda scesero alla caverna della rupe di Etam e dissero a Sansone: “Non sai che i Filistei dominano su di noi? Che cosa ci hai fatto?”. Egli rispose loro: “Quello che hanno fatto a me, io l’ho fatto a loro”. Gli dissero: “Siamo scesi per legarti e metterti nelle mani dei Filistei”. Sansone replicò loro: “Giuratemi che non mi colpirete”. Quelli risposero: “No; ti legheremo soltanto e ti metteremo nelle loro mani, ma certo non ti uccideremo”. Lo legarono con due funi nuove e lo trassero su dalla rupe. Mentre giungeva a Lechì e i Filistei gli venivano incontro con grida di gioia, lo spirito del Signore irruppe su di lui: le funi che aveva alle braccia divennero come stoppini bruciacchiati dal fuoco e i legacci gli caddero disfatti dalle mani. Trovò allora una mascella d’asino ancora fresca, stese la mano, l’afferrò e uccise con essa mille uomini».
Un’altra strage! Quest’uomo diventa quasi una leggenda, un pericolo pubblico per il popolo dei filistei. Per di più canta con derisione: «“Con una mascella d’asino, li ho ben macellati! Con una mascella d’asino, ho colpito mille uomini!”. Quand’ebbe finito di parlare, gettò via la mascella…».
Ha fatto una grande fatica e sente sete. Prega il Signore. È interessante questo suo atteggiamento, questo suo senso di Dio, fatto un po’ a sua immagine e somiglianza. «Poi ebbe gran sete e invocò il Signore dicendo: “Tu hai concesso questa grande vittoria per mezzo del tuo servo; ora dovrò morire di sete e cadere nelle mani dei non circoncisi?”. Allora Dio spaccò la roccia concava che è a Lechì e ne scaturì acqua. Sansone bevve, il suo spirito si rianimò ed egli riprese vita. Sansone fu giudice d’Israele, al tempo dei Filistei, per venti anni».
Questa storia diventa, ad un certo punto, come un romanzo d’avventure pieno di cifre spropositate. Diventa quasi una favola, la vicenda di un bullo di periferia.
Ma il racconto continua al cap. 16.
«Sansone andò a Gaza, vide una prostituta e andò da lei. Fu riferito a quelli di Gaza: “È venuto Sansone”. Essi lo circondarono, stettero in agguato tutta la notte presso la porta della città e tutta quella notte rimasero quieti, dicendo: “Attendiamo lo spuntar del giorno e allora lo uccideremo”. Sansone riposò fino a mezzanotte; a mezzanotte si alzò, afferrò i battenti della porta della città e i due stipiti, li divelse insieme con la sbarra, se li mise sulle spalle e li portò in cima al monte che è di fronte a Ebron».
Poi Sansone si innamora di un’altra donna, Dalila. (È un fatto interessante quanto le donne giochino nella sua storia!). Non è detto che sia filistea, anche perché il nome non lo è; può darsi addirittura che sia della sua zona e della sua tribù. «Allora i prìncipi dei Filistei andarono da lei e le dissero: “Seducilo e vedi da dove proviene la sua forza così grande e come potremmo prevalere su di lui per legarlo e domarlo; ti daremo ciascuno millecento sicli d’argento”». Dalila inizia la sua opera di seduzione chiedendogli da dove gli venga tanta forza, e lui le risponde dando delle motivazioni non vere, per cui quando i filistei vengono per prenderlo, lui prevale sempre.
«“Se mi si legasse con sette corde d’arco fresche, non ancora secche, io diventerei debole e sarei come un uomo qualunque”. Allora i capi dei Filistei le portarono sette corde d’arco fresche, non ancora secche, con le quali lo legò. L’agguato era teso in una camera interna. Ella gli gridò: “Sansone, i Filistei ti sono addosso!». Ma egli spezzò le corde come si spezza un filo di stoppa quando sente il fuoco. Così il segreto della sua forza non fu conosciuto». Allo stesso modo falliscono altri tentativi di cattura.
«Ora, poiché lei lo importunava ogni giorno con le sue parole e lo tormentava, egli ne fu annoiato da morire e le aprì tutto il cuore…». Questa espressione di apertura del cuore, di concessione del cuore indica la presenza di un amore vero. «… e le disse: “Non è mai passato rasoio sulla mia testa, perché sono un nazireo di Dio dal seno di mia madre; se fossi rasato, la mia forza si ritirerebbe da me, diventerei debole e sarei come un uomo qualunque”. Allora Dalila vide che egli le aveva aperto tutto il suo cuore, mandò a chiamare i prìncipi dei Filistei e fece dir loro: “Venite, questa volta, perché egli mi ha aperto tutto il suo cuore”. Allora i prìncipi dei Filistei vennero da lei e portarono con sé il denaro. Ella lo addormentò sulle sue ginocchia, chiamò un uomo e gli fece radere le sette trecce del capo; cominciò così a indebolirlo e la sua forza si ritirò da lui. Allora lei gli gridò: “Sansone, i Filistei ti sono addosso!”. I Filistei lo presero e gli cavarono gli occhi; lo fecero scendere a Gaza e lo legarono con una doppia catena di bronzo. Egli dovette girare la macina nella prigione. Intanto la capigliatura che gli avevano rasata cominciava a ricrescergli. Ora i prìncipi dei Filistei si radunarono per offrire un gran sacrificio a Dagon, loro dio, e per far festa. Dicevano: “Il nostro dio ci ha messo nelle mani Sansone nostro nemico, che devastava la nostra terra e moltiplicava i nostri caduti”».
Poi lo chiamano fuori dalla prigione per beffarlo costringendolo a fare dei giochi. Lui chiede al servo che lo accompagna, poiché è cieco, di condurlo vicino alle colonne che sorreggono il tempio «Ora il tempio era pieno di uomini e di donne; vi erano tutti i prìncipi dei Filistei e sul terrazzo circa tremila persone fra uomini e donne, che stavano a guardare, mentre Sansone faceva i giochi. Allora Sansone invocò il Signore dicendo: “Signore Dio, ricòrdati di me! Dammi forza ancora per questa volta soltanto, o Dio, e in un colpo solo mi vendicherò dei Filistei per i miei due occhi!”. Sansone palpò le due colonne di mezzo, sulle quali posava il tempio; si appoggiò ad esse, all’una con la destra e all’altra con la sinistra. Sansone disse: “Che io muoia insieme con i Filistei!”. Si curvò con tutta la forza e il tempio rovinò addosso ai prìncipi e a tutta la gente che vi era dentro. Furono più i morti che egli causò con la sua morte di quanti aveva uccisi in vita. Poi i suoi fratelli e tutta la casa di suo padre scesero e lo portarono via; risalirono e lo seppellirono fra Sorea ed Estaòl, nel sepolcro di Manòach suo padre. Egli era stato giudice d’Israele per venti anni».
Questa è la storia di Sansone, che si presenta come un ‘bullo’. Che significato può avere questa vicenda nella composizione del libro dei Giudici? Lo vedremo nella prossima riflessione.
Ottava riflessione
Vediamo, allora, quale è il significato di questa storia nell’ambito di tutta la Bibbia, libro che leggiamo e di cui possiamo dire: “Parola di Dio”. Innanzitutto ci chiediamo quale possa essere stata l’intenzione dei redattori biblici nel ricordarci questa vicenda nel libro dei Giudici, visto che può perfino essere isolata e raccontata per se stessa. E ancora: quale è la rilettura cristiana di un testo simile, con la figura quasi ‘stramba’, e certo originale di Sansone?
Vediamo, prima di tutto, che viene presentata come quella di un bambino figlio di una donna sterile. Questi sono i segni privilegiati degli interventi di Dio nella storia del suo popolo, facendo salvezza con dei mezzi disperati. In questo senso la storia di Sansone si iscrive con quella di Gedeone o di Debora: il Signore compie cose grandi con strumenti poveri, dal punto di vista umano. È una costante di tutta la Scrittura che suppone la salvezza dal peccato ottenuta non con i mezzi della potenza, non con l’economia della creazione, ma con le cose più umili. Con la sterilità porta frutto! È davvero il motivo di speranza che attraversa tutta la Scrittura fino al Nuovo Testamento.
La situazione disperata che si pone all’inizio della storia di Sansone non è tanto la sterilità di sua madre, ma la condizione d’Israele sottomesso ai filistei per quarant’anni. La salvezza non si identifica con la sparizione immediata della servitù del popolo, ma Sansone dà inizio alla liberazione dagli oppressori. C’è quindi un apparire iniziale di cose che richiederanno più di quarant’anni, cioè tutto uno svolgimento nel tempo fino al regno di Davide, dopo quello di Saul. Anche Saul, del resto, sarà in qualche modo successore di Sansone, nel senso che comincia a sconfiggere i Filistei sul campo, cioè mostra come anche questo popolo più evoluto di Israele possa essere vinto.
La salvezza comunque si svolge nel tempo e perciò sono importanti i suoi inizi perché sono una promessa della realizzazione. Anche nei giorni più grigi il Signore è capace di suscitare qualcuno o qualcosa che dà speranza. Come in tutte le altre storie del libro dei Giudici, quello che interessa è la salvezza d’Israele. Si potrebbe dire che è uno dei libri in cui più apertamente la fede si distingue dalla morale. Troviamo questo già nella storia dei patriarchi, i quali sono i patriarchi del popolo della fede, e non tanto della santità morale degli individui. Anche qui vediamo che in Sansone non c’è molta santità morale, anche se è un uomo che prega e che sa di appartenere al Signore. Il suo essere segnato dalla consacrazione a Dio in un certo senso funziona, se è vero che «furono più i morti che egli causò con la sua morte di quanti aveva uccisi in vita».
Questa è una conclusione pasquale che non possiamo farci sfuggire, proprio anche da una lettura neotestamentaria: la morte del nemico causata dalla morte dell’amico, del testimone. È un modo per annunciare il mistero della Croce: Gesù ha sconfitto Satana con la propria passione e morte; la vittoria sua e del suo popolo ha seguito la sua morte. (…)
Sansone, personaggio così eccentrico, fa parte della Bibbia, sia pur con la sua vita morale che è un caos. Ma in tutto il libro dei Giudici traspare questo aspetto di violenza, di istintività, di sesso, che ci ricorda il problema eterno dell’uomo e della donna da cui derivano poi altre questioni di peccato e di salvezza.
È sottolineata anche l’importanza della famiglia, poiché in essa si trovano le radici di ciascuno di noi. Ma nella famiglia si annida anche lo sbocciare di un rischio, perché nessuno può prevedere che cosa sarà di quel figlio che viene al mondo. Nulla però sfugge dalle mani del Signore: la vita è sempre nelle sue mani, e dove c’è la vita il Signore è impegnato per ricavarne qualcosa. Nessuna vita è inutile; nessuna vita è di troppo. La vita di ogni uomo è esposta, come quella di Sansone, a proposito del quale molte volte si ripete che «lo Spirito del Signore irruppe su di lui».
Il Signore non ci mette al mondo per poi lasciarci andare, ma ci accompagna sempre con il suo Spirito. E lo Spirito è capace di insinuarsi nelle nostre vite qualunque cosa noi facciamo. Non è al nostro servizio, ma siamo interpellati noi per metterci al suo servizio. (…)
Nella storia di Sansone c’è ancora un elemento che mi pare interessante sottolineare. Abbiamo visto che il padre di Sansone si chiama Manòach, nome che rimanda alla ‘pace’, al ‘riposo’.
A proposito del termine ‘riposo’, S. Girolamo afferma di aver conosciuto un “Vangelo degli Ebrei”, scritto in lingua ebraica, di cui noi abbiamo perduto ogni traccia. Ci rimangono però delle citazioni prese appunto da S. Girolamo e poste nelle sue opere. Ebbene questo vangelo ha una parola che dedica specialmente al battesimo di Gesù: «Avvenne che quando il Signore salì dall’acqua, discese e si posò su di lui tutta la fonte dello Spirito Santo (Sono le stesse parole usate nel libro dei Giudici: “Lo Spirito scese su di lui…”) e gli disse: “Figlio mio, in tutti i profeti aspettavo che tu venissi per riposarmi in te. Tu sei infatti il mio riposo, il mio Figlio primogenito che regna per sempre”».
Ecco, questo “Vangelo degli Ebrei” dice che, durante il battesimo di Gesù, lo Spirito gli ha dichiarato che da secoli stava aspettando qualcuno su cui poter riposare. Ebbene, io vedo questo ‘riposo’ dello Spirito di Dio non solo come “qualcuno che mi accoglie, ma come qualcuno che poi conforma tutta la propria vita a quello che Io sono, cioè dove fede e santità morale si congiungono”.
Sansone non è qualcuno su cui lo Spirito Santo si possa riposare! Certo, lo Spirito agisce su di lui, ma non tutta la vita di Sansone è animata dallo stesso spirito.
Lo Spirito aspettava qualcuno che fosse fedele fino in fondo, al cento per cento, a questa mano materna che si posa su di lui. In questo senso vedrei Sansone come una profezia che annuncia il Figlio di Dio fatto carne, in cui lo Spirito si possa finalmente riposare. Tutta la ‘carne’ di Gesù è penetrata dallo Spirito. Dio trova riposo in Gesù, e attraverso Gesù può raggiungere tutti gli altri.
Nella tradizione cristiana c’è poi ancora un altro aspetto che rimette in campo la figura di Sansone. Nella storia delle Chiese – soprattutto orientali, ma anche occidentali – c’è tutta una tradizione di ‘pazzi di Dio’, cioè di coloro che colgono l’aspetto sconvolgente della grazia e della salvezza divina.
Un esempio della ‘follia di Dio’ potrebbe essere questa salvezza che si esprime attraverso le madri sterili. Nella Bibbia il segno visibile della benedizione divina sono i molti figli e le molte figlie, i molti campi, le molte greggi, i molti beni. È l’economia della creazione, che resta del tutto valida anche nel Nuovo Testamento, e noi benediciamo il Signore per l’abbondanza dei frutti della terra. Ma la salvezza non segue questa economia, che può arrivare ad essere addirittura la deviazione nel consumismo.
Ricordo che alla fine degli anni ’80 gli ebrei russi arrivarono in Israele, e poco tempo dopo i supermercati israeliani rischiarono di dover chi udere perché quelli, non abituati a tanta abbondanza messa lì a disposizione, arraffavano di tutto. Gli israeliani dovettero proibire ai russi di entrare nei supermercati e aprirono dei negozi solo per i russi. L’abbondanza, infatti, era un invito al furto! Non è davvero detto che la crescita indiscriminata sia un segno della benedizione.
Ricordiamo una bella preghiera, uno dei ‘Detti di Agùr’, che si trova nel libro dei Proverbi: «Signore, non darmi né povertà né ricchezza, ma fammi avere il mio pezzo di pane, perché, una volta sazio, io non ti rinneghi e dica: “Chi è il Signore?”, oppure, ridotto all’indigenza, non rubi e abusi del nome del mio Dio» (Pr 20,8-9). Entra così in campo un’altra economia, oltre a quella della creazione: è qualche volta anche quella dell’indigenza, della sterilità. Avere figli in condizione di sterilità è una specie di follia…
In seno alla Chiesa, iniziando soprattutto nella Siria pre-islamica, prima dell’invasione araba, ci sono state queste presenze di ‘pazzi di Dio’. I Padri dicono che costoro, ‘non potendo ancora salire al cielo, si mettono in cima alle colonne’. Erano gli stiliti. Poi questa tradizione si è radicata soprattutto in Russia, dove c’erano delle persone che si comportavano da pazze pur essendo molto sagge, per dimostrare che Dio se ne infischia della sapienza umana. Erano quelli che potevano parlare apertamente ai re e ai principi dicendo tutto quello che si sentivano dentro, come dei ‘buffoni di corte’, e ricevevano da loro protezione. Potevano dire anche delle stupidaggini, ma in esse c’era sempre della verità. Talvolta andavano in giro nudi, facendo sciocchezze, ricevendo insulti per rendere gloria a Dio.
La santità di Dio non è un multiplo della sapienza umana; la vera sapienza è la stoltezza di Dio: «Ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1,25). Così, per essere segno di tutto questo, nasce la spiritualità della follia, di cui Sansone potrebbe essere un ‘protettore’, un esempio da portare.
C’è anche un altro aspetto che non possiamo dimenticare: Sansone, innamorandosi di tutte quelle donne filistee, comincia a rompere la barriera con quel popolo, comincia ad aprirgli le frontiere d’Israele. Promuove una comunione di culture, di civiltà tra le nazioni. È, in un certo senso, il primo che mette piede nel mondo filisteo e rende possibile la comunicazione. Anche nella Palestina di oggi ci sono famiglie in cui un coniuge è palestinese e l’altro israeliano; non sono molte, ma ci sono. È molto interessante l’incontro di famiglie nemiche che si mettono insieme, non immediatamente sul piano matrimoniale, ma su quello dell’amicizia. Questo avviene soprattutto tra famiglie che hanno perduto i loro cari proprio nella lotta tra i due popoli: il dolore di queste perdite avvicina le persone colpite dal lutto, che proprio dalla loro sofferenza traggono la forza per un dialogo di pace non solo interno ai loro due popoli, ma anche nelle nazioni estere, nei vari gruppi umani dissidenti. È la redenzione attraverso la croce.
In questo senso Sansone è un ‘esploratore’ dell’altra cultura e apre in qualche modo un accesso, pur accendendo le code delle volpi per bruciare il grano o portandosi via le porte della città (cc. 15- 16). Sono i vari modi con cui il Signore si fa presente nella nostra vita. Si potrebbe pensare che il Signore non sia una ‘persona per bene’ e nasconda in sé qualche follia. Non scarta nulla e si sa servire di tutto. Non è una personcina educata, da salotto: non ha nessuna paura di sporcarsi le mani! E questo è importante per noi, perché anche noi dovremmo essere così. Certo, Sansone compie azioni assolutamente deplorevoli, ma non è Dio a comandargliele: la condotta morale dipende da noi! Dio non gli suggerisce di andare dalla prostituta, ma resta il fatto che Sansone ci va, e il Signore sa servirsi anche di questo per i propri fini.
Questo non significa che il fine giustifichi i mezzi, ma che il fine si può ottenere anche tutti i mezzi possibili, anche quelli che noi ‘imponiamo’ a Dio. Se fosse il Signore a condurre la nostra vita morale potremmo pensare che sia Lui l’autore di queste scelte. No, l’autore dei peccati commessi da Sansone è Sansone stesso, tuttavia il Signore sa servirsi anche di questi – come di tutte le azioni umane – per il proprio progetto di salvezza. Però, quando l’uomo si sintonizza talmente con il Signore da seguire nella propria condotta morale le regole e le azioni del Signore, allora si tocca la santità cristiana. È la santità della fede che diventa morale, e della morale che traduce adeguatamente la fede. (…)
Non c’è niente di perduto che Dio non voglia salvare. «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11); anche se c’è una legge che punisce con la lapidazione quella donna adultera, Gesù la lascia andare con l’invito a non peccare più. Il Cardinal Martini diceva spesso che ci sono tante regole morali, ma quando ti si presentano davanti delle persone e ti accorgi che la loro vita fa parte di un tutto, in cui c’è insieme il bene e il male, non le puoi ‘buttare via’. Bisogna in qualche modo tener conto sia della regola morale che della persona in sé, e questo comporta una fatica terribile e suppone un’intelligenza che trovi una via d’uscita ma, ancora prima, una profonda simpatia per le persone, una profonda accoglienza. Perciò non posso respingere nessuno per rimanere ligio ad una regola: Dio non fa così! (…)
E se pensiamo anche a Sansone, è interessante comprendere il senso di queste fini tragiche dei testimoni di Dio, approfondire il loro valore, poiché hanno un ruolo molto importante nella storia del popolo di Dio, che ha dovuto conquistare la propria terra, la propria vocazione, la propria identità. (…)
Gruppi di lettura continua della Bibbia in Bergamo
Settimana Biblica 2012 Bergamo 24 – 29 settembre 2012 Il libro dei Giudici
Relatore: p.j. Francesco Rossi de Gasperis
Il testo non è stato rivisto dal relatore
http://odos.altervista.org/alterpages/files/Giudici2012-1.pdf